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La Cena del Signore: il Pasto del Corpo di Cristo

 

Francesco De Lucia

 

 

 

Introduzione

 

Quando il testo sacro del Nuovo Patto descrive la “Cena del Signore”, o il “rompere il pane”, quello che ci fa vedere non è un rito celebrato meramente con un’ostia sacra intinta nel vino (come nella tradizione cattolica) o qualche pezzetto di pane e qualche bicchierino di vino specialmente dedicati a quest’uso (come nella tradizione evangelica). Con le espressioni "Cena del Signore" (I Cor. 11:20), o "rompere il pane" (Luca 22:19; Atti 2:42; 20:7), il Nuovo Testamento descrive piuttosto un vero e proprio pasto comunitario di patto a cui tutti fedeli contribuivano con quello che potevano, che si celebrava all’interno delle loro case, accentrato sui (ma non limitato ai) simboli di un pezzo di pane e di un calice di vino, come occasione per fortificare e nutrire la propria unione e comunione intorno al Signore Gesù Cristo e la sua salvezza.

 

Quello che inoltre vediamo, e qui lo notiamo solo incidentalmente, è che nessuno era specialmente addetto a dare inizio o a terminare questo pasto. Questo privilegio non è mai riservato a qualcuno in particolare nel Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento lascia semplicemente libertà in questo: qualsiasi tra i fratelli avrebbe potuto iniziare con qualche parola di insegnamento o esortazione a riguardo del pasto comune celebrato nel nome del Signore e avrebbe potuto pregare per lodare o ringraziare il Signore per esso. Questo pasto, per di più, non era un momento sobrio, mesto, introspettivo, quasi funereo. Al contrario, era un’occasione di gioiosa interazione e comunione tra membri di una medesima famiglia spirituale, di un medesimo corpo che era esortato e ricordato, proprio in occasione di quel pasto spirituale, a fare nuovamente esperienza della propria unità spirituale creata dalla morte e risurrezione di Cristo, favorita e consolidata dall’occasione del pasto spirituale comunitario.

 

Lo scopo di questo pasto, più specificamente, era triplice: primo, aveva lo scopo di ricordare la morte del Signore che aveva reso possibile la loro unione e comunione come membri del Suo corpo nell’amore. Secondo, era un modo per rinnovare e rafforzare quella unione e comunione spirituale attorno alla mensa del Signore. E terzo, era un monito a guardare al futuro, quando quello che accadeva lì tra loro durante la Cena sarebbe stato adempiuto nella sua forma più perfetta e completa al ritorno del Signore, quando Egli Stesso avrebbe mangiato e bevuto con loro nel regno dei cieli (Luca 22:15-16).

 

Molti cristiani saranno rimasti scettici nel leggere questo sketch della Cena del Signore nel Nuovo Testamento. Il modo di descrivere la Cena del Signore, per come brevemente delineato sopra, dissona significativamente da quello a cui essi sono stati abituati fin da piccoli secondo la loro tradizione cristiana ecclesiastica di provenienza, qualsiasi essa sia. Questo scetticismo è comprensibile. Ma sorprenderà quegli stessi cristiani leggere che studiosi cristiani di varie denominazioni, le cui qualifiche accademiche superano di gran lunga quelle di chi scrive, e di cui chiunque abbia una conoscenza anche solo cursoria del mondo teologico cristiano non ne potrà dubitare la credibilità accademica, concordano nel dire che nel primo secolo il modo in cui la Cena si celebrava era proprio quello che io ho descritto sopra. Qualche esempio aiuterà il lettore.

 

Nella tradizione anglicana, Leon Morris, Canone e Principale del Ridley College a Melbourne, ha affermato: “Questo verso (I Cor. 11:21) rivela che a Corinto la Santa Comunione non era semplicemente un pasto simbolico come lo facciamo noi, ma un vero e proprio pasto. Inoltre sembra chiaro che era un pasto a cui ognuno dei partecipanti portava del cibo.”[1] John Drane, un altro noto studioso anglicano, concorda: “Per l’intero periodo del Nuovo Testamento era celebrato come un pasto vero e proprio nelle case dei cristiani. Fu soltanto molto più tardi che la Cena fu spostata in un edificio speciale e che preghiere e lodi sviluppatesi dall’ambito della sinagoga giudaica e da altre fonti vi furono aggiunte per fare di essa una grandiosa cerimonia.”[2]

 

Nella tradizione evangelica, si potrebbero portare la testimonianza di vari autori, alcuni molto autorevoli, come F. F. Bruce,[3] William Barclay,[4] Vernard Eller,[5] i quali concordano nell’affermare che nei giorni primitivi la chiesa celebrava la Cena come un pasto vero e proprio o all’interno di un pasto vero e proprio. Come rappresentante della loro opinione prenderò Donald Guthrie, ex Vice-principale del London Bible College, che commenta così: “Nei primi giorni della chiesa la Cena del Signore aveva luogo nel corso di un pasto comunitario. Tutti portavano del cibo, quello che potevano, e si condivideva insieme.”[6]

