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Contro la Costruzione di Patti Teologici

Jeffrey J. Niehaus[1]

Durante gli ultimi cent’anni ha trovato sviluppo un modo unico, dal punto di vista storico, di fare teologia del patto. Esso riguarda la comprensione dei patti biblici tra Dio e gli uomini. Esso però va oltre quei patti che la Bibbia identifica esplicitamente come tali e postula entità di patto più ampie: patti supratemporali che inglobano i patti biblici. John H. Walton, che segue questo approccio, distingue così i concetti operativi riguardanti il patto: “I patti possono essere identificati o come ‘biblici’, articolati di fatto come patti nella Bibbia, o come patti ‘teologici’ costruiti dai teologi che spesso includono vari patti biblici”.[2] Un concetto che spesso procede di pari passo con tale approccio è quello dell’”unità dei patti”. Chi comprende i patti biblici all’interno della cornice di un patto sopratemporale costruito teologicamente in genere lo fa nell’intento di spiegare e mantenere l’unità dei vari patti. Per quanto questo intento sia lodevole, ha tuttavia prodotto un modo di trattare i patti biblici, e la Bibbia in generale, che produce più confusione che chiarezza. Il motivo si trova nel concetto di “patto costruito teologicamente”. Spero in questo articolo di mostrare l’inadeguatezza di tale concetto e di proporre un’alternativa migliore. Quanto segue è in primo luogo una rassegna critica di alcuni patti costruiti in modo teologico e in secondo luogo la proposta di una mia alternativa.

1. Rassegna critica

 

Vi sono tre variazioni principali alla costruzione teologica dei patti, ed ognuna di queste variazioni sarà qui rappresentata da un suo sostenitore. Un patto costruito teologicamente con una tradizione lunga e importante è quella del “Patto di Grazia”[3]. Discuterò e criticherò questo tipo di patto “teologico” con riferimento alla recente opera a riguardo di Meredith Kline. In aggiunta al “Patto di Grazia”, sono apparsi di recente due altri costrutti. Uno proposto da John H. Walton in cui egli, alternativamente al “Patto di Grazia”, propone ciò che chiama semplicemente “Il Patto”. L’altro proviene da William Dumbrell che ha prodotto un’insolita assimilazione di tutti i patti biblici divini-umani e argomenta che un’unica relazione di patto li caratterizza tutti.[4] Tutti questi tentativi condividono lo stesso spirito e le stesse debolezze.

 

1. Il “Patto di Grazia”. Meredith Kline parla di ciò che viene chiamato il “Patto di Grazia” nel suo libro Kingdom Prologue. Il “Patto di Grazia” è ciò che “racchiude tutte le amministrazioni redentive dalla Caduta alla Consumazione”, e quindi tutti i patti da quello noaico al “nuovo” o “secondo” patto (Ebr. 8, 6-8). Questo patto sopratemporale non è rivelato come tale in nessuna Scrittura, ma è un concetto a cui si arriva con “la tradizionale procedura della teologia del patto per cui le transazioni individuali di tipo berith-diatheke della storia redentiva vengono combinate in entità sempre più ‘comprensive’, e che culminano in ciò che di solito viene chiamato il Patto di Grazia”.[5] Un tal concetto è desiderabile perché ci permette di riconoscere la “fondamentale unità esistente tra tutti i singoli patti” dopo la caduta, ed è quindi appropriato trovare un’espressione che mostri o riassuma quell’unità.[6]

 

Sarebbe buono identificare il precedente biblico per una tale procedura unificante, se possibile. Kline crede sia possibile e propone sia fatto così:

 

il processo di identificazione di più alti livelli di unità pattale è sicuramente appropriato, perché gli autori biblici stessi fanno quel tipo di sistematizzazione dei patti. Ad esempio, in Salmo 105, 9-10 (cf. 2 Re 13, 23; I Cr. 16, 16-17) vi è una virtuale identificazione delle transazioni pattali separate di Dio con Abraamo, Isacco e Giacobbe. E i patti separati ratificati da Mosè al Sinai ed in Moab e i più tardi rinnovamenti di questo arrangiamento in Giosuè 24 ed altrove nell’Antico Testamento sono ripetutamente detti da più tardi autori veterotestamentari e neotestamentari come un patto del Signore con Israele, che il libro di Ebrei descrive come il “primo” a distinzione del “nuovo” o “secondo” patto (Ebrei 8, 6-8).

