La Casa di Dio
L’Israele di Dio: Galati 6, 16
Michael Marlowe
14 ἐμοὶ δὲ μὴ γένοιτο καυχᾶσθαι εἰ μὴἐν τῷ σταυρῷ τοῦ κυρίου ἡμῶν ἸησοῦΧριστοῦ, δι᾽ οὗ ἐμοὶ κόσμος ἐσταύρωται κἀγὼ κόσμῳ. 15 οὔτε γὰρ περιτομή τί ἐστιν οὔτε ἀκροβυστία, ἀλλὰ καινὴ κτίσις. 16 καὶ ὅσοι τῷκανόνι τούτῳ στοιχήσουσιν, εἰρήνη ἐπ᾽ αὐτοὺς καὶ ἔλεος, καὶ ἐπὶ τὸν Ἰσραὴλ τοῦ θεοῦ.
14 Ma non sia mai che io mi vanti se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, attraverso cui a me il mondo è stato crocifisso, ed io al mondo. 15 Perchè infatti né la circoncisione è qualcosa né l’incirconcisione, ma una nuova creazione. 16 E a quanti cammineranno per questa regola, pace sia su di loro e misericordia, e sull’Israele di Dio.
Quale sia la corretta interpretazione e traduzione dell’ultima espressione in Galati 6, 16 è diventato oggetto di controversia negli ultimi cento anni. In precedenza non lo era mai stato. Con pochissime eccezioni, “L’Israele di Dio” era inteso come riferentesi alla chiesa.[1] Il καὶ (“e”) che precede l’espressione ἐπὶτὸν Ἰσραὴλ τοῦ θεοῦ (“sull’Israele di Dio”) era inteso come una congiunzione esplicativa. Questa interpretazione è riflessa in alcune traduzioni inglesi, dove questa congiunzione viene tradotta come “ovvero” (RSV), o dove non viene proprio tradotta (NIV). Non è necessario, tuttavia, comprendere questa congiunzione in modo esplicativo per ottenere sostanzialmente il medesimo senso. Se verrà compresa come un’ordinaria congiunzione connettiva, allora, come dice Marvin Vicent: “Gli ὅσοι (“su quanti”) si riferirà ai cristiani individuali, giudei e gentili, e “Israele di Dio” ai medesimi cristiani considerati però collettivamente e in quanto formanti la vera comunità messianica” (Word Studies in the New Testament vol. 4, p. 180). Quindi la resa di alcune traduzioni con “e sull’Israele di Dio” è accettabile a patto che non venga fraintesa. Comunque sia, sembra chiaro che in questo verso Paolo non può star pronunciando una benedizione su chi non è incluso nell’espressione precedente “e su quanti cammineranno per questa regola” (ovvero la regola di chi si vanta soltanto nella croce). Il punto principale dell’intera epistola proibisce che qui in 6, 16 Paolo benedica qualcuno che evade da questo gruppo menzionato in precedenza.
Il motivo per cui questa espressione è divenuta oggetto di controversia è che essa è in conflitto con i principi di interpretazione associati al Dispensazionalismo. I dispensazionalisti vogliono mantenere una distinzione netta tra “Israele” e “la chiesa”, e lo fanno in tutta una serie di questioni teologiche correlate alla profezia, all’ecclesiologia, e alla soteriologia. L’idea che qui Paolo stia usando l’espressione “l’Israele di Dio” in un senso che includa anche i Gentili non va loro a genio, perchè ciò minerebbe la loro tesi che “la chiesa” è sempre attentamente distinta da “Israele” nella Scrittura. Questo è uno dei punti principali dell’ermeneutica dispensazionalista. C. I. Scofield nel suo trattato Rightly Dividing the Word of Truth(New York, Loizeaux Brothers, 1888) scrisse: “Nel comparare, quindi, quanto è detto nella Scrittura a riguardo di Israele e la chiesa, un attento studente della Bibbia scopre che tra i due vi è un contrasto nella loro origine, chiamata, promessa, adorazione, principi di condotta e futuro.” Similmente Charles Ryrie nel suo libro Dispensationalism Today (Chicago, 1965) spiegò che “la premessa basilare del Dispensazionalismo sono i due propositi di Dio espressi nella formazione di due popoli che mantengono questa distinzione per tutta l’eternità” (pp. 44-45).
L’approccio tradizionale, sia Protestante che Cattolico-romano, a questa questione è molto diverso tuttavia, perchè in entrambe queste tradizioni “Israele” è spesso interpretato in modo tipologico. La chiesa è intesa come un “Israele spirituale”, e molte cose dette in connessione ad Israele nella Scrittura sono applicate quindi alla chiesa. Ad esempio, le parole del Salmo 122, “Pregate per la pace di Gerusalemme, prospereranno quelli che ti amano”, sono comprese da Matthew Henry, nel suo commentario, così: “La pace ed il benessere della chiesa evangelica … deve essere intensamente desiderato e richiesto in preghiera”. Ciò è in linea col metodo apostolico, come per esempio in Galati 4, 26, dove Paolo parla della “Gerusalemme che è di sopra”. Quindi, quando Paolo parla dell’”Israele di Dio” in Galati 6, 16, il significato di questa espressione è facilmente afferrabile. Piuttosto che un contrasto, si percepisce qui una relazione tipologicaprofondamente significativa.