 

James R. Hamilton Jr., questa volta un battista, Professore associato di Teologia Biblica al Southern Baptist Theological Seminary, KY, commenta sulla Cena: “Proprio come Gesù istituì la Cena del Signore nel contesto di un pasto vero e proprio, così anche la chiesa cristiana primitiva celebrava la Cena del Signore - così sembra - nel contesto di un pasto vero e proprio ... è importante capire che i primi cristiani prendevano la Cena del Signore nel contesto di un pasto vero e proprio ...".[7] Tra i battisti concordano con Hamilton anche B. B. Blue, E. E. Ellis, E. J. Schnabel, Thomas Schreiner, ed altri.[8]

 

All’interno della tradizione calvinista faremo parlare l’eminente teologo Herman Bavinck, riformato, Professore di Dogmatica all'università di Kampen e poi della Vrije Universiteit di Amsterdam: “Fin dal principio la Cena del Signore ha occupato un luogo importante nel culto cristiano. Di solito era celebrata in un assemblea particolare della chiesa durante la sera del giorno del Signore in combinazione ad un pasto regolare ... Dalla Didache [un documento postoapostolico del primo secolo dopo Cristo] sappiamo ... che si teneva un vero e proprio pasto e che l'intero rito si concludeva con una preghiera di ringraziamento".[9] Si potrebbero citare altri riformati che concordano con quello che dice Bavinck e che aggiungono che la cena era sempre associata all'agape (Giuda 1:12) nel primo secolo e che il nome dell'una era usata intercambiabilmente per descrivere l'altra. Tra essi Riisen,[10] Turretini,[11] Berkhof.[12]

 

Nella tradizione metodista, infine, I. Howard Marshall, ex Professore di Esegesi del NT all'università di Aberdeen, scrive: “La Cena del Signore ... all'inizio era osservata dai Suoi discepoli come parte di pasto comunitario, ogni domenica.”[13]

 

Come è evidente, quindi, da tante parti del corpo di Cristo si riconosce che i primi cristiani celebravano la Cena in un modo che aveva un aspetto abbastanza diverso da quello che vediamo nelle nostre comunità odierne. In questo che intendo sia uno studio principalmente esegetico intendo esaminare i testi neotestamentari che discutono e descrivono la Cena del Signore, cercando di stabilire, forte della testimonianza favorevole di così autorevole parte del mondo accademico sul modo primitivo di celebrare la cena, il significato dei singoli testi e quindi l’insegnamento del Nuovo Testamento in generale in modo particolare sul modo di celebrare Cena. Altri aspetti della Cena, come il suo significato e scopo, verranno toccati in connessione al modo di celebrarla ma riceveranno un’attenzione, non essendo questo specificamente lo scopo di questo saggio. Concluderò col chiederci questo: se è pur vero come è vero che i Cristiani primitivi celebravano la Cena come un pasto vero e proprio, ed il Nuovo Testamento mostra che questo era il solo modo in cui Cristo e gli apostoli istruirono la Chiesa a celebrare questa ordinanza, non sarebbe quantomeno una cosa raccomandabile imitare la loro pratica?

 

 

Cristo Istituisce la Cena

 

La “Cena” fu stabilita dal Signore Gesù Cristo Stesso poco prima della Sua passione, morte e risurrezione. In tutti e quattro i Vangeli leggiamo di essa. Molti studiosi sono concordi nell’affermare che la prima Cena fu consumata nel contesto di una Cena Pasquale dell’Antico Testamento, che era un pasto vero e proprio. Ma anche per coloro che non riescono a pronunciarsi in maniera categorica a riguardo della natura Pasquale di questo pasto non vi è dubbio che quello che ebbe luogo durante quella sera fu un pasto, una vera e propria cena.

 

Una lettura anche solo superficiale dei passi evangelici mostrerà questo risultato: “Mentre mangiavano Gesù prese del pane; detta la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e disse: «Prendete, questo è il mio corpo».” (Marco 14:22 – enfasi mia). “Allo stesso modo, dopo aver cenato diede loro il calice dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi.” (Luca 22:20 – enfasi mia). Il pane ed il vino, come si nota facilmente, furono consumati nel contesto di un pasto vero e proprio.

