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Paolo Fraintese l’Antico Testamento?

Un esame dell’uso paolino dell’Antico Testamento in Romani 9, 23-29

 

Geoff Volker e Steve Lehrer

 

 

 

Se si legge il Nuovo Testamento attentamente si troverà che in esso viene spesso citato l’Antico Testamento. Se ci si prenderà del tempo per andare a leggere i passaggi dell’Antico Testamento citati nel Nuovo, ci si imbatterà presto in alcune stranezze. Si scoprirà che gli autori del Nuovo Testamento spesso citano l’Antico Testamento in modi che sembrano piegare, torcere, e perfino abusare il contesto veterotestamentario in cui i versi citati furono scritti originalmente. L’uso che l’apostolo Paolo fa dell’Antico Testamento in Romani 9, 24-29 è particolarmente problematico a questo riguardo. Paolo prende versi dal libro di Osea e da quello di Isaia e li cita in questo breve passaggio. Il passaggio è notoriamente difficile da interpretare perchè Paolo sembra usare versi da Osea ed Isaia in un modo che stride con l’intenzione originale dei profeti. Egli sembra proprio piegare e torcere le Scritture veterotestamentarie e questo ci dà un bel grattacapo: “Forse che Paolo fraintese l’Antico Testamento?”

 


La chiave per comprendere la Scrittura

 

I principali seminari teologici conservatori ci dicono che dobbiamo imparare l’ebraico e il greco per poter realmentecomprendere la Scrittura: “Diventa uno studioso dell’ebraico e del greco antico e i tesori della Parola di Dio ti si schiuderanno innanzi!” Ciò è semplicemente non vero. Gli autori di questo articolo hanno imparato l’ebraico e il greco entico e benchè a volte questo ci è tornato utile, non è affatto la chiave per comprendere le Scritture. Anzi, conoscere l’ebraico e il greco può a volte essere detrimentale alla propria crescita nella comprensione della Parola di Dio. Si consideri che vi sono molti studiosi che hanno trascorso decenni a studiare queste lingue antiche, sono in grado di inoltrarsi in grandi dettagli linguistici su una sola parola e sui tempi dei verbi, ma che poi non riescono a dirvi in che modo un passaggio della Scrittura o un libro della Bibbia si relazioni al restante. Da questo fatto dovrebbe essere chiaro che non c’è bisogno di essere un esperto linguista per comprendere la Parola di Dio. La chiave per sbloccare i tesori della Parola di Dio è leggere la Scrittura nel suo contesto. E’ l’arte di leggere i nomi, verbi ed aggettivi in un particolare passaggio secondo il filo dell’argomento nel suo contesto e poi correlarli al resto delle Scritture. 

 

Immaginate di stare in un edificio ecclesiastico allo stato dell’arte una domenica mattina dove il messaggio è su Romani 9, 24-29. Questi versi appaiono magicamente su uno schermo gigante bene in vista. Il pastore inizia a parlare ed il suo sermone in tre punti rimanti rimpiazza i versi che erano sullo schermo: soltanto il tempo di farveli leggere e poi via. Perfino in una chiesa bella grande lo stile d’insegnamento in genere va contro una corretta interpretazione e un corretto apprendimento della Parola di Dio. Il tipico stile è che si vuole parlare di un argomento e vi si cita un verso a supporto proiettandolo su uno schermo. Non vi è niente di inerentemente errato nell’usare queste tecnologie. Ma spesso possono frapporsi tra noi e un corretto approccio alla comprensione della Scrittura nel suo contesto. Quando si proietta un verso su uno schermo come prova di quanto si vuole dire vi è raramente l’occasione per approfondire e guardare al contesto di quel verso. Esso apparirà su quello schermo come isolato dal resto della Scrittura. Quanto viene prima e dopo quel passaggio non viene mostrato, e non si impara a maneggiare correttamente le Scritture. Si guarda ad un bel display dove l’argomento di cui si parla è corroborato da un verso facilmente leggibile sullo schermo, e non dovete così mettervi gli occhiali e cominciare a girare pagine nella vostra Bibbia. Anche a noi piace la tecnologia, ma non dobbiamo permettere che essa diventi un ostacolo ad un corretto apprendimento della Scrittura. Essa dovrebbe essere usata per coadiuvare, non per confondere. Ma spesso, nonostante le nostre migliori intenzioni, molte persone ricevono anni ed anni di insegnamenti e rimangono incapaci di interpretare le Scritture da sè. 

 

 

Il contesto del Nuovo Testamento

 

Invece di fare l’errore di isolare i versi che cerchiamo di interpretare, vogliamo considerare questi versi alla luce dell’intero libro dei Romani e in particolare alla luce di quanto interessa a Paolo nel capitolo 9. I primi otto capitoli del libro dei Romani discutono il vangelo e la straordinaria salvezza che chiunque per cui Gesù morì riceve. L’ira di Dio che tutti meritano è soddisfatta in modo perfetto dal sacrificio di Gesù Cristo sulla croce per ogni credente. A causa del pagamento per i peccati ottenuto dalla morte di Cristo, ogni credente è dichiarato giusto nella corte celeste (giustificato) e riceve una vita cambiata in cui persevererà nell’amare Gesù e nel crescere nella santità finchè muoia (santificazione). In Romani 9-11 Paolo spiega il ruolo di Israele nel grande piano redentivo di Dio di salvare un popolo per Se Stesso. Al principio di Romani nove Paolo spiega in che modo Israele in quanto nazione aveva ricevuto molti privilegi divini. Ma, purtroppo, la salvezza non era uno di quelli. Al verso sei Paolo scrive: “Non è che la Parola di Dio sia caduta a terra”. Perchè dovremmo pensare che la Parola di Dio potesse essere fallita? Perchè Israele come nazione non aveva creduto. Un numero molto esiguo di Israeliti aveva creduto e credono, ma la maggioranza rigettava e rigetta Cristo. Essi erano chiamati il popolo di Dio, ma erano gli stessi che avevano perseguitato Cristo e i Suoi discepoli al tempo in cui Paolo scrisse la sua lettera ai Romani. Sembrava come se il piano di Dio fosse andato storto. Ma secondo Paolo in Romani 9 questa sarebbe una conclusione errata:

 

Però non è che la parola di Dio sia caduta a terra; infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele; né per il fatto di essere stirpe d'Abraamo, sono tutti figli d'Abraamo; anzi: «È in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza». Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono considerati come discendenza (Rm. 9, 6-8). 

 

Paolo sta dicendo che non tutto il popolo fisico di Dio nell’Antico Testamento era il popolo spirituale di Dio. Solo perchè si è un figlio fisico di Abraamo non significa affatto che si è un figlio spirituale di Abraamo. Il solo modo di divenire parte del vero popolo di Dio, i figli spirituali di Abraamo, è se Dio elegge qualcuno ad essere tale. 

 

Dio è sempre stato un Dio di elezione, che sceglie di chi vuole avere misericordia e chi desidera indurire. Questo ci fa fare due domande: 1) Come può Dio incolparmi per la mia incredulità se è Lui che con la sua potenza e sovranità mi controlla e determina che io rimanga incredulo? 2) Se Dio non mi ha scelto per divenir parte del vero popolo di Dio, per salvarmi, allora perchè mi ha creato? Le risposte a queste due domande sono umilianti e strabilianti. Primo, ci viene detto che non possiamo mettere in questione il diritto di Dio di fare come gli piace. Quando contestiamo Dio in questo modo, secondo Paolo, abbiamo oltrepassato il nostro limite in quanto noi siamo mere creature e Lui è il Creatore: “Piuttosto, o uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa plasmata dirà forse a colui che la plasmò: «Perché mi hai fatta così?» Il vasaio non è forse padrone dell'argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile?” (Rm. 9, 20-21). In risposta alla seconda domanda Paolo ci apre uno scorcio nella mente di Dio. La ragione per cui Dio ha creato persone che ha deciso di non salvare è così che quelle persone che Egli ha deciso di salvare saranno in grado di comprendere e realizzare profondamente il grande valore della misericordia che hanno ricevuto: “Che c'è da contestare se Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza dei vasi d'ira preparati per la perdizione, e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria …” (Romani 9, 22-23). Quindi, perfino quelli che non saranno salvati hanno un ruolo importante nella salvezza del popolo di Dio, gli eletti. Siamo giunti sulla soglia dei versi che vogliamo prendere in considerazione, i versi 24-29. Abbiamo considerato il filo del pensiero ispirato di Paolo che ci porta a questi versi, e così abbiamo ora la luce necessaria per leggere e comprendere i versi successivi. 

 

 

Dio porterà i Gentili a salvezza spirituale: l’uso di Paolo di Osea 1, 10 e 2, 23

 

Nei versi 23b-26 Paolo inizia a spiegare chi sono gli eletti. Al verso 24 vediamo che gli eletti di Dio sono un gruppo composto di Giudei e Gentili:

 

Che c'è da contestare se Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza dei vasi d'ira preparati per la perdizione, e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria, cioè verso di noi, che egli ha chiamato non soltanto fra i Giudei ma anche fra gli stranieri? Così egli dice appunto in Osea: «Io chiamerò "mio popolo" quello che non era mio popolo e "amata" quella che non era amata»; e «Avverrà che nel luogo dov'era stato detto: "Voi non siete mio popolo", là saranno chiamati "figli del Dio vivente"» (Romani 9, 22-26).

 

Si noti che Paolo usa le citazioni da Osea 1, 10 e 2, 23 a supporto del fatto che Dio ha incluso i Gentili nel suo piano di salvezza. Benchè stia parlando dell’elezione di Dio a salvezza di Giudei e Gentili, l’enfasi al verso 24 è sull’inclusione dei Gentili. Il punto che vuole stabilire è che chi un tempo era straniero ed alieno alla promessa e speranza della salvezza è ora incluso. Il vangelo giunse prima ai Giudei. Paolo andò prima alle sinagoghe. I Giudei rigettarono il messaggio del vangelo, Paolo scosse la polvere dai piedi e portò così il vangelo ai Gentili. Da quel punto in poi, la preponderanza del popolo di Dio è stata Gentile. Ora, se non avete fatto attenzione al contesto originale della citazione di Paolo dal libro di Osea, ciò potrebbe anche sembrare abbastanza ragionevole. Diamo un altro sguardo alle citazioni:  “«Io chiamerò "mio popolo" quello che non era mio popolo e "amata" quella che non era amata»; e «Avverrà che nel luogo dov'era stato detto: "Voi non siete mio popolo", là saranno chiamati "figli del Dio vivente"»” (Romani 9, 25-26; Osea 1, 10; 2, 23). Chi sono quelli che Paolo identifica come “non mio popolo” e “non amata”? Erano, ovviamente, i Gentili! Paolo dice che ora Dio sceglie i Gentili come parte della Sua famiglia, li sta salvando, ed usa Osea 1, 10 e 2, 23 a supporto. 