Da giovane cristiano frequentavo una chiesa dove si insegnava l’approccio dispensazionalista, e ricordo che si sosteneva la tesi che nella Scrittura “la chiesa non è mai chiamata Israele”. Galati 6, 16 si spiegava come se l’espressione “e sull’Israele di Dio” si riferisce ad una parte di persone ebree che “camminano secondo questa regola”, ovvero i cristiani che avevano un background etnico ebreo e non altri. Sembra che questo punto, ovvero che la chiesa non è mai descritta come “Israele”, continua ad essere importante per i dispensazionalisti, perchè in un articolo recente un dispensazionalista di spicco dice che è un “orrendo errore” incluedere nell’”Israele di Dio” di Galati 6, 16 anche i Gentili.[2] Non ci sarebbe alcuna ragione per affermare questo se non il desiderio dispensazionalista di escludere qualsiasi interpretazione tipologica e di difendere la loro contenzione che “la chiesa non è mai chiamata Israele”.
Lasciando da parte considerazioni tipologiche, questa spiegazione dispensazionalista del significato de “l’Israele di Dio” in Galati 6, 16 sembra opposta al tenore stesso dell’epistola, in cui viene detto che “in Cristo Gesù … non vi è né Giudeo né Greco”. Questa è l’idea centrale dell’epistola, come vediamo nel terzo capitolo: “voi siete tutti uno in Cristo Gesù … se siete di Cristo, allora siete discendenza di Abraamo” (3, 26-29). Scofield stesso riconobbe questo, quando scrisse: “Nella chiesa la distinzione tra Giudeo e Gentile scompare”. Ciò fa sorgere varie domande. Se “nella chiesa la distinzione tra Giudeo e Gentile scompare”, come dice Scofield, allora perchè Paolo avrebbe poi fatto una tale distinzione in 6, 16? E se è vero che la chiesa non è mai chiamata Israele nella Scrittura, e “vi è solo contrasto” tra i due, allora in quale senso si posson chiamare i cristiani di background giudaico “Israele”, se essi sono diventati Chiesa? Se qualcuno viene chiamato “Israele” nella chiesa allora questa distinzione tra Israele e Chiesa viene abbattuta. Se si può dire di credenti cristiani ebrei che sono “Israele” dopo esser divenuti cristiani, allora si deve ammettere che è caduta questa stretta divisione terminologica tra i due gruppi. Inoltre, se si insiste che si può chiamare così soltanto credenti cristiani di estrazione giudaica allora si potrà chiedere che ne è rimasto dell’insegnamento che “nella chiesa la distinzione tra giudeo e gentile scompare”? Abbiamo forse una classe separata di “cristiani ebrei” che hanno l’esclusiva sul titolo “Israele di Dio”? E che cosa significherebbe questo? Che vi sono due tipi di Cristianesimo, due Chiese? Sembrerebbe che nel dispensazionalismo odierno si insegni proprio questo: vi è un Cristianesimo “giudaico” e un Cristianesimo “gentile” e in qualche modo i cristiani “giudaici” vengono ritenuti più importanti e specialmente favoriti da Dio.[3]
I primi dispensazionalisti, ovvero scrittori come Darby, Scofield, e Chafer, evitavano alcune domande e implicazioni imbarazzanti a motivo della loro netta e radicale distinzione tra Israele e la Chiesa. Scofield credeva che gli ebrei della fine dei tempi dovevano essere salvati secondo la Legge di Mosè, ritornando ai sacrifici animali. Il suo schema interpretativo concepiva un tempo in cui la parentetica “epoca della chiesa” sarebbe finita e la Legge di Mosè reistituita per scopi salvifici. Dopo questo cambio di “dispensazioni” le persone sarebbero state salvate secondo un vangelo diverso, il “Vangelo del Regno”. La dottrina di Paolo, che Scofield chiamava il “Vangelo della Grazia di Dio”, non sarebbe stato più in auge. L’insegnamento di Paolo sull’unità della Chiesa non si applicava a questo caso perchè la chiesa è stata “rapita” e non è più sulla terra, e Dio non ha più a che fare con essa. In tal modo si manteneva la distinzione tra “Israele” e la “Chiesa” senza negare l’unità del corpo di Cristo. Ma è difficile parlare dell’“Israele” di Scofield della fine dei tempi come “cristiani ebrei” perchè essi non sono nella chiesa, e non vengono trattati allo stesso modo della chiesa. Sono “il popolo terreno di Dio” secondo Scofield, distinti dalla Chiesa, che sono “il popolo celeste” di Dio. Essi sono “la moglie di Geova” e non la “sposa di Cristo”, e così via.