 

Dunque, che questa fosse una Cena Pasquale o meno, quello di cui possiamo essere assolutamente certi è che la prima “Cena del Signore”, quella istituita e celebrata dal Signore Gesù Cristo Stesso, si tenne nel contesto di un pasto vero e proprio, specificamente, di un pasto serale vero e proprio. Gli elementi del pane e del vino, su cui il Signore commenta e che stabilisce come i simboli della Sua passione compiuta a favore del Suo popolo, ricevono l’attenzione principale di questo pasto. Il Signore stabilisce che essi siano il centro di quella cena, e che, mediante il significato spirituale particolare che Egli attribuisce loro, facciano di quel pasto serale un pasto “speciale”, che assume così connotati sacri. Questo pasto è un pasto riservato dal Signore a quelli che Lui Stesso ha chiamato alla comunione del Nuovo Patto, invitandoli alla partecipazione dei Suoi atti redentivi alla croce: “Mentre mangiavano, Gesù prese del pane; detta la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e disse: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. Poi Gesù disse: «Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti». (Marco 14:22-24).

 

Leggendo l’istituzione della Cena è chiaro anche che essa guarda al passato, al presente e al futuro. L’uso dei simboli del pane e del vino, letterariamente detti “essere” il Suo corpo e il Suo sangue, serve a far ricordare a coloro che ne partecipano che il Signore ha offerto per loro la Sua vita Stessa “come prezzo di riscatto”. L’identificazione dei simboli con ciò che simboleggiano serve a stabilire una connessione commemorativa tra l’atto del consumare gli elementi e le realtà che essi simboleggiano, che in un momento specifico del passato furono il corpo ed il sangue del Signore, crocifisso per i celebranti. La Cena ha dunque un aspetto commemorativo, guarda al passato di coloro che la celebrano, e questo per istituzione di Cristo Stesso: “fate questo ogni volta che ne partecipate, in memoria di me”, parole che succedono immediatamente la spiegazione del significato spirituale e commemorativo dei simboli del pane e del vino. Col prendere gli elementi del pane e del vino, i celebranti sono esortati a guardare indietro alla morte del Signore. La tradizione cattolica ha sempre fin dal principio notato questo aspetto, e quella zwingliana l’ha enfatizzato al di sopra di tutti gli altri aspetti della Cena.

 

Ma la prima Cena non guarda soltanto al passato, essa volge l’attenzione dei celebranti anche al presente immediato stesso della celebrazione. Essa è un atto comunitario: “prendete”, “mangiatene”, “fate questo”, sono i plurali che il Signore ingiunge alla comunità dei primi discepoli radunati per la prima volta attorno a Lui Stesso per celebrare la Cena. Anche se solo ancora in forma seminale, già dai vangeli si può notare che essa è quindi un atto eminentemente partecipato, e partecipato da una pluralità che attorno e in ragione delle realtà rappresentate dai simboli del pane e del vino fa esperienza di un’unione particolare: quella di essere, insieme, partecipi dei benefici della morte del Signore. In aggiunta, e questo desideriamo enfatizzarlo, il mangiare insieme in tempi biblici, e questo particolarmente nella cultura e nell’immaginario collettivo ebraico, era esso stesso un atto che allo stesso tempo presupponeva e fortificava l’intimità di chi era legato da vincoli familiari o sociali significativi. L’atto del pasto insieme è perfino usato dal Signore come metafora della perfetta comunione e intimità che i Suoi avranno con Lui nel regno dei cieli, e con questo giungiamo all’aspetto futuro della Cena.

 

«Ho vivamente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima di soffrire; poiché io vi dico che non la mangerò più, finché sia compiuta nel regno di Dio» (Luca 22:15-16), sono le parole del Signore. Queste parole sono enormemente significative. A prescindere dal fatto che esse, a mio avviso, stabiliscono una connessione intima inequivocabile tra la Pasqua ebraica e la Cena del Signore, esse connettono la Cena al futuro della Chiesa “nel regno di Dio”, dove il Signore dice che la Cena – e la Pasqua – sarà “compiuta”. Il verbo pleroo, da cui deriva la parola tradotta “compiuta”, è una parola carica di significato escatologico, e, una consultazione di qualsiasi concordanza del greco neotestamentario mostrerà che essa è usata escatologicamente per più della metà dei casi in cui si trova nel Nuovo Testamento. La sua associazione con “il regno di Dio”, che dal contesto è chiaramente un riferimento al compimento escatologico dei tempi alla seconda venuta di Cristo dal cielo, ne fa di essa un termine carico di significato escatologico e quindi attribuisce al significato della Cena un chiaro e marcato connotato futuro.

 

Il Signore Stesso, che lì per primo istituì e che partecipò alla prima Cena con i Suoi primi discepoli prima di portare a compimento quello per cui era venuto in terra la prima volta (“prima di  soffrire”), afferma che vi è un tempo nel futuro (“mangerò di nuovo”) in cui Egli siederà di nuovo coi Suoi discepoli e mangerà quella stessa Pasqua con essi “nel regno di Dio”, ma non “prima” di allora. Quello che accadde quella sera guardava avanti al regno dei cieli, quando la Cena si sarebbe ripetuta e compiuta nella sua forma finale e completa.