 

L’Antico Testamento ci dice ripetutamente che i Giudei erano il popolo di Dio. Ora Dio sta portando i Gentili all’interno di questo popolo. Paolo usa Osea 1, 10 e 2, 23 per supportare la sua premessa che Dio sta aprendo la porta della salvezza ai Gentili, porta che prima era chiusa. Per 1500 anni le nazioni del mondo non ebbero il vangelo, che invece i Giudei avevano (in forma simbolica). Il solo modo in cui i Gentili potevano conoscere il vangelo era imbattersi in qualche modo nella nazione di Israele. Israele era una nazione minuscola e le chance che un Gentile  casualmente si imbattesse in Israele e fosse poi adottato in quella cultura e religione erano quasi nulle. Dal Sinai al tempo di Cristo, il grosso del mondo era escluso quanto al ricevere una rivelazione salvifica di Dio. Civilizzazioni sorsero e caddero e non ascoltarono mai il Vangelo. Vi erano alcuni degli eletti di Dio al loro interno? Non è certo, ma sembra di no. Ma Paolo ci dice in questi versi che Dio ora agisce diversamente. Comprendere l’argomento di Paolo in realtà è facile come bere un bicchier d’acqua. 

 

 

Dio salverà un residuo di Israeliti dalla distruzione spirituale: l’uso di Paolo di Isaia 1, 9 e 10, 22-23

 

Ai versi 27-29 Paolo volge la sua attenzione dai Gentili ad Israele e cita dal libro di Isaia: 

 

Isaia poi esclama riguardo a Israele: «Anche se il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, solo il resto sarà salvato; perché il Signore eseguirà la sua parola sulla terra in modo rapido e definitivo». Come Isaia aveva detto prima: «Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo diventati come Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra» (Romani 9, 27-29). 

 

Proprio come nei versi precedenti Paolo ci ha detto a quale gruppo di persone si sta riferendo, i Gentili, ora invece ci dice che si sta riferendo ai Giudei. Il significato dei versi è chiaro nel contesto dell’argomento di Paolo: soltanto un piccolo numero di Giudei sarà salvato. Benchè vi saranno moltissimi discendenti fisici di Abraamo (come la sabbia del mare), soltanto un piccolo numero sarà scelto da Dio per essere salvato. A differenza di quando Dio spazzò via Sodoma e Gomorra totalmente, il Signore è stato e sarà misericordioso con Israele perchè ha scelto di salvarne un piccolo numero e non distruggerli completamente. 

 

 

Il contesto originale

 

Ora che abbiamo stabilito l’interpretazione di Paolo dei versi che prende dall’Antico Testamento dobbiamo focalizarci sui testi stessi nel loro contesto originale nell’Antico Testamento. Quando andremo a comparare l’interpretazione di Paolo di questi versi al significato che essi avevano nel loro contesto originale veterotestamentario, cominceremo a vedere un’ermeneutica emergere dalla Scrittura. Coglieremo come Dio, il divino autore di tutta la Scrittura, interpreta le Sue stesse parole. Ma non spingiamoci troppo oltre. Prima dobbiamo semplicemente esaminare i versi che Paolo cita in Romani 9, 24-29 nel loro contesto originale. 

 

 

Dio ristorerà la nazione di Israele spiritualmente e fisicamente: cosa dice Osea in Osea 1, 10 e 2, 23

 

Osea è una storia abbastanza semplice. Dio dice al profeta Osea di sposare una donna chiamata Gomer. Gli viene detto che è una prostituta e che sarà un’adultera per tutto il loro matrimonio. Osea la sposa e lei comincia a farsela con ogni tipo di uomo. Si caccia nei guai ed è venduta in schiavitù. Osea la ricompra dalla schiavitù. Ma lei ancora una volta comincia a tradirlo in giro. Lo tradisce costantemente ed Osea costantemente la riaccoglie e si prende cura di lei. Ci viene detto nel libro di Osea che Gomer rappresenta Israele e la sua infedeltà a Dio, mentre Osea illustra la pazienza e bontà di Dio nei confronti di Israele. L’intero libro di Osea tratta esclusivamente della nazione di Israele. 

 

Osea 2, 23, che è il primo dei due versi che Paolo cita in Romani 9, 24-26, è parte di un passaggio piuttosto tipico sulla ristorazione della nazione di Israele che si trova spesso nei Profeti Minori. Si parla di riportare Israele in una giusta relazione con Dio e anche del fatto che Israele riceve la benedizione di Dio in forma di salute, prosperità, e terre. Il capitolo 2 è in realtà pieno di cattive notizie: Israele deve essere punita per la sua infedeltà. Il verso 13 è l’ultima parola a riguardo che Israele riceverà e poi al verso 14 si parla di una ristorazione: 

 

La punirò a causa dei giorni dei Baal, quando bruciava loro incenso e, ornata dei suoi pendenti e dei suoi gioielli, seguiva i suoi amanti e dimenticava me, dice il SIGNORE. Perciò, ecco, io l'attrarrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (Osea 2, 13-14). 

 

I versi 21-23 continuano questo tenero tema pieno di speranza: Dio ristorerà il suo popolo, la nazione di Israele, in un giorno futuro:

 

Quel giorno avverrà che io ti risponderò, dice il SIGNORE, risponderò al cielo, ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino, all'olio, e questi risponderanno a Izreel. Io lo seminerò per me in questa terra, e avrò compassione di Lo-Ruama; e dirò a Lo-Ammi: "Tu sei mio popolo!" ed egli mi risponderà: "Mio Dio!" (Osea 2, 21-23). 