Tali insegnamenti della teologia dispensazionalista classica mantenevano una rigorosa distinzione tra “Israele” e la “Chiesa”. Se questa distinzione deve essere mantenuta in Galati 6, 16 allora presumibilmente l’”Israele di Dio” deve essere inteso come riferimento all’Israele escatologico che deve essere salvato con un vangelo diverso, dopo che la dispensazione evangelica paolina è terminata.[4] Ma ai giorni d’oggi si ode raramente ormai un dispensazionalismo così radicale. I dispensazionalisti odierni sembrano trovarsi in un pantano: si sono allontanati dal distinguere coerentemente Israele e la Chiesa; Israele può ora essere detto parte della Chiesa, e vi è una classe speciale e privilegiata di “cristiani giudei” all’interno del corpo di Cristo.[5]
Queste caratteristiche del dispensazionalismo fanno sorgere molti e seri problemi teologici in cui non mi addentrerò. Il mio proposito principale qui è stato di mostrare quali nozioni si portano al testo quando un dispensazionalista dice che è un “errore orrendo” interpretare “Israele di Dio” in Galati 6, 16 come un modo di riferirsi alla chiesa. La protesta dispensazionalista contro la comprensione tradizionale di Galati 6, 16 è, secondo me, rappresentativa di un bagaglio settario di profezie della fine dei tempi che viene portata al testo e non rappresenta un tentativo serio di comprendere l’espressione nel suo contesto.
Altri interessi sono all’opera tra gli studiosi non dispensazionalisti che hanno argomentato contro la visione tradizionale. Quando ero uno studente seminarista nei primi anni ’90 uno degli argomenti preferiti di un professore liberale era l’”anti-semitismo” nella Chiesa, ed egli era un forte oppositore dell’evangelismo degli ebrei. Questo professore insegnava un corso sulle epistole paoline in cui obiettava alla tradizionale interpretazione sulla base che essa fosse antisemita. Egli sosteneva che in Galati 6, 16 Paolo stava benedicendo la nazione di Israele e non appropriandosi del nome “Israele” per la chiesa, e nemmeno stava usando questo termine per descrivere i cristiani di background giudaico. Secondo lui l’affermazione di Paolo dovrebbe essere letta come un’affermazione del tipo di pluralismo religioso che prevale oggi nei circoli religiosi. Non sono al corrente di alcun commentario esegetico che adotti una tale dubbia veduta, ma la Bibbia di studio Harper Collinspreparata da studiosi liberali ha una nota a Galati 6, 16 che dice: “Israele di Dio, la chiesa come il vero Israele … o, alternativamente, l’intero popolo di Israele.” Benchè l’annotatore di Galati qui dice che “l’argomento di Galati sembra supportare l’interpretazione precedente” l’alternativa che egli fornisce non è “cristiani giudaici” ma “l’intero popolo di Israele”. Il pluralismo e l’opposizione all’evangelizzazione degli ebrei che ho incontrato al seminario dove studiavo è alla base di questo, ed è anche uno dei motivo per cui alcune traduzioni inseriscono la parola “e” prima di “sull’israele di Dio”. Vi è un bagaglio culturale e ideologico che si porta al testo in questi casi, e questo bagaglio è totalmente estraneo al vangelo di Paolo.
Ci si potrà chiedere se anche alcuni dispensazionalisti abbiano adottato la veduta secondo cui “Israele di Dio” si riferisce all’israele secondo la carne. Come notato sopra, sarebbe del tutto coerente con i primi scrittori dispensazionalisti dire che Paolo sta benedicendo i Giudei che non fanno parte della chiesa, in quanto “popolo terreno di Dio”. La fascinazione verso lo stato secolare di Israele che è così caratteristica dei dispensazionalisti odierni ha condotto molti di loro a pensare che la ristorazione degli ebrei come “il popolo di Dio” sia già avvenuta, nonostante il fatto che la chiesa non è stata rapita e la stragrande maggioranza degli ebrei continua a rigettare Cristo. I dispensazionalisti insistono che questo Israele non credente deve essere benedetto da tutti. Se è così, ecco perchè Paolo lo avrebbe fatto in Galati 6, 16, chiamandoli “Israele di Dio”. Ma questo è del tutto contrario al vangelo che Paolo predicava, perchè non vi è benedizione nel suo vangelo per coloro che rigettano Cristo.