 

Secondo il verbo “pleroo”, la celebrazione di quella cena nel regno dei cieli sarebbe stato un escatologico “compimento”, ovvero “adempimento, portamento a pienezza” di quello che accadeva quella sera per la prima volta. Per contrasto, quindi, non è difficile dedurre che la prima cena coi Suoi discepoli intende essere anche una parziale raffigurazione, rappresentazione, di quello che accadrà nel regno dei cieli, verso cui essa guarda e quando essa verrà portata a compimento. Questo compimento è descritto graficamente in Apocalisse (19:9) e Matteo (8:11), che ci dicono che siederemo a tavola coll’Agnello, alla Sua “mensa”, dove parteciperemo all’onore di conviviare col Re dell’Universo, il divino Sposo della chiesa!

 

Noi “ci metteremo a tavola” con Abraamo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei cieli! La comunione, l’intimità, la gioia della Sposa dell’Agnello col Suo Re sarà allora “compiuta”. Nel frattempo il Signore ingiunge ai Suoi discepoli di “fare questo” – di “mettersi a tavola” e “fare questo” che faceva Lui in quel momento coi Suoi discepoli – per ricordarsi di Lui, e allo stesso tempo guardare in avanti al compimento di quella cena, di quel momento di celebrazione e anticipazione. E, come ha detto qualcuno, quale miglior modo di prefigurare un banchetto se non con un banchetto? E difatti nelle descrizioni evangeliche vediamo che laprima Cena fu proprio niente di diverso da un banchetto.

 

La Cena del Signore, per come istituita e descritta nei Vangeli, fu un vero e proprio pasto serale di comunione di valenza spirituale tra il Signore e la Sua chiesa. Sebbene gli elementi del pane e del vino ricevano un’attenzione particolare, in quanto elementi particolarmente carichi di significato spirituale che attribuiscono al pasto della cena una specificità spirituale precisa, essi non sono concepiti come distaccati dal contesto del pasto di comunione pasquale in cui essi erano strettamente inseriti e concepiti e che come un insieme punta al suo futuro compimento escatologico nella mensa che si sarebbe tenuta nel regno dei cieli, “la cena di nozze dell’Agnello” (Apoc. 19:9).

 

 

La Parola Greca “Cena”

 

Nel Nuovo Testamento la parola tradotta “cena” nei racconti evangelici (ed altrove) dell’ultima cena è deipnon. Questa parola ricorre 16 volte in tutto il Nuovo Testamento,[14] non sempre con riferimento alla “Cena del Signore”, e dalle varie versioni italiane è variamente resa con le parole “cena”, “banchetto”, “convito”, perché, evidentemente, questo è quello che quella parola comunemente significava. Questo era il termine del giorno che lo Spirito Santo usò per descrivere quello che il Signore istituì e celebrò e che la chiesa del Nuovo Testamento celebrava nel primo secolo dopo Cristo: un pasto festivo e celebratorio.

 

Sarebbe dunque strano, chiediamoci, se il Signore e i Suoi apostoli dopo la Sua ascensione celebrarono questa deipnon (cena, banchetto, convivio) per quello che essa di fatto e di solito significava: un pasto, serale, tenuto per celebrare gioiosamente, in questo caso, la Sua morte, risurrezione e ritorno? Un pasto che univa i convivianti nella gioia ed intimità della sua tavola celebrativa? Abbiamo visto che la prima deipnon fu proprio un tale banchetto, o convivio, tra il Signore e i Suoi discepoli. Sorprenderebbe qualcuno se anche le deipnon (cene) dopo quella furono dei veri e propri banchetti, e se il Signore intendesse che lo fossero? Il contrario sarebbe vero. Trovare qualcosa di diverso da un banchetto, un convivio fraterno come lo fu la prima Cena, qualcosa poi di contrario al significato del termine stesso “cena” per come usato in tutto il Nuovo Testamento, sarebbe piuttosto strano e da giustificare dalla Scrittura del Nuovo Testamento.

 

Ma, come stiamo per vedere, il Nuovo Testamento non ci fa mai vedere niente di diverso che una vera e propria cena, un banchetto, in nessun caso. Tutti gli altri dati neotestamentari sono coerenti con la celebrazione della prima Cena e del significato stesso di questa parola usata per descriverla. Quando il lettore leggerà i passi dove questa parola è usata, si accorgerà che nessuno di essi descrive la Cena come un rito separato dal contesto di un pasto comunitario vero e proprio di valenza spirituale. 

 

 

Il Significato di “Spezzare il Pane”

 

Come abbiamo visto, lo Spirito Santo usò la parola deipnon per descrivere la Cena, perché voleva intendere con questo termine quello che essa significa e descrive in tutto il Nuovo Testamento: un pasto serale celebrativo, un banchetto, un convivio tra partecipanti uniti intimamente attorno alla sua tavola. La prima Cena, quella stabilita da Gesù Stesso, fu proprio un tale tipo di pasto vero e proprio che però assumeva una particolare valenza spirituale e sacra. Una vera cena sacra di comunione con al centro il pane e il vino. Qui vedremo che tali furono anche le celebrazioni della Cena che seguirono quella prima istituita e celebrata dal Signore Stesso: gli episodi negli Atti degli Apostoli.