 

Dio, attraverso Osea, dice al popolo di Israele che li ristorerà nel futuro.  Egli ricostituirà ancora una volta come suo popolo il popolo che ora sta rigettando, gli Israeliti. Ricordate: Gomer personifica Israele e quindi i suoi figli (che sono il risultato di adulterio) sono ora chiamati in Osea “non mia amata” e “non mio popolo” perchè Dio li sta rigettando. Il popolo che è “non mia amata” sono gli Israeliti fisici e la promessa qui nel contesto di Osea è che a quello stesso popolo Dio dirà “tu sei il mio popolo” ed essi risponderanno “mio Dio!” E’ molto semplice. Israele ritornerà a Dio (perchè Dio la attirerà a Sè) e gli saranno fedeli spiritualmente. Questo poi risulterà nel ritorno di Israele nella terra promessa. Ci mancava soltanto un disegnino per poter essere ancora più chiari. 

 

Ora guardiamo da vicino Osea 1, 10, che è l’altro verso che Paolo cita in Romani nove. Dobbiamo leggerlo nel suo contesto per comprenderlo bene (v. 2-11):

 

Il SIGNORE cominciò a parlare a Osea e gli disse: «Va', prenditi in moglie una prostituta e genera figli di prostituzione; perché il paese si prostituisce, abbandonando il SIGNORE». Egli andò e prese Gomer, figlia di Diblaim; lei concepì, e gli partorì un figlio. Il SIGNORE gli disse: «Chiamalo Izreel, perché tra poco io punirò la casa di Ieu per il sangue versato a Izreel e porrò fine al regno della casa d'Israele. Quel giorno avverrà che io spezzerò l'arco d'Israele nella valle di Izreel». Lei concepì di nuovo e partorì una figlia. Il SIGNORE disse a Osea: «Chiamala Lo-Ruama, perché io non avrò più compassione della casa d'Israele in modo da perdonarla. Ma avrò compassione della casa di Giuda; li salverò mediante il SIGNORE, il loro Dio; non li salverò con l'arco, né con spada, né con la guerra, né con cavalli, né con cavalieri».


Quando lei ebbe divezzato Lo-Ruama, concepì e partorì un figlio. Il SIGNORE disse a Osea: «Chiamalo Lo-Ammi, perché voi non siete mio popolo e io non sarò per voi. «Tuttavia, il numero dei figli d'Israele sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. Avverrà che invece di dir loro, come si diceva: "Voi non siete mio popolo", sarà loro detto: "Siete figli del Dio vivente". I figli di Giuda e i figli d'Israele si raduneranno, si daranno un unico capo e marceranno fuori dal paese; perché sarà grande il giorno di Izreel (Os. 1, 2-11; enfasi aggiunta). 

 

Il verso 10 è diretto: i figli di Gomer sono i figli nati da infedeltà. Gomer era un’adultera e i figli erano frutto della sua infedeltà a suo marito. Gomer e i suoi figli sono un’illustrazione per Israele e per noi sullo stato della relazione di Israele nei confronti di Dio. Ai figli vengon dati nomi che rappresentano la reiezione di Dio di Israele. Il Signore sta rigettando gli Israeliti per la loro infedeltà spirituale. In Osea 1, 10 Dio ci dice che nel futuro rivedrà questa reiezione. Egli moltiplicherà il popolo di Israele e ristorerà la nazione spiritualmente e fisicamente. Questa reversione è descritta nei termini di una reiterazione della promessa di fedeltà fatta ad Abraamo[1], i nuovi nomi hanno dei significati positivi, e con specifiche e concrete promesse di quanto il Signore farà per la nazione di Israele. Di nuovo, questo testo non è difficile da capire nel suo contesto originale. 

 

 

Dio salverà un piccolissimo residuo di Israeliti etnici dalla distruzione fisica: cosa dice Isaia in Isaia 1, 19 e 10, 22-23. 

 

Il libro di Isaia non è così facile da capire se non si afferra prima la sua struttura generale. In breve, questo libro è strutturato come la Bibbia stessa: vi sono 66 libri/capitoli, i primi 39 sono l’Antico Testamento, e così anche Isaia 1-39 parla principalmente del giudizio di Dio della nazione di Israele e poi di tutte le nazioni che Egli usa per giudicare Israele. I rimanenti 27 libri/capitoli sono il Nuovo Testamento, ed anche in Isaia parlano della futura benedizione di Dio per la nazione di Israele. Entrambe le citazioni che Paolo sceglie in Romani 9 ricadono nella prima sezione, quella sul giudizio. 

 

Il capitolo 1 descrive come, nonostante la costante ribellione degli Israeliti, vi sarà un residuo di Israele che non sarà fisicamente distrutto: 

 

Guai alla nazione peccatrice, popolo carico d'iniquità, razza di malvagi, figli corrotti! Hanno abbandonato il SIGNORE, hanno disprezzato il Santo d'Israele, hanno voltato le spalle e si sono allontanati. Per quale ragione colpirvi ancora? Aggiungereste altre rivolte. Tutto il capo è malato, tutto il cuore è languente. Dalla pianta del piede fino alla testa non c'è nulla di sano in esso: non ci sono che ferite, contusioni, piaghe aperte, che non sono state ripulite, né fasciate, né lenite con olio. Il vostro paese è desolato, le vostre città sono consumate dal fuoco, i vostri campi li divorano degli stranieri, sotto i vostri occhi; tutto è devastato, come per un sovvertimento di barbari. La figlia di Sion è rimasta come un frascato in una vigna, come una capanna in un campo di cocomeri, come una città assediata. Se il SIGNORE degli eserciti non ci avesse lasciato un piccolo residuo, saremmo come Sodoma, somiglieremmo a Gomorra (Isaia 1, 5-9; enfasi aggiunta). 