Per concludere, affermerò la mia opinione che cercare di limitare il significato di “Israele di Dio” ai figli carnali di Giuda tradisce un approccio fondamentalmente errato all’interpretazione biblica, e alla teologia del Nuovo Testamento in particolare. A seguire riporterò alcuni estratti da scrittori che credo essere molto più esplicativi del significato genuino dell’espressione paolina. “Pace sia sull’Israele di Dio” non è tanto un modo polemicoo ironico contro i giudaizzanti (come per Lutero e Calvino) ma una benedizione ed affermazione positiva della Chiesa come il vero Israele spirituale. E’ un errore vedere amarezza in questa benedizione.
Giustino Martire sul “vero Israele spirituale”[6]
Gesù Cristo … è la nuova legge e il nuovo patto, l’aspettativa di quelli che da ogni popolo aspettano del bene da parte di Dio. Perchè il vero Israele spirituale, e i discendenti di Giuda, Giacobbe, Isacco ed Abraamo (che quando ancora incirconciso fu approvato e benedetto da Dio per la sua fede, e chiamato così il padre di molte nazioni), siamo noi che siamo stati condotti a Dio attraverso questo Cristo crocifisso.
Giovanni Crisostomo su Galati 6:15-16[7]
Osservate la potenza della Croce, a quale altezze lo ha elevato! Non soltanto ha messo attraverso di lui a morte tutti gli affari mondani, ma lo ha innalzato molto al di sopra dell’Antica Dispensazione. Cosa può paragonarsi a questa potenza? Perchè la Croce lo ha persuaso, lui che era disposto a farsi uccidere e ad uccidere altri per la circoncisione, a lasciarla da parte con l’incirconcisione, e a cercare cose strane e meravigliose al di sopra dei cieli. Questa nostra regola di vita egli la chiama “una nuova creazione”, sia a motivo di quello che è passato che di quello che deve venire: di quanto è passato perchè la nostra anima, che era invecchiata con la vecchiezza del peccato, è stata tutt’un tratto rinnovata al battesimo, come se fosse stata creata di nuovo. Quindi noi richiediamo una nuova e celeste regola di vita. E di cose a venire, perchè sia il cielo che la terra, e tutta la creazione saranno traslati nell’incorruzione insieme ai nostri corpi. Non mi dite, egli dice, dunque della circoncisione, che non serve ora a nulla (perchè come potrebbe, dato che tutte le cose hanno subito un tale cambiamento?) ma cercate le nuove cose della grazia. Perchè chi persegue tali cose godrà di pace e conciliazione, e potra appropriatamente essere chiamato col nome di “Israele”. E chi invece nutre sentimenti contrari, benchè sia disceso da Israele e porti questo nome, è piuttosto scaduto da tutte queste cose, dalla relazione e dal nome stesso. Ma è nel potere di chi osserva questa regola, e che desiste dalle vecchie vie, e segue la grazia, di essere chiamati ed essere veri Israeliti.
Martin Lutero su Galati 6:16
Letture su Galati, 1519.[8] “Camminare” è lo stesso verbo usato sopra (5, 25). “Camminare”, ovvero, procedere secondo questa regola. Quale? La regola di essere nuove creature in Cristo, di splendere con la vera giustizia e santità che viene dalla fede, e di non ingannare se stessi ed altri con una giustizia ipocrita e con una santità che vengono dalla Legge. Su questi vi sarà ira e tribolazione, ma sui primi pace e misericordia. Paolo aggiunge le parole “sull’Israele di Dio.” Egli distingue questo Israele dall’Israele secondo la carne, proprio come in I Cor. 10, 18 distingue quelli che sono l’Israele secondo la carne e non l’Israele di Dio. Quindi pace è su Gentili e Giudei, finché procedano per la regola della fede e dello Spirito.
Letture su Galati, 1535.[9] “Sull’Israele di Dio.” Qui Paolo attacca i falsi apostoli e i Giudei, che si vantavano dei loro padri, della loro elezione, della Legge, etc. (Rom. 9, 4-5). E’ come se egli stesse dicendo: “L’Israele di Dio non sono i discendenti fisici di Abraamo, Isacco ed Israele ma quelli che, con Abraamo il credente (3, 9) credono nelle promesse di Dio ora dischiuse in Cristo, che siano Giudei o Gentili.”
Giovanni Calvino su Galati 6:16[10]
“Sull’Israele di Dio”. Questo è un ridicolizzare in modo indiretto il vano vanto dei falsi apostoli, che si vantavano di essere i discendenti di Abraamo secondo la carne. Vi sono due classi di persone che portano questo nome: un Israele fittizio, che sembra essere tale agli occhi degli uomini, e l’Israele di Dio. La circoncisione era un camuffaggio davanti agli uomini, ma la rigenerazione è una verità dinanzi a Dio. In breve, Paolo conferisce l’appellazione di Israele di Dio a quelli che prima aveva denominato i figli di Abraamo mediante la fede (Galati 3, 29) includendo così tutti credenti, Giudei e Gentili, che erano uniti in una sola chiesa.