 

Lo Spirito Santo non usa mai la parola deipnon per descrivere la Cena celebrata dalla chiesa del Signore asceso nel libro degli Atti, eppure virtualmente tutti i commentatori che ho a mia disposizione (alcuni dei quali il lettore può facilmente consultare online in lingua inglese) concordano che è molto probabile che abbiamo in questo libro delle brevi descrizioni di questa celebrazione di questo pasto sacro. Con quale espressione dunque lo Spirito le denomina? Con “spezzare il pane” (Atti 2:42, 46; 20:7; anche in I Cor. 10:16). Coerentemente alla convenzione linguistica culturale del tempo, anche questa espressione, come la parola deipnon, stava ad indicare un pasto vero e proprio, in questo caso l’inizio di un pasto vero e proprio, come evidente dagli esempi stessi neotestamentari di Atti 20:11 e Luca 24:30, 35, dove vengono descritti due pasti comuni che non erano la Cena. Quando qualcuno quindi veniva detto “spezzare il pane” quello che comunemente si intendeva era “iniziare un pasto insieme ad altri”. Non c’è alcun’altra indicazione nei passi stessi, sia quelli esplicitamente a descrizione della Cena che gli altri a descrizione di un pasto comune che non fosse la Cena, che questa espressione fosse usata in un senso diverso che quello di un pasto vero e proprio.

 

Lo Spirito usa la stessa espressione sia per descrivere un pasto comune che non fosse la Cena che la Cena vera e propria. Non c’è alcun elemento nella descrizione dei passi che usano questa espressione per descrivere la Cena (Atti 2:42, 46; 20:7; I Cor. 10:16) che indichino che la Cena fosse celebrata in alcun altro modo che quello che quell’espressione comunemente significava nell’uso del tempo esemplificato anche altrove nel Nuovo Testamento. Il lettore è esortato a leggere i passi, e a verificare da sé se quello che viene descritto offre alcun suggerimento chiaro a favore di un rito estrapolato dal contesto di un pasto vero e proprio. Se non vi è alcun tale suggerimento, e se le parole usate sono le stesse di quelle impiegate per descrivere un pasto comune (in Atti 20:11, ad es.), allora quello che si dovrà presumere, fino a chiara prova Scritturale contraria, è che l’espressione usata dallo Spirito per descrivere la Cena in questi passaggi (“spezzare il pane”) ha il medesimo significato che, secondo l’uso linguistico del tempo, ha nei passaggi dove tutti concordano sta ad indicare (l’inizio di) un pasto vero e proprio.

 

Meramente in base alle parole usate per descrivere la “Cena del Signore” nel Nuovo Testamento, quindi, sia il termine deipnon che l’espressione “spezzare [o rompere] il pane”, non è legittimo ricavare alcunché che la descrizione di un pasto (serale) di comunione vero e proprio di valenza spirituale e con al centro il pane e il vino. Gli apostoli celebrarono la Cena coerentemente al modo in cui essa fu istituita dal Signore Gesù Cristo la sera prima di essere tradito, senza trasformarla in qualcosa di altro o estrapolandola dal contesto del pasto comunitario.

 

 

I Corinzi 11: Correzione degli Abusi durante la Cena

 

Considerando che gli episodi dei Vangeli e quelli degli Atti virtualmente esauriscono la mole di testi che il Nuovo Testamento dedica all’istituzione e celebrazione della “Cena del Signore”, e avendo stabilito, siamo fiduciosi, che da essi quello che si osserva a suo riguardo è che, per quanto riguarda il modo di celebrarla, era un pasto comunitario (serale) di valenza spirituale con al centro gli elementi del pane e del vino, e nient’altro che questo, ci volgiamo ora al testo neotestamentario che più in dettaglio di tutti gli altri giù considerati la descrive per come essa aveva luogo in tempi apostolici: I Corinzi 11. Questo passo, essendo il più dettagliato nel Nuovo Testamento a riguardo della Cena, non solo dovrebbe confermare i risultati esegetici riscontrati finora, ma dovrebbe anzi chiarirli e rafforzarli. Uno dei principi ermeneutici fondamentali, enfatizzati soprattutto nell’ambito del Protestantesimo, è che la Scrittura interpreta la Scrittura, e i passaggi più chiari gettano ulteriore luce su quelli meno chiari.[15]

 

Dunque vediamo se I Corinzi, il passaggio più lungo, dettagliato e chiaro del Nuovo Testamento riguardo alla Cena, conferma quello che finora abbiamo riscontrato a suo riguardo o se ci costringerà a rileggere tutti gli altri passaggi in qualche altra luce.