 

Il Signore aveva completamente spazzato via Sodoma e Gomorra, senza lasciare reduci. Ma quando Dio manda gli Assiri a distruggere gli Israeliti, avrà misericordia e lascerà dei reduci. 

 

Il contesto del capitolo 10 è una profezia di Isaia che descrive il tempo in cui Dio giudicherà Israele. Descrive un giudizio fisico che Dio porterà sulla terra e sul popolo di Israele: 

 

La scure si vanta forse contro colui che la maneggia? La sega si inorgoglisce forse contro colui che la muove? Come se la verga facesse muovere colui che l'alza, come se il bastone alzasse colui che non è di legno! Perciò il Signore, Dio degli eserciti, manderà la consunzione tra i suoi più robusti; e sotto la sua gloria accenderà un fuoco, come il fuoco di un incendio. La luce d'Israele diventerà un fuoco, e il suo Santo una fiamma, che arderà e divorerà i suoi rovi e i suoi pruni in un solo giorno. La gloria della sua foresta e della sua fertile campagna egli la consumerà, anima e corpo; sarà come il deperimento di un uomo che langue. Il resto degli alberi della sua foresta sarà così minimo che un bambino potrebbe farne il conto. In quel giorno il residuo d'Israele e gli scampati della casa di Giacobbe smetteranno di appoggiarsi su colui che li colpiva, e si appoggeranno con sincerità sul SIGNORE, sul Santo d'Israele. Un residuo, il residuo di Giacobbe, tornerà al Dio potente. Infatti, anche se il tuo popolo, o Israele, fosse come la sabbia del mare, un residuo soltanto ne tornerà; uno sterminio è decretato, che farà traboccare la giustizia. Poiché lo sterminio che ha decretato, il Signore, DIO degli eserciti, lo effettuerà in mezzo a tutto il paese (Isaia 10, 15-23; enfasi aggiunta). 

 

Isaia sta profetizzando forte e chiaro che Dio distruggerà, sterminerà e disperderà Israele in un grado tale che benchè fossero ora molti ne rimarrà soltanto un residuo che sarà salvato da questa distruzione. Secondo Isaia, dopo questo giudizio soltanto un minuscolo residuo di Israeliti etnici ritornerà alla terra fisica che il Signore diede loro originariamente. 

 

 

La benedizione di un buono schema

 

Ora che abbiamo guardato a tutti i passaggi ed abbiamo esaminato attentamente ogni verso nel suo contesto, è tempo di riassumere tutto quello che abbiamo capito in un bello schemino. La benedizione di un buono schema è che permette di riassumere un sacco di informazioni e di evidenziare dei contrasti in un modo che viene impossibile alla semplice prosa. Dunque, considerate il contrasto tra il significato originale nel contesto di Osea ed Isaia, e il modo in cui Paolo comprende quei testi: 

 

Riferimento Scritturale             Significato originale nell’AT         L’interpretazione di Paolo

                                                                                                                                   in Romani 9, 24-29

 

Osea 1, 10; 2, 23                            Dio ristorerà la nazione di Israele                        Dio salverà i Gentili

spiritualmente e fisicamente

 

        Isaia 1, 9; 10, 22-23                        Dio salverà un residuo di Israeliti            Dio salverà un residuo di Israeliti 

                                                                                       dalla distruzione fisica                              dalla distruzione spirituale

  

Quando in Osea ed Isaia ci si riferisce alla salvezza fisica e spirituale di Israele come nazione, Paolo interpreta questo come salvezza spirituale dei Gentili. Nel citare una profezia che parla del piano di Dio di salvare una piccola parte di Israele dalla distruzione fisica e spirituale, Paolo interpreta questo come un riferimento alla piccola porzione eletta di Israeliti etnici che viene salvata e sarà salvata dalla distruzione spirituale mediante la morte di Gesù Cristo. Queste due sono due cose radicalmente differenti: il modo in cui i testi, rispettivamente nell’Antico e Nuovo Testamento, vengono usati è molto diverso e quindi necessitano di una spiegazione. Questa spiegazione è il modello biblico usato da Paolo nel comprende l’Antico Testamento. 

 

 

Perchè Paolo sostituisce Israele con i Gentili quando interpreta alcune profezie: Paolo era un teologo della sostituzione

 

Quando qualcuno vuole etichettare spregiativamente la Teologia del Nuovo Patto, tipicamente storcerà il naso e dirà: “La Teologia del Nuovo Patto non è nient’altro che Teologia della Sostituzione”. Con questo si vuole dire che la chiesa “sostituisce” Israele come popolo scelto di Dio. Come abbiamo notato prima, Paolo intende la salvezza spirituale dei Gentili come adempimento delle profezie veterotestamentarie concernenti la salvezza fisica e spirituale di Israele etnico. La salvezza spirituale dei Gentili, secondo Paolo, rimpiazza la ristorazione fisica/spirituale della nazione di Israele. Quindi, l’uso che Paolo fa dei due passaggi da Osea rivela che era un teologo della sostituzione.[2] Etichettare Paolo in quanto tale ci da il senso di quello che egli crede, ed abbiamo già visto cosa significhi. Ora dobbiamo capire perchè Paolo vede Israele come sostituito dai Gentili. 