 

Potrebbe esser vero che questi rinnovamenti pattali forniscano un precedente o un’analogia che giustifichi il concetto sopratemporale del “Patto di Grazia”. Ma esaminando meglio i dati si scoprirà che non è così, perché ad esser precisi i due esempi che Meredith Kline cita sono dei rinnovamenti storici di patto. Dio fece un patto con Abraamo, e successivamente lo rinnovò con Isacco e Giacobbe. Dio fece un patto con Israele attraverso Mosè per una generazione (quella del deserto e dei peregrinaggi dopo il Sinai), poi lo rinnovò attraverso Mosè con un’altra generazione (quella che avrebbe conquistato Canaan sotto Giosuè); lo stesso patto fu poi rinnovato attraverso Giosuè, e così via. La procedura del Signore in ogni caso era simile a quella di un antico suzerain del Vicino Oriente, il quale avrebbe fatto un trattato/patto con un vassallo e lo avrebbe poi rinnovato con l’erede del re vassallo quando quell’erede sarebbe asceso al trono di suo padre, o in altre parole, quando sarebbe diventata vassallo un’altra generazione.

 

E così vi è una catena di rinovamenti pattali da Abraamo a Giacobbe, ed un’altra catena di rinnovamenti pattali da Mosè passando per Giosuè ed oltre. Ma questi sono rinnovamenti di due patti distinti. Dunque è appropriato parlare di “una virtuale identificazione di transazioni pattali separate con Abraamo, Isacco e Giacobbe,” perché in un certo senso sono tutti lo stesso patto, il patto originario con Abraamo che veniva rinnovato ad ogni generazione. Similmente, “i singoli patti ratificati da Mosè al Sinai ed in Moab e i successivi rinnovamenti di questo arrangiamento in Giosuè 24 ed altrove nell’Antico Testamento” sono certo “ripetutamente detti da più tardi autori veterotestamentari e neotestamentari come un patto del Signore con Israele” perché essi lo sono: rinnovamenti del patto sinaitico fatto in origine con Mosè. Nell’antico Vicino Oriente e nell’AT i rinnovamenti pattali formavano parte della relazione di patto originale perché stabilivano la continuazione legale di quella relazione per le generazioni susseguenti. Ma ciò è diverso dal dire che sarebbero una base per formulare un “Patto di Grazia” sopratemporale che unirebbe vari patti sotto una sola egida.

 

Si deve affrontare la domanda, anzi, se il concetto stesso di “Patto di Grazia” abbia ragione biblica di esistere (eccetto, cioè, che nella concezione di alcuni teologi). Il “Patto di Grazia”, come notato sopra, non è un concetto affermato in alcun luogo della Scrittura. E’ un costrutto umano che cerca di raggruppare tutti i patti redentivi di Dio, dal noaico al nuovo, sotto un solo ombrello. Ora è vero che Dio ha operato nel corso della storia mediante una serie di patti, dal noaico in poi, per preparare l’umanità per il suo patto finale, il nuovo patto nel sangue di Cristo. Ma il fatto che Dio abbia usato vari patti come mezzo di rivelazione progressiva, con il nuovo come loro goal, non significa, ipso facto, che tutti quei patti costituiscano un vero e proprio patto sopratemporale, il “Patto di Grazia”. Abbiamo già notato che l’analogia di un rinnovamento di patto all’interno di patti individuali non è abbastanza per stabilire una tale connessione. Ciò è vero nonostante i due esempi che Kline cita, il patto abraamico e quello mosaico (con i loro rinnovamenti), siano difatti molto interconnessi, e connessi per giunta col nuovo patto, come vedremo dopo. Dunque, ci vuole altro per mostrare in maniera chiara la natura di ognuno dei patti post-adamici e fino a che punto sono interconnessi. Potremmo di certo trovarvi delle importanti connessioni, ma tuttavia non fino a poter stabilire che siano costruibili in un unico “Patto di Grazia”.