William Hendriksen su Galati 6:16[11]
Paolo continua: “16. E su quanti cammineranno per questa regola, pace (sia) su di loro e misericordia, e sull’Israele di Dio.” Secondo il contesto precedente, questa regola è quella per cui davanti a Dio soltanto questo conta, ovvero che una persona riponga la sua completa fiducia in Cristo crocifisso, e che, quindi, regoli la sua vita secondo questo principio. Questo significherà che la sua vita sarà una di gratitudine e di servizio cristiano per amore di questo meraviglioso Salvatore. Su coloro, tutticoloro, e solocoloro, che sono governati secondo questa regola “pace” e “misericordia” sono pronunciati. “Pace” è la serenità di cuore che è porzione di tutti coloro che sono stati giustificati per fede (Romani 5, 1). Nel mezzo delle tempeste della vita essi sono al sicuro perchè hanno trovato rifugio nella roccia. Nel giorno dell’ira, distruzione, e desolazione Dio “nasconde” tutti quelli che trovano rifugio in lui (Sof. 1, 2e seguenti; 2, 3; 3, 12). Ved 1, 3. Quindi, pace è salute e prosperità spirituale. Pace e misericordia sono inseparabili. Se la misericordia di Dio non fosse stata mostrata al suo popolo essi non avrebbero goduto di pace. La misericordia di Dio è il suo amore diretto verso i peccatori visti nella loro miseria e bisogno […].
Fin qui l’interpretazione scorre liscia. Una difficoltà però sorge a motivo dell’ultima espressione di questo verso: “kai sull’Israele di Dio”. Ora, variando a secondo del contesto specifico in cui questa congiunzione kaisi trova, essa può essere resa con “e”, “e così”, “anche”, “allo stesso modo”, “e cioè”, “tuttavia”, “e tuttavia”, “ma”, etc. A volte è meglio lasciarla non tradotta. Quando essa viene resa con “e” allora significherebbe che dopo aver pronunciato la benedizione di Dio su tutti coloro che ripongono la loro fiducia eslcusivamente in Cristo Crocifisso, l’apostolo pronuncia un’ulteriore benedizione sull’”Israele di Dio”, che è quindi da interpretarsi come “i Giudei”, o “tutti quei Giudei che nel futuro si convertiranno a Cristo”.
Ora, una tale interpretazione tenderebbe a mettere Paolo in contraddizione con la sua stessa linea di ragionamento seguita in questa epistola. Contro la perversione del vangelo da parte di Giudaizzanti egli aveva enfatizzato che “la benedizione di Abraamo” riposa ora su tutti quelli che, e solo su quelli che “sono dalla fede” (3, 9), tutti quelli, e solo quelli che “appartengono a Cristo” sono “eredi secondo la promessa” (3, 29). Questi sono le stesse persone che “camminano per lo Spirito” (5, 16), e “sono condotti dallo Spirito” (5, 18).
Inoltre, per risultare esplicito nel suo intento, l’apostolo aveva attirato l’attenzione in modo particolare sul fatto che Dio conferisce le sue benedizioni su tutti i veri credenti a prescindere dalla loro nazionalità, razza, posizione sociale, o sesso: “Non vi è né Giudeo né Greco, non vi è né schiavo né libero, non vi è né maschio né femmina; perché voi siete tutti uno in Cristo Gesù” (3, 28). Mediante un’allegoria (4, 21-31), egli aveva poi re-enfatizzato questa verità. Ed ora disfarrebbe tutto questo, alla fine della sua lettera, col pronunciare una benedizione “su quanti” cammineranno secondo la regola del gloriarsi nella croce, che siano Giudei o Gentili, e poi col pronunciare una benedizione su quelli che non camminano (o non ancora camminano) secondo quella regola? Rifiuto di accettare una tale spiegazione.
Appellarsi al ben noto “Diciotto petizioni dei Giudei”[12] per il significato della parola Israele in altri passaggi neotestamentari non può salvare una tale interpretazione. Galati 6, 16 deve essere interpretato in accordo col suo contesto specifico e alla luce dell’intero argomento di questa epistola particolare. Ed è molto chiaro che nelle sue epistole l’apostolo impiega il termine Israele in più di un solo senso. Nel giro di un singolo verso, a volte, come in Romani 9, 6 egli lo usa in due sensi differenti. Ogni passaggio in cui il termine si trova deve essere spiegato alla luce del suo contesto. Infine, Paolo usa il termine “l’Israele di Dio” soltanto in questo passaggio, e non altrove.