 

Se scaviamo nella Scrittura troveremo cos’è questo “motif della sostituzione”: non è un incidente isolato in Romani capitolo nove, ma era la comune comprensione di come la Scrittura va tagliata correttamente, una comprensione condivisa da tutti gli autori della Scrittura. Iniziando dai Vangeli scopriamo che Gesù e gli Apostoli andavano prima ai Giudei, che spesso rigettavano il Vangelo. Poi andavano ai Gentili, che spesso rispondevano in modo favorevole. Nell’introduzione al Vangelo di Giovanni, l’apostolo riassume così: “È venuto in casa sua e i suoi non l'hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma sono nati da Dio” (Gv. 1, 11-13). “Casa sua e i suoi” si riferisce alla nazione di Israele. L’enfasi costante del Nuovo Testamento è che la propria genealogia non ha niente a che fare con la propria salute spirituale. Vi è una ricostituzione del popolo di Dio: dal discendere fisicamente da Abraamo, al discendere spiritualmente da Abraamo, avere la sua stessa fede, essere “nato da Dio”. 

 

In Matteo capitolo otto, dove Gesù parla ad un centurione romano, il soldato esprime la sua fiducia che Gesù ha l’autorità per semplicemente dire una parola e sarà fatto. Ovvero, egli espresse la sua convinzione che Gesù era Dio Stesso. Gesù quindi paragona la fede di questo gentile all’incredulità di Israele:

 

Gesù, udito questo, ne restò meravigliato, e disse a quelli che lo seguivano: «Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande! E io vi dico che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abraamo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Là ci sarà pianto e stridor di denti» (Mt. 8, 10-12). 

 

I “figli del regno” sono la nazione di Israele ed essi devono essere “gettati nelle tenebre di fuori”, nella punizione eterna all’inferno (Mt. 22, 13), che è il luogo dove tutti i non credenti andranno per l’eternità. D. A. Carson scrive a riguardo di questo passaggio: 

 

Dunque i “figli del regno” sono i Giudei, che vedono se stessi come figli di Abraamo …, come appartenenti al regno per diritto … Ma Gesù rovescia i ruoli (cf. 21, 43); ed i figli del regno sono gettati fuori, sono esclusi dal futuro banchetto messianico, consegnati all’oscurità dove vi sono lacrime e stridor di denti, che erano elementi comuni per descrivere la Ghenna, l’inferno.[3]

 

Matteo non lascia dubbi a riguardo: la maggioranza degli Israeliti affronteranno il giudizio eterno di Dio perchè Lo hanno rigettato. In questo passaggio Matteo afferma che un popolo che ama Dio sostituirà gli Israeliti nel regno dei cieli. Più tardi nel Vangelo di Matteo, troviamo un’accusa ad Israele ancora più scioccante: 

 

«Udite un'altra parabola: C'era un padrone di casa, il quale piantò una vigna, le fece attorno una siepe, vi scavò una buca per pigiare l'uva e vi costruì una torre; poi l'affittò a dei vignaiuoli e se ne andò in viaggio. Quando fu vicina la stagione dei frutti, mandò i suoi servi dai vignaiuoli per ricevere i frutti della vigna. Ma i vignaiuoli presero i servi e ne picchiarono uno, ne uccisero un altro e un altro lo lapidarono. Da capo mandò degli altri servi, in numero maggiore dei primi; ma quelli li trattarono allo stesso modo.  Finalmente, mandò loro suo figlio, dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio". Ma i vignaiuoli, veduto il figlio, dissero tra di loro: "Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e facciamo nostra la sua eredità". Lo presero, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Quando verrà il padrone della vigna, che farà a quei vignaiuoli?» Essi gli risposero: «Li farà perire malamente, quei malvagi, e affiderà la vigna ad altri vignaiuoli i quali gliene renderanno il frutto a suo tempo». Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: "La pietra che i costruttori hanno rifiutata è diventata pietra angolare; ciò è stato fatto dal Signore, ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri"? Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato a gente che ne faccia i frutti. Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; ed essa stritolerà colui sul quale cadrà». I capi dei sacerdoti e i farisei, udite le sue parabole, capirono che parlava di loro; e cercavano di prenderlo, ma ebbero paura della folla, che lo riteneva un profeta (Matteo 21, 33-45). 

 

I Farisei erano i leader religiosi di Israele. Quando vengono accusati i leader, in quell’accusa sono inclusi anche i loro seguaci. Questa parabola è coerente al tema costante in tutti i Vangeli: Israele viene rigettato in quanto popolo di Dio ed un nuovo popolo erediterà il regno, “un popolo che ne produrrà il frutto”. Si noti che questa parabola parla dell’intera storia di Israele. Dice, “uccisero i suoi servitori”. “I suoi servitori” possono essere soltanto i profeti che Dio mandò ad Israele durante l’era dell’Antico Patto:

 

In tal modo voi testimoniate contro voi stessi, di essere figli di coloro che uccisero i profeti … E colmate pure la misura dei vostri padri! ... Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! … Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta (Matteo 23, 31, 32, 37-38). 

 

Dunque la parabola dei vignaioli ci dice che Dio ha visto la nazione di Israele, per tutta la sua storia, come una nazione sempre ribelle ed incredula. Essa colmò la sua ribellione istigando la crocifissione del Figlio di Dio. Sembrò proprio che Gesù voltò loro le spalle, ritirando l’offerta della salvezza e volgendosi ai Gentili. 