 

Un serio problema insito al costrutto del “Patto di Grazia” è la differenza che esiste tra i patti post-adamici. Il patto noaico ed il patto mosaico sono esempi calzanti. Il patto noaico, come giustamente osserva Kline, è un patto di ri-creazione, inteso a ristorare la terra come regno vivibile avente a capo l’uomo come suo re e governatore. Ciò è chiaro dal modo in cui Genesi 9, 1-3 echeggia le stipulazioni di Genesi 1, 28. In entrambi i casi i vassalli umani e regali devono essere fruttiferi, moltiplicarsi, e governare la terra (con in aggiunta la benedizione che le altre creature avranno paura di loro, cosa che facilita il loro governo). Il proposito di questo patto è ristabilire, sotto la grazia comune, un mondo vivibile in cui il programma di Dio per la salvezza di un popolo eletto possa aver luogo. Per sua stessa natura, dunque, esso è piuttosto diverso da qualsiasi altro patto susseguente e salvifico che Dio fa col suo popolo eletto, e che coinvolgerà soltanto una piccola porzione degli esseri umani che governano sul pianeta. La differenza, di nuovo, è tra un patto di grazia comune, un patto con tutta l’umanità (nella persona di Noè e la sua famiglia, da cui tutta l’umanità procederà), con il mondo caduto stesso (Gen. 9, 10) da un lato, ed una serie di patti speciali con piccoli gruppi eletti (quello abraamico, mosaico, davidico, e il nuovo) dall’altro. Una tale fondamentale differenza mette in dubbio la legittimità del raggruppamento di tutti questi patti, noaici e post-noaici, sotto una sola egida e di chiamarli poi il “Patto di Grazia”.

 

2. “Il Patto”. John H. Walton ha proposto un’alternativa al “Patto di Grazia”, e l’ha chiamata semplicemente “Il Patto”. Perché si possa parlare di un patto biblico come parte di questo “Patto” esso deve avere due caratteristiche peculiari senza le quali, come spiega Walton, viene escluso il patto noaico:

 

le fasi costituenti di ciò che chiamo Il Patto contengono ognuna un elemento di elezione. E’ questa particolare caratteristica che le vincola insieme. Inoltre, nel Patto ogni nuova fase stabilisce in modo coerente dei punti di contatto con le fasi precedenti. Il patto con Noè, però, si trova al di fuori di queste fasi e ne è separato. Quindi, se da un lato il patto con Noè rappresenta chiaramente un accordo tra Dio e l’uomo, l’assenza di elementi caratteristici che definiscano gli altri patti nel testo suggerisce che esso è qualcosa di interamente distinto dal Patto e dunque non da includersi nel programma di Dio di rivelazione speciale.[7]

 

Mentre il “Patto di Grazia” includeva tutti i patti dopo la caduta come parte dell’opera redentiva di Dio, “Il Patto” include soltanto i patti di grazia, o di rivelazione speciale. Ne risultano così due tipi di patto: il patto di grazia comune o rivelazione comune (noaico) e il patto di grazia speciale o rivelazione speciale (abraamico, nuovo). Tutti i patti di grazia speciale sono assimilati nel “Patto”.

 

Alcuni degli argomenti che valevano contro “Il Patto di Grazia” valgono anche qui. Il fatto che Dio abbia usato vari patti di grazia speciale come mezzi di rivelazione progressiva, col nuovo patto come goal, non significa, ipso facto, che tutti quei patti costituiscano un vero e proprio patto sopratemporale. Il fatto che ogni patto di grazia speciale contenga elementi di elezione e di connessione con il patto precedente illustra soltanto che sono tutti parte dello stesso programma, ma ciò non li rende un “patto” unico (Walton usa il termine “programma”, ma eguaglia il “programma di rivelazione” di Dio con “Il Patto”. Io uso il termine “programma” in modo differente, come sarà evidente sotto).

 

Walton è attento a notare le qualità peculiari di quei patti che costituiscono “Il Patto”. Egli riconosce anche le aree di discontinuità tra di loro. Nonostante tutto questo, però, afferma questo a riguardo dei patti:

 

nell’ipotesi presentata qui esiste continuità risultante dal fatto che ognuno dei patti, da Abraamo al nuovo patto, giochi un ruolo integrale nel programma rivelatorio di Dio. Ognuno è parte di un singolo ed unitario programma di rivelazione. L’entrata in vigore o il primato di uno non implica l’annullamento o subordinazione di un altro. Nessuno di questi patti rimpiazza quello prima d’esso, ed ognuno supplementa ciò che è venuto prima.[8]