Qual è allora la soluzione? In armonia all’intero insegnamento di Paolo in questa epistola (e cf. anche Ef. 2, 14-22), ed anche in armonia all’affermazione generale e inclusiva all’inizio del passaggio in questione, dove l’apostolo pronuncia la benedizione di Dio di pace e misericordia “su quanti” cammineranno per questa regola, e da questi “quanti” non si può nè aggiungere nè sottrarre, è mia ferma convinzione che hanno ragione quei traduttori ed interpreti che traducono il kaicon “e cioè”, o lasciandolo non tradotto. Dunque, quello che l’apostolo sta dicendo è questo: “E su quanti cammineranno per questa regola, pace (sia) su di loro e misericordia, e cioè sull’Israele di Dio”. Cf. Salmo 125, 5. Su tutto il vero Israele di Dio, Giudei e Gentili, tutti quelli che si gloriano realmente nella croce, è pronunciata la benedizione.
O. Palmer Robertson sull’Israele di Dio[13]
Volere un popolo distinto come recipiente delle benedizioni redentive di Dio e che abbia un’esistenza separata dalla chiesa di Gesù Cristo crea dei problemi teologici insuperabili. Gesù Cristo ha soltanto un corpo e soltanto una sposa, un solo popolo che chiama suo proprio e che è il vero Israele di Dio. Questo unico popolo è composto di Giudei e Gentili che credono che Gesù è il Messia promesso.
Traduzione di Francesco De Lucia dall’Articolo originale
Note
[1] H.A.W. Meyer nel suo Critical and Exegetical Hand-book to the Epistle to the Galatians (quinta edizione tedesca, 1870), elenca i seguenti commentatori a supporto di questa veduta: Crisostomo, Teodoreto, Lutero, Calvino, Pareus, Cornelius a Lipide, Calovius, Baumgarten, Koppe, Rosenmüller, Borger, Winer, Paulus, Olhausen, Baumgarten-Crusius, e Wieseler, e Meyer stesso. A questi nomi, l’editore americano della traduzione inglese del suo commentario (1884) aggiunge Alford e Lightfoot. Andreas J. Köstenberger (che favorisce questa veduta in "The Identity of the Israel tou theou (Israel of God) in Galatians 6:16," Faith & Mission 19/1 [2001]: 3–24) vi aggiunge i nomi di Giustino Martire, Beale, Dahl, D. Guthrie, Lietzmann, Luz, Longenecker, Ray, Ridderbos, e Stott. Pochi commentatori favoriscono la veduta che si riferisca a cristiani ebrei: Meyer elenca Ambrosiaster, Beza, Grotius, Estius, Schoettgen, Bengel, Räckert, Matthies, Schott, de Wette, Ewald, and Reithmayr; e l’editore americano vi aggiunge Ellicott e Eadie. G. Schrenk (che sostiene questa veduta in "Was bedeutet 'Israel Gottes'?" Judaica 5 [1949]: 81–94) aggiunge a questi Pelagio, B. Weiss, Hofmann, Zahn, Schlatter, Bousset, and Burton. Köstenberger elenca anche Schrenk, Robinson, Mussner, Bruce, Davies, Richardson, Betz, Walvoord, S. L. Johnson, ed "altri dispensazionalisti" a supporto. Per un ragguaglio sui commentatori che favoriscono questa seconda veduta, vedasi S. Lewis Johnson, Jr., "Paul and 'The Israel of God': An Exegetical and Eschatological Case-Study," in Essays in Honor of J. Dwight Pentecost (ed. Stan Toussaint and Charles Dyer; Chicago: Moody, 1986), pp. 183–94. Queste liste di nomi, che includono alcuni studiosi poco conosciuti e alcuni non cristiani, non dà un’impressione accurata dell’estensione e dominio che avuto la prima veduta nella chiesa cristiana. L’influenza combinata di Crisostomo, Lutero e Calvino è maggiore di tutte le altre. Prima del ventesimo secolo soltanto questa veduta era menzionata in commentari intesi per predicatori e non. Si veda, ad es., il Commentario di Matthew Henry (1721), e le Note di Thomas Scott (1822). Questa interpretazione era data per scontata in generale negli scritti teologici cristiani.
[2] Mal Couch, "The Rise of Anti-Semitism: 'The Rustling of the Leaves'" Conservative Theological Journal 6 (December 2002), pp. 288-9. Egli sembra credere che negare dei privilegi speciali agli ebrei etnici sotto il vangelo è “antisemita”.
[3] Ciò viene espicitamente affermato da Charles Ryrie nel suo libro Basic Theology (Wheaton, Illinois: Scripture Press, 1986). Nella sua discussione di Galati 6, 16 egli dice che “Israele di Dio” si riferisce a “una parte specialmente importante” della Chiesa a cui viene diretta “una benedizione speciale” (p. 399).
[4] Stranamente, nella sua Scofield Reference Bible del 1917 alla parola “Israele” egli inserisce un riferimento a Romani 4, 12, che indica l’interpretazione tradizionale dell’”Israele di Dio”. Questo riferimento tuttavia fu omesso dagli editori della New Scofield Reference Bible pubblicata nel 1967.