 

La reazione dell’apostolo Paolo nei confronti dei Giudei è sorprendentemente simile a quella di Gesù nei confronti di questo popolo ribelle. In Atti 13 vediamo Paolo parlare ai Giudei di Antiochia Pisida, dove, come al solito, venne maltrattato: 

 

Dopo che la riunione si fu sciolta, molti Giudei e proseliti pii seguirono Paolo e Barnaba; i quali, parlando loro, li convincevano a perseverare nella grazia di Dio. Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per udire la Parola di Dio. Ma i Giudei, vedendo la folla, furono pieni di invidia e, bestemmiando, contraddicevano le cose dette da Paolo. Ma Paolo e Barnaba dissero con franchezza: «Era necessario che a voi per primi si annunciasse la Parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi ritenete degni della vita eterna, ecco, ci rivolgiamo agli stranieri (Atti 13, 43-46; enfasi aggiunta). 

 

Nel libro di Atti vediamo Paolo andare prima alle sinagoghe o in quei luoghi dove si radunavano i Giudei. Ma essi erano così costanti nel rigettare il Vangelo e nell’abusare di Paolo che egli gradualmente smise perfino di cercare di evangelizzarli. Vediamo paolo in una situazione simile a Corinto qualche capitolo dopo: 

 

Quando poi Sila e Timoteo giunsero dalla Macedonia, Paolo si dedicò completamente alla Parola, testimoniando ai Giudei che Gesù era il Cristo. Ma poiché essi facevano opposizione e lo insultavano, egli scosse le sue vesti e disse loro: «Il vostro sangue ricada sul vostro capo; io ne sono netto; da ora in poi andrò dai pagani». E, uscito di là, entrò in casa di un tale chiamato Tizio Giusto, che temeva Dio, e aveva la casa attigua alla sinagoga. Ma Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia. Molti Corinzi, udendo, credevano e venivano battezzati (Atti 18, 5-8; enfasi aggiunta). 

 

Paolo segue chiaramente le orme del Signore quando volge le spalle al popolo fisico di Dio e va ai Gentili. 

 

Alcune delle parole finali che Luca scrive nel libro di Atti sono di Paolo. L’apostolo sta parlando del Vangelo ai leader giudaici ed essi rigettano il suo messaggio, come era loro solito. Allora Paolo dice loro che il decreto di Dio è che gli Israeliti rimangano spiritualmente accecati e che Dio si sta rivolgendo ai Gentili: 

 

E, avendogli fissato un giorno, vennero a lui nel suo alloggio in gran numero; ed egli dalla mattina alla sera annunciava loro il regno di Dio rendendo testimonianza e cercando di persuaderli per mezzo della legge di Mosè e per mezzo dei profeti, riguardo a Gesù. Alcuni furono persuasi da ciò che egli diceva; altri invece non credettero. Essendo in discordia tra di loro, se ne andarono, mentre Paolo pronunciava quest'unica sentenza: «Ben parlò lo Spirito Santo quando per mezzo del profeta Isaia disse ai vostri padri: "Va' da questo popolo e di': 'Voi udrete con i vostri orecchi e non comprenderete; guarderete con i vostri occhi, e non vedrete; perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile, sono divenuti duri d'orecchi, e hanno chiuso gli occhi, affinché non vedano con gli occhi e non odano con gli orecchi, non comprendano con il cuore, non si convertano, e io non li guarisca'". Sappiate dunque che questa salvezza di Dio è rivolta alle nazioni; ed esse presteranno ascolto» (Atti 28, 23-28; enfasi aggiunta). 

 

Gesù andò ai Giudei col Vangelo ed essi lo rigettarono. Paolo andò ai Giudei col Vangelo ed essi lo rigettarono. Gesù e Paolo alla fine voltarono loro le spalle ed andarono ai Gentili. 

 

Il messaggio nei Vangeli ed in Atti è che la salvezza a lungo attesa è finalmente giunta ed i Giudei l’hanno rigettata come hanno sempre rigettato Dio durante tutta la loro storia. Il messaggio è che gli Israeliti si sono ribellati contro Dio per l’ultima volta. Dio si sta volgendo da loro ai Gentili. Questo è il motivo per cui Paolo vede la salvezza spirituale dei Gentili come l’adempimento delle profezie dell’Antico Testamento riguardo la salvezza fisica e spirituale della nazione di Israele. Paolo era un Teologo della Sostituzione. 

 

Perchè Paolo non rimpiazza Israele con i Gentili quando interpreta alcune profezie: perchè Paolo era un teologo del residuo

 

Quando Paolo cita una profezia che riguarda il piano di Dio di salvare una piccola parte di Israele dalla distruzione fisica e spirituale, la interpreta come riferentesi a quella piccola porzione di eletti in Israele che stava essendo e sarà salvata dalla distruzione spirituale attraverso la morte di Gesù Cristo. Nel leggere il Nuovo Testamento è fino a Romani 9-11 che per Israele non si trova una qualche speranza di salvezza. Come notato sopra, il messaggio dei Vangeli ed Atti è che Dio sta giudicando Israele ma sta aprendo la porta della salvezza al mondo. Paolo comprese che la nazione di Israele nell’era dell’Antico Patto non era fine a se stessa. Essa era soltanto l’adempimento fisico del Patto Abramitico. L’adempimento spirituale del Patto Abramitico è da trovarsi nella chiesa, il popolo di Dio del Nuovo Patto. Tuttavia, anche in questa nuova era del nuovo patto, degli individui Israeliti hanno ancora un ruolo da giocare: possono divenir parte del popolo neotestamentario di Dio. Benchè sembra che Dio abbia chiuso per sempre con l’Israele fisico, nel libro ai Romani Paolo ci dice che Dio salverà un residuo di Israeliti etnici durante l’intera epoca del Nuovo Patto: 

 

Dico dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? No di certo! Perché anch'io sono israelita, della discendenza di Abraamo, della tribù di Beniamino. Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha preconosciuto. Non sapete ciò che la Scrittura dice a proposito di Elia? Come si rivolse a Dio contro Israele, dicendo: «Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno demolito i tuoi altari, io sono rimasto solo e vogliono la mia vita»? Ma che cosa gli rispose la voce divina? «Mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal». Così anche al presente, c'è un residuo eletto per grazia (Romani 11, 1-5; enfasi aggiunta). 