 

Walton aggiunge che “il nuovo patto è fondato sul completamento o adempimento dell’antico patto e così stabilisce con esso una relazione organica. A causa di questa relazione organica i due insieme formano Il Patto”.[9]

 

La nostra discussione del nuovo patto ci darà opportunità di dire altro su queste materie, ma è buono accennare qualcosa già ora. Primo, dire dei patti che “l’entrata in vigore o il primato di uno non implica l’annullamento o subordinazione di un altro” sembra andar contro quanto l’autore agli Ebrei aveva in mente quando dichiarò: “Col chiamare questo patto ‘nuovo’ egli ha reso il primo obsoleto, e ciò che è obsoleto e invecchiante è prossimo a scomparire” (Ebr. 8, 13).[10] Secondo, benchè il nuovo patto sia certamente “fondato sul completamento o adempimento dell’antico patto” ciò non significa che ora il nuovo si unisca al vecchio come parte del “Patto”.[11] Vi è un modo migliore di comprendere ciò che Walton chiama la “relazione organica” tra i patti, come spero di mostrare dopo.

 

Il desiderio di spiegare questi due patti come intimamente correlati ma anche come drasticamente differenti è comprensibile, precisamente perché essi sono intimamente correlati, e perché essi, insieme agli altri patti di grazia speciale (abraamico, davidico), giocano un ruolo integrale nel programma rivelatorio unitario di Dio. Ma ciò non li rende un solo patto.

 

3. “Un Solo Patto Divino” 

a. W. J. Dumbrell. Come Kline ed altri prima di lui, W. J. Dumbrell ha difeso un approccio pattale alla teologia biblica.[12] Come loro, ha cercato di usare i patti come mezzo per affermare l’unità della Bibbia:

 

Nel postulare un’unità per la teologia biblica nel concetto di patto, i teologi riformati del passato avevano certamente ragione. Essi giunsero a questa conclusione postulando un’unità tra i testamenti derivata dal dispiegarsi del proposito divino. Anche in questo erano nel giusto.[13]

 

John Walton propone “Il Patto” come modo per unificare le rivelazioni di grazia speciale da parte di Dio. L’unità a cui Dumbrell mira va oltre “Il Patto”. Egli propone che, benchè vi siano dei patti distinti nella Bibbia, vi è di fatto “un solo patto divino”. Egli giunge a questa conclusione dopo uno studio di Genesi 1-9:

 

Dalla nostra analisi di Gen. 1-9 ne scaturisce che vi può essere soltanto un patto divino e che qualsiasi teologia del patto deve cominciare da Genesi 1:1. Tutto quanto accade progressivamente nell’AT sarà deducibile da questa relazione di base, ed avremo modo di notare la concatenazione che ci porta dalla creazione a Noè, passando per Noè ed Abraamo, da Abraamo poi al Sinai, a Davide, al nuovo patto geremiaco e di qui a Gesù il suo adempitore.[14]

 

La maggior parte dei teologi biblici sarebbe in grado di affermare tutto quanto sopra, eccetto la prima clausola indipendente. Il programma salvifico di Dio produce una nuova umanità (2 Cor. 5, 17; mediante un secondo Adamo, I Cor. 15, 45) e un nuovo cielo e nuova terra (Ap. 21, 1; cf. Is. 65, 17; 66, 22). Perciò è vero che “qualsiasi teologia del patto deve iniziare da Genesi 1, 1”. E’ anche vero che “tutto quanto accade progressivamente nell’AT sarà deducibile da questa relazione di base”, cioè, la relazione tra Dio e l’uomo in Genesi 1 che poi è interrotta dal peccato. E’ molto meno ovvio però che lungo la Bibbia si può trovare “un solo patto divino”. Una tale affermazione sembra contraddire il numero di patti divini-umani nelle Scritture, ognuno dei quali ha dei suoi caratteri specifici, e dei requisiti e propositi distinti e peculiari. E quei distintivi pattali, di cui ne abbiamo menzionato qualcuno prima, sono molto reali, benchè vi siano modi in cui essi sono interrelati, e in cui i patti posteriori dipendono da quelli precedenti, come discuteremo sotto.