 

Già comparata e contrastata, nel capitolo 10 di Corinzi, ai banchetti pagani tenuti in onore delle divinità greche adorate a Corinto nel primo secolo, e descritta, in concomitanza alle parole evangeliche del Signore, nello stesso capitolo, come “comunione col corpo ed il sangue di Cristo” (10:16) e come creatrice di unione “col corpo” di Cristo stesso (10:17), essa riceve più pieno trattamento nel capitolo seguente, dove l’apostolo, ispirato dallo Spirito (14:37), ne corregge autorevolmente la celebrazione abusata da parte dei Corinzi.

 

I Corinzi 11, io contendo, insieme agli autori citati all’inizio di questo studio e tanti altri che al giorno di oggi di fatto celebrano la Cena come un pasto completo, descrive la celebrazione di un pasto vero e proprio dove al suo centro vi erano gli elementi spirituali del pane e del vino. Il motivo per cui l’apostolo dovette scrivere ai Corinzi su questo argomento era un abuso che essi avevano fatto di questo pasto comunitario, come è evidente dal verso 20, specialmente, in poi. L’abuso era che alcuni di loro, e dal contesto sembra fossero quelli più benestanti economicamente, nel prendere parte a questo pasto comunitario sacro, mangiavano tutto il cibo e bevevano tutto il vino, senza però aspettare altri, più poveri, che quando arrivavano al luogo della cena non trovavano nulla. I versi 20-22 sono particolarmente istruttivi e chiari a riguardo, e, a mio avviso, non lasciano alcun dubbio a riguardo di ciò che stava accadendo. Leggiamoli: 20 Quando poi vi riunite insieme, quello che fate, non è mangiare la cena del Signore; 21 poiché, al pasto comune, ciascuno prende prima la propria cena; e mentre uno ha fame, l'altro è ubriaco. 22 Non avete forse le vostre case per mangiare e bere? O disprezzate voi la chiesa di Dio e umiliate quelli che non hanno nulla? Che vi dirò? Devo lodarvi? In questo non vi lodo.

 

Prima di tutto, se proprio ve ne fosse bisogno, dobbiamo stabilire che quello di cui qui si sta parlando è di fatto un abuso che i Corinzi stavano facendo della "cena del Signore" (v. 20). In questo passo l’argomento è la Cena del Signore, che era stata abusata dai Corinzi. Quale era l’abuso? L'abuso non era, come alcuni hanno impropriamente suggerito, che la celebravano come un vero e proprio pasto, ma era che nel celebrarla come tale non si aspettavano l'uno con l'altro (v. 33). E così, alcuni, quelli più ricchi, arrivavano prima e si mangiavano tutto ubriacandosi (“uno è ubriaco”, v. 21), ed altri invece, che arrivavano più tardi, e di solito erano i più poveri “che non hanno nulla” (22), andavano a casa affamati ("uno ha fame", v. 21) perché la cena era già stata consumata interamente da quelli che erano arrivati prima di loro.

 

Il rimprovero ispirato dell'apostolo in questi versi rivolto a quelli che in tal maniera consumavano tutto il cibo e bevevano tutto il vino senza aspettare i più poveri che arrivavano dopo, implica in modo molto chiaro che nessuno da quella "cena del Signore" se ne sarebbe dovuto andare a casa avendo "fame" (v. 21). Il fatto che “quelli che non hanno nulla” venissero “umiliati” (v. 22) da quelli che arrivando prima si mangiavano tutto e si ubriacavano e non lasciavano loro niente e quindi li facevano andare a casa avendo “fame” intende dire che nessuno di quelli più poveri se ne sarebbe dovuto andare dalla cena avendo fame. Che “uno ha fame” (v. 21) è una situazione che non si sarebbe dovuta verificare, ed è per questo che l’apostolo scrive per rimproverare i Corinzi. Questo prova senza alcun'ombra di dubbio e conclusivamente che la "cena del Signore" (v. 20) che si celebrava a Corinto (e quindi per come istituita da Cristo mediante l’apostolo Paolo che aveva fondato quella chiesa) era un vero e proprio pasto con al centro il pane ed il vino. Questo pasto, lo ripetiamo, era tale che nessuno se ne sarebbe dovuto andare da esso avendo fame, come invece avveniva a Corinto nei casi dei più poveri a cui non era lasciato niente da mangiare da parte di chi arrivava prima.

 

Quando quindi l’apostolo dice che quello che i Corinzi facevano non era mangiare la cena del Signore (v. 20), non vuole dire che loro non avrebbero dovuto celebrarla come un pasto comune. Il senso di queste parole è che essi avrebbero dovuto aspettare anche quelli che non hanno nulla perché anche loro potessero parteciparvi (v. 33). Poi, continua l’apostolo, se alcuni vanno al pasto della cena proprio così affamati che non sanno aspettare gli altri e si mangiano tutto il cibo,[16] allora mangiassero prima a casa, in modo che così la loro fame individuale è placata e alla Cena siano in grado di lasciare del cibo anche a quelli che arrivano dopo e possano così celebrare la Cena appropriatamente: come un pasto della comunità e del corpo di Cristo, e non un pasto per sfamare la propria fame individuale.