 

Paolo ci sta dicendo di non farci trasportare da questa teologia della sostituzione in modo da voltar le spalle ad Israele e così poi da non predicare più il Vangelo agli Ebrei. Se lo facessimo, ci staremmo “vantando contro i rami”: 

 

Se alcuni rami sono stati troncati, mentre tu, che sei olivo selvatico, sei stato innestato al loro posto e sei diventato partecipe della radice e della linfa dell'olivo, non insuperbirti contro i rami; ma, se t'insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. Allora tu dirai: «Sono stati troncati i rami perché fossi innestato io». Bene: essi sono stati troncati per la loro incredulità e tu rimani stabile per la fede; non insuperbirti, ma temi. Perché se Dio non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà neppure te. Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti; ma verso di te la bontà di Dio, purché tu perseveri nella sua bontà; altrimenti, anche tu sarai reciso. Allo stesso modo anche quelli, se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati; perché Dio ha la potenza di innestarli di nuovo. Infatti se tu sei stato tagliato dall'olivo selvatico per natura e sei stato contro natura innestato nell'olivo domestico, quanto più essi, che sono i rami naturali, saranno innestati nel loro proprio olivo (Romani 11, 17-24). 

 

Dobbiamo provare a metterci nei panni dei cristiani gentili a cui Paolo si sta rivolgendo nella chiesa di Roma. Essi avevano incontrato costanti persecuzioni da parte dei Giudei.[4] Ricordate che avevano tutti letto o udito della storia di Gesù e Paolo, nel come si erano rivolti dai Giudei ai Gentili. Avevano quindi cominciato a credere che essi erano il vero popolo di Dio e che i Giudei non erano più nel Suo piano di salvezza. Paolo li rimprovera alacremente: il suo filo conduttore nel capitolo 11 non è che vi sarà una conversione di massa dell’Israele nazionale nel futuro distante, alla fine dei tempi, come comunemente si pensa. L’apostolo ci sta invece dicendo: “Voi pensate che Israele è interamente rigettato e che voi Gentili avete l’esclusiva in questo affare. Ma vi sbagliate. Anzi, è più naturale che siano salvati i Giudei che voi”. Paolo sta alzando la voce con quei Gentili che hanno capito una parte della verità, la Teologia della Sostituzione, ma che non avevano compreso un’altra parte egualmente importante della verità, la Teologia del Residuo. La ragione per cui Paolo non rimpiazza Israele coi Gentili quando interpreta profezie su un residuo di Israeliti che sarebbe stato salvato è che Paolo insegna che Dio stava salvando e salverà ancora un residuo di Giudei individuali. 

 

 

Conclusione

 

Vi è molto da imparare dal modo in cui Paolo uso l’Antico Testamento. Benché a primo acchito sembri che Paolo fraintese l’Antico Testamento nel citare Osea ed Isaia in Romani 9, 24-29, bisogna capire che egli non fraintese proprio nulla. Essendo stato illuminato da Dio a riguardo del Suo piano di salvezza, e più di altri profeti che scrissero nell’Antico Testamento, Paolo ricevette una visione ispirata di come quelle profezie veterotestamentarie avrebbero dovuto adempiersi e si stavano adempiendo. Egli comprese che nell’Antico Testamento la nazione di Israele aveva meramente la funzione di simbolo del vero popolo di Dio. In quanto nazione Israele era sempre stato un popolo incredulo. Come Gesù, Paolo insegnò che Dio stava rimpiazzando, sostituendo la nazione di Israele che Dio chiamava “mio popolo” con un popolo che avrebbe davvero amato Dio e vissuto per Lui. Paolo disse che questo nuovo popolo sarebbe stato composto principalmente di Gentili, di persone da tutte le nazionalità della terra. Poi ci rivela in che modo Dio interpreta la profezia dell’Antico Testamento riguardo ad Israele. Quando Dio parlò attraverso i profeti Egli parlò in tipi ed ombre. Paolo poi fa ulteriore luce sul soggetto e ci mostra che le promesse di Dio per la salvezza di quella minuscola nazione, Israele, sono adempiute nel fatto che Dio salvava e avrebbe salvato persone da ogni tribù, nazione, e lingua. Egli ci dice che queste promesse rimangono e danno continua speranza quindi anche a degli Israeliti individuali, perchè anch’essi sono una di quelle tante nazioni, e le sue promesse riguardano quindi anche loro. Se si ravvedono e credono, Dio li salverà da quella nazione ribelle e li includerà nel Suo popolo. 

 

Traduzione di Francesco De Lucia con permesso dell'autore dall’articolo originale

 

Note

[1] Si noti la connessione alla promessa abramitica, Genesi 22, 17. 

[2] Non ci piace particolarmente il termine “sostituzione” per come esso viene usato e a motivo di alcuni suoi fraintendimenti. “teologia dell’adempimento” sarebbe più appropriato, ma usiamo “sostituzione” perché è l’etichetta che la maggioranza già conosce. 

[3] D. A. Carson, “Matthew,” in Expositor’s Bible Commentary 8, Grand Rapids, Michigan: Zondervan, 1984, pp. 202-203.

[4] At. 8, 1-3; 9, 1; 12, 1-5; 17, 5-9.

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