[5] Questa tendenza dispensazionalista sembra essersi pientamente sviluppata nel cosiddetto “Giudaismo Messianico” degli ultimi quarant’anni, che è chiaramente settario in natura. Molti, inclusi alcuni missionari agli ebrei, hanno espresso apprensione sulla direzione di questo movimento. Fred Klett (un evangelista ebreo associato alla Presbyterian Church in America) parla del problema in una conferenza della 19a Lausanne Consultation on Jewish Evangelism in nord America, il Marzo 11-13, 2002. Egli scrive: "Il Dispensazionalismo tradizionale insegna che durante l’epoca presente gli Ebrei e i Gentili che credono in Gesù sono tutti ugualmente parte della chiesa. La distinzione tra la chiesa ed Israele è essenzialmente teorica e di poca conseguenza pratica nella presente dispensazione. Nell’acquisire un’identità distinta, il Giudaismo Messianico si è allontanato da alcuni elementi del Dispensazionalismo ma ne ha mantenuto altri. Ha ritenuto la distinzione chiesa-Israele, ma quanto era solo teorico nel vecchio Dispensazionalismo è stato portato nel presente. Ha immanentizzato l’eschaton, ovvero: quanto è futuro per i dispensazionalisti, ovvero un piano milleniale separato per Israele lo ha portato in atto nella realtà presente. Nella situazione presente essi credono, Dio ha un piano separato, delle promesse ulteriori, e delle obbligazioni di patto uniche ai credenti ebrei. Questa confusione di epoche è usata da Fischer per giustificare i Gentili che si convertono al Giudaismo Messianico. Egli argomenta che siccome questo tipo di volontà sarà fatta durante il “millennio” perchè non anche ora?” ("The Centrality of Messiah and the Theological Direction of the Messianic Movement," Lausanne Consultation on Jewish Evangelism Bulletin 68, May 2002). L’espressione di Klett “immanentizzato l’eschaton” è molto appropriata ma non sembra capire che questa confusione è stata la norma da lungo tempo nel Dispensazionalismo popolare. Il libro di Hal Lindsey del 1970 The Late Great Planet Earthlo ha mostrato chiaramente. Il “Giudaismo Messianico” è più un risultato che una causa di questa confusione. La grande maggioranza di chi è coinvoilto nel “Giudaismo Messianico” è composta non di ebrei ma di carismatici Gentili le cui fantasie escatologiche li hanno spinti a recitar la parte degli “ebrei nel millennio” loro stessi. Una delle fonti più attendibili, Stan Telchin del ministero "Jews for Jesus", stima che tra ottanta e novanta percento delle persone coinvolte nel “Giudaismo messianico” sono Gentili, e si lamenta che per tutta l’enfasi sull’essere giudaici il movimento non ha attratto molti ebrei. Egli racconta di una donna ebrea disgustata dallo spettacolo di Gentili “che adorano i simboli del Giudaismo”, che fanno alberi genealogici per cercare antenati ebrei, e che cercano di osservare i riti della Torah come fossero ebrei ortodossi. Ella ha abbandonato la scena “Messianica” che lei descrive come “piena fino a traboccare di impostori e farisei” ed è divenuta parte di un’ordinaria chiesa cristiana dove il centro dell’attenzione era Cristo, e non il Giudaismo (Messianic Judaism is Not Christianity, Grand Rapids: Chosen, 2004], p. 82).
[6] Circa AD 160. In The Ante-Nicene Fathers of the Christian Church, eds. Alexander Roberts and James Donaldson, vol. 1 (Eerdmans, repr. 1987), p. 200.
[7] Circa AD 395. DaThe Commentary and Homilies of St. John Chrysostom, Archbishop of Constantinople, on the Epistles of St. Paul the Apostle to the Galatians and Ephesians, translated by the Rev. Gross Alexander, in volume 13 di A Select Library of the Nicene and Post-Nicene Fathers of the Christian Church, ed. Philip Schaff. Crisostomo viene chiamato “antisemita” ingiustamente in alcuni libri recenti, sulla base di alcune affermazioni in una serie di otto sermoni contro i Giudaizzanti. Ma chiunque può leggere e vedere che i suoi non erano attacchi gratuiti su un gruppo etnico, ma una polemica religiosa. Questi sermoni polemici non erano gratuiti perchè molti cristiani sotto la sua cura pastorale stavano frequentando i servizi della sinagoga per ragioni religiose (cf. Discourses against Judaizing Christians translated by Paul W. Harkins in The Fathers of the Church, vol. 68 [Washington: Catholic University of America Press, 1979]). Le sue parole forti contro gli ebrei per la loro reiezione di Cristo sono insultive secondo gli standard moderni, ma non più delle parole dell’apostolo Paolo in I Tessalonicesi 2, 14-16.