 

Se non avessero fatto così, ma avessero disubbidito questi ammonimenti, e avessero continuato, a motivo della loro fame smodata e del loro non riconoscere che quello era il pasto del e per il corpo di Cristo, a mangiarsi tutto e ad ubriacarsi, quello che avrebbero fatto non è celebrare la cena del Signore, ma abusare e profanare la cena, e quindi attirarsi addosso un giudizio da parte del Signore. Il monito del verso 22, di mangiare nelle proprie case se si ha fame, non va quindi visto come l'abolizione del pasto, ma come un monito a mangiare prima a casa se la fame individuale di alcuni è tale che, nel celebrare il pasto comunitario della cena, mangiano tutto il cibo e lasciano nulla a coloro che vengono più tardi di loro, distorcendo e profanando il significato della Cena, che è il pasto della comunità e del corpo di Cristo. I Corinzi, piuttosto che prendere “la propria Cena” (v. 21) motivati dalla fame individuale, avrebbero dovuto ricordarsi di che Cena qui si stava parlando, e avrebbero dovuto riconoscere che era un pasto del corpo di Cristo, non un pasto per soddisfare la propria fame individuale a piacimento ed in modo egoistico. Se uno non partecipa a questo banchetto riconoscendo il corpo di Cristo, cioè riconoscendo che quel pasto è un pasto che simbolizza e rafforza l’unione e la comunione spirituale che vi è tra i membri del corpo di Cristo, è un pasto di comunitario, di comunione tra i membri e di essi comunitariamente con Cristo, cosa che gli elementi del pane e del vino simboleggiano e aiutano a ricordare e realizzare, si sta abusando della Cena, e si rischia di attirarsi addosso un giudizio, peccando contro Cristo Stesso (vv. 27-28) che è Colui che unifica spiritualmente i membri di quella comunione mediante la Sua morte e risurrezione.

 

Alla luce di queste considerazioni esegetiche, il passaggio potrebbe parafrasarsi facilmente in questo modo: “20 Quando poi vi riunite insieme, quello che state facendo non è più mangiare la cena del Signore; 21 poiché, al momento di mangiare insieme, ciascuno mangia per conto suo senza riguardo del corpo di Cristo; e così il risultato di questo modo di fare è che alla fine mentre uno ha fame perché quando arriva non trova più niente da mangiare, l'altro intanto si è ubriacato perchè si è bevuto tutto per conto suo. 22 Non avete forse le vostre case per mangiare per conto proprio e sfamare e dissetare la vostra fame e sete individuale? O forse devo concludere che per voi la chiesa di Dio non conta niente e non vi interessa che quelli che non hanno nulla vengono umiliati quando arrivano e non trovano più niente da mangiare a motivo della vostra fame e sete personale? Che vi dirò? Devo lodarvi? In questo non vi lodo. 23 Poiché questo non è un pasto comune, ma un pasto sacro e comunitario, e ricordatevi che il suo significato spirituale si trova centralmente nelle parole che vi ho trasmesso da parte del Signore; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, 24 e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». 25 Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me. 26 Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga». 27 Perciò, ricordandovi qual è il significato spirituale di questo pasto, chiunque mangerà il pane o berrà dal calice del Signore indegnamente, cioè, senza celebrarlo come un pasto del corpo di Cristo il Signore, peccherà contro il Signore stesso! 28 Ora ciascuno esamini se stesso e solo in questo modo partecipi alla Cena mangiando del pane e bevendo dal calice; 29 poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne che, come ricordatovi dagli elementi del pane e del vino all’interno del pasto, questo pasto è un pasto comunitario sacro, è un pasto inteso non per la soddisfazione della fame personale degli individui ma è un pasto comunitario del corpo di Cristo. 30 Per questo motivo, anche, ovvero perché non tenete questo presente, e così profanate il pasto, molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono. 31 Ora, se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati; 32 ma quando siamo giudicati, siamo corretti dal Signore, per non essere condannati con il mondo. 33 Dunque, fratelli miei, riassumendo: quando vi riunite per mangiare, aspettatevi gli uni gli altri, in modo che tutti possano partecipare al pasto comune della Cena, e nessuno poi se ne vada a casa affamato e umiliato. 34 Se qualcuno ha individualmente così tanta fame che non può farcela ad aspettare gli altri in modo da permettere anche a loro di mangiare insieme a voi, allora mangi prima per conto suo a casa, perché così questo pasto comunitario spirituale del corpo di Cristo non venga abusato e profanato e non diventi così un’occasione per attirare su di voi un giudizio.”