[8] Da Lectures on Galatians, 1519, volume 27 de Luther's Works, ed. Jaroslav Pelikan (Saint Louis: Concordia, 1964), p. 406. Anche Lutero è stato chiamato “antisemita” da alcuni scrittori moderni, senza avallo. I suoi trattati contro gli ebrei erano certamente immoderati, ma non avevano niente a che fare con Israele in quanto popolazione etnica, e non erano più virulenti dei suoi attacchi contro i cattolici o gli anabattisti. Alcune delle sue parole più dure furono scritte contro i monaci (nei suoi scritti tardi usava la parola “monaco” perfino come un insulto), e tuttavia egli stesso era stato un monaco. Si deve anche ricordare che l’indignazione di Lutero era stata accesa dalla pubblicazione del Toledot Yeshu, una collezione di storie derogatorie su Cristo, Maria, e gli apostoli che circolavano tra gli ebrei durante il Medioevo. Uno studioso ebreo sostiene che tali storie erano necessarie “per intenti polemici”. Ad esempio, era “necessario per gli ebrei insistere sull’illegittimità di Gesù in base alla discendenza davidica reclamata dalla Chiesa Cristiana”, vedi (Jewish Encyclopedia, vol. 7, p. 170).
[9] Da Lectures on Galatians, 1535, volume 27 de Luther's Works, ed. Jaroslav Pelikan (Saint Louis: Concordia, 1964), p. 142.
[10] John Calvin, Calvin's Commentaries, vol. XXI, trad. di William Pringle (Grand Rapids: Baker Book House, ed. 1979), p. 186.
[11] William Hendriksen, New Testament Commentary: Exposition of Galatians, Ephesians, Philippians, Colossians, and Philemon (Grand Rapids: Baker Book House, ed. 1995), pp. 246-7.
[12] Hendriksen si riferisce a commentatori che sostengono che in Galati 6, 16 Paolo sta facendo eco ad una petizione recitata nella liturgia tradizionale della sinagoga conosciuta come Shemoneh Esreh, che consiste di una serie di petizioni. La petizione finale, per come recitata precisamente nella prima parte del primo secolo, non si conosce, ma una recensione più tarda legge:
"Concedi pace, benessere, benedizione, grazia, benignità e misericordia su di noi e a tutto Israele, il tuo popolo. Benedicici, o nostro padre, tutti insieme, con la luce del tuo volto, perchè per la luce del tuo volo tu ci hai dato, o Signore nostro Dio, la Legge della vita, benignità e giustizia, benedizione, misericordia, vita e pace, e possa essere buono ai tuoi occhi benedire il tuo popolo Israele sempre ed in ogni ora con la tua pace. Benedetto sei tu, o Signore, che benedici il tuo popolo Israele con la pace." (Da Authorized Daily Prayer Book, tr. S. Singer [1890], p. 54.)
Raymond T. Stamm nella Interpreter's Bible (volume 10, p. 591) asserisce che una forma antica della petizione ha l’espressione “misericordia su di noi, e sul tuo popolo israele”, e sulla base di questa somiglianza verbale argomenta che:
"Ciò significa che quando un individuo o gruppo di persone erano in adorazione avrebbero esteso le loro preghiere per includere le stesse benedizioni su tutto il resto degli israeliti che non erano presenti con loro. Così Paolo, che aveva invocato l’anatema su tutti quelli che predicavano un vangelo diverso, ora prega per i suoi compaesani che non hanno ancora accettato Cristo (similmente al cambio di attitudine da Romani 2 a Romani 11). Questa interpretazione significa che Paolo sta pregando per la pace e la misericordia sulla chiesa come sulla nazione giudaica."
Ma la logica di Stamm è opaca a dire il minimo. Ovviamente la parola “Israele” denotava gli ebrei nella liturgia della sinagoga, e la parola sarebbe stata associata agli ebrei e al Giudaismo nella mente di Paolo, ma perfino se la benedizione di Paolo somiglia ad una petizione usata nella liturgia della sinagoga ciò non implica niente di necessario sul significato di “Israele di Dio”. Abvrebbe potuto benissimo adattare la terminologia della petizione ed usarla nello stesso modo della sinagoga ma come un modo di riferirsi alla totalità dei cristiani. Il fatto stesso che ci sia una somiglianza ad una petizione dalla liturgia della sinagoga non significa che debba continuare ad essere usata come riferimento esclusivo agli ebrei. Il parallelo verbale, quindi, che comunque non è esatto, non ha le implicazioni che Stamm ne trae.
Hendriksen ha ragione: Paolo non può star pronunciando una benedizione su due gruppi differenti; essa è su “quanti cammineranno per questa regola” ed essi sono il vero “Israele di Dio”, un Israele che è distinto dall’Israel kata sarka, i.e. “Israele secondo la carne” (greco in I Cor. 10, 18).
[13] O. Palmer Robertson, The Israel of God: Yesterday, Today, and Tomorrow (Phillipsburgh, New Jersey: Presbyterian and Reformed Publishing Co., 2000), p. 49.