 

In accordo quindi al resto del Nuovo Testamento, I Corinzi 11 descrive un pasto serale vero e proprio celebrato da una comunità spirituale accentrato sui simboli del pane e del vino. L’apostolo sta correggendo un abuso di questo pasto, ma la sua correzione non è quello di abolire il pasto stesso. Non vi è alcun elemento che indichi che l’apostolo abolì il pasto o che pensasse che questa fosse una soluzione accettabile nel correggere gli abusi di quel pasto. La sua correzione piuttosto è di ricordare loro la natura spirituale di questo pasto (vv. 23-29), simboleggiata centralmente dagli elementi del pane e del vino, e di esortare a consumare il pasto in un modo conforme a questo significato spirituale particolare. Il modo di correggere l’abuso è di aspettare quelli più poveri che non avevano nulla da mangiare, affinchè anche loro a quel pasto potessero trovare da mangiare e non se ne andassero a casa affamati. Questo pasto era non un pasto per soddisfare la propria fame individuale, ma un pasto da doversi celebrare insieme a tutto il corpo di Cristo, perché era inteso a simboleggiare e rafforzare quell’unità spirituale che si ha in Cristo, mediante la Sua morte e risurrezione, e a spingere la chiesa a guardare al futuro quando il Signore sarebbe tornato a prendere la Sua chiesa e a compiere in modo perfetto la comunione tra Lui e la chiesa prefigurata e pregustata in quel pasto spirituale comunitario. Chi celebra la Cena deve sapere e tenere a mente il significato spirituale del pasto e celebrarlo in un modo degno di esso se non vuole profanare il significato della Cena, peccare contro il Cristo, che unisce il corpo ed è presente nella comunione spirituale del Suo corpo nel pasto della Cena, e così attirarsi addosso un giudizio.

 

 

Conclusione

 

Come abbiamo visto, tutti i dati del Nuovo Testamento sulla Cena indicano la stessa cosa in modo semplice e coerente: la Cena era celebrata come un pasto o quantomeno all’interno e nel contesto di un vero e proprio pasto serale di patto e di comunione. Non vi è alcun dato che contraddica queste conclusioni, e il passaggio più chiaro a riguardo della Cena nel Nuovo Testamento, I Corinzi 11, le conferma e rafforza in modo conclusivo.

 

Nelle chiese si celebra la Cena soltanto nei suoi elementi più importanti ed essenziali, quelli che le conferiscono il suo significato spirituale centrale, il pane e il vino, e questo è buono. Ma un credente o un apostolo del primo secolo avevano in mente (e davanti a loro!) qualcosa di più di questo quando celebravano la Cena del Signore. Ritorniamo gioiosamente a quella pienezza!

 

 

Note

 

[1] Commentary to I Corinthians, p. 158, Tyndale New Testament Commentaries,

Intervarsity, 1976 ed. La traduzione dall’inglese è la mia in ogni citazione.

[2] The New Lion Encyclopedia, p. 173, Lion Publishing.

[3] First and Second Corinthians, NCB, London, Oliphant, 1971, 110.

[4] The Lord’s Supper, Philadelphia, Westminster Press, 1967, 100-107.

[5] In Place of Sacraments, Grand Rapids, Eerdmans, 1972, 9-15.

[6] The Lion Handbook of the Bible, p. 594; I Cor. 11:17-34, Lion publ., 2nd rev ed., 1798.

[7] The Lord's Supper, Schreiner and Crawford, p. 77, B&H Academics, TN, 2010.

[8] The Lord's Supper, Schreiner and Crawford, p. 77 note 3 e 4, B&H Academics, TN, 2010.

[9] Reformed Dogmatics, Vol. 4, pp. 550, J. Bolt ed., Baker Books Academics, Gr. Rapids, MI, 208.

[10] Heinrich Heppe, Reformed Dogmatics, p. 629, rev. ed by E. Bizer, Baker, GR, MI, 1950.

[11] Institutes of Elenctic Theology, p. 422, ed by J. T. Dennison Jr., P&R Publishing, Phillipsburg, NJ, 1997.

[12] Systematic Theology, p. 645, The Banner of Truth Trust, Edinburgh, UK, repr. 1979.

[13] Christian Beliefs, p. 80, The Christian Community, Intervarsity Press, 2nd ed., 1972.

[14] Mt. 23:6; Mr. 6:21; 12:39; Lc. 14:12, 16, 17, 24; 20:46; Gv. 12:2; 13:2, 4; 21:20; 1 Cor. 11:20-21; Ap. 19:9, 17.

[15] Questi principi ricevettero nel 17° sec. espressione confessionale, cf. Confessione di Westminster, Cap. I, par. 9.

[16] Questo è uno dei possibili significati del verbo peinao (v. 34), ed è il significato della parola tradotta “ha fame” che contestualmente ha più senso, ovvero: “avere una fame individuale smodata”, cf. Thayer.

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