 

La conclusione di Dumbrell, che sembra così controintuitiva, è basata su un fraintendimento della natura del patto stesso. Secondo lui un patto non crea una relazione tra due parti, ma conferma una relazione già esistente. Per questo egli scrive dei patti dell’AT: “Il fatto stesso, molto evidente, che in ogni caso la regola dell’accordo non è di iniziare una serie di relazione, mostra che il patto formalizza e dà concreta espressione ad una serie di arrangiamenti già esistenti”.[15] Egli cita un numero di esempi, dal patto di Giosuè con i Gibeoniti (Giosuè 9) a quello del sommo sacerdote Jeoiada con il re Joash di Giuda (2 Re 11, 17), e conclude:

 

Benchè la terminologia non è costante e gli elementi costitutivi differiscono, e benchè sia lo status che la natura delle parti non è uniforme, ciò che rimane lo stesso in ogni caso è che il patto concluso si riferisce a ed include un impegno finale e solenne per il quale uno stato di relazioni già esistenti vengono normalizzate.[16]

 

Ad un’esamina più attenta degli esempi citati però non si trova supporto a questa affermazione generalizzante. Potrebbe essere che il fatto che Geoiada “tagli” il patto tra il Signore e il re, e tra il re ed il popolo, implichi una normalizzazione di “uno stato di relazioni esistenti”. Geoiada ha appena coronato Joash re (v. 12) e Joash ed il popolo sono già in patto con Dio (il patto mosaico). Dunque, il patto fatto al verso 17 potrebbe essere una conferma di quelle relazioni esistenti. Tuttavia, non si può dire lo stesso del patto di Giosuè con i Gibeoniti. I Gibeoniti ingannano Giosuè e gli anziani di Israele nel dargli a pensare che sono lontani. In base a questo inganno, Giosuè ed Israele “tagliano” un patto con i Gibeoniti, “un trattato di pace per lasciarli vivere” (Gi. 9, 15). Il testo non ci dice di alcuno “stato di relazioni esistenti” tra Israele e Gibeon prima di quel momento. In realtà non si sapeva in che modo Israele avrebbe trattato i Gibeoniti, ed i Gibeoniti sapevano che le loro vite erano in bilico. Il punto della loro richiesta di un trattato era di ottenere dagli israeliti, che li avrebbero altrimenti uccisi, un impegno di pace.

 

L’errore fondamentale di Dumbrell è non saper distinguere tra patti e rinnovamenti di questi patti. Il patto tra Giosuè e Gibeon è un patto che stabilisce uno stato nuovo di cose, una relazione di impegno a mentenere la pace tra due parti che non erano correlate prima di quel patto (anzi, Israele entrò nel patto con un’idea sbagliata di chi fossero i Gibeoniti). Il patto tra il Signore e Geoiada e il popolo, che essi sarebbero stato il popolo del Signore, è un rinnovamento pattale: una riaffermazione del patto di Mosè sotto cui già si trovavano.

 

Non distinguere tra questi due tipi di patti (patti e rinnovamenti di patti) costituisce il primo passo vero la sua generalizzazione che vi è soltanto “un patto divino”. La sua analisi della relazione tra il patto adamitico e quello noaico forma il secondo passo. Poiché il noaico è certamente un patto di ricreazione, come Kline ed altri hanno da tempo riconosciuto, esso conferma “uno stato di relazioni già esistenti”. Dio sta rinnovando per grazia il suo patto originario di creazione con una generazione successiva di umani, proprio come un antico suzerain vicino-orientale avrebbe rinnovato un patto col figlio di un vassallo disertato. Dumbrell non riconosce o menziona questa realtà. Ma, poiché riconosce le sue conseguenze (e.g. i paralleli tra Gen. 1, 28 e Gen 9, 1-2), egli fa notare: “Di nuovo, abbiamo notato finora che l’apparire della parola berit è successivo alla serie di relazioni con cui esso è stato istituito. La nostra esamina della narrativa del diluvio ci ha portato a Genesi 1 per esaminare la natura delle relazioni che sono ivi stabilite.”[17] Come notato sopra, le cose stanno in modo che il patto adamitico e quello noaico formano un solo pacchetto legale. Lo stesso si può dire del patto mosaico e di quel patto speciale fatto con Geoiada. Il patto di Geoiada è un rinnovamento dell’impegno a mantenere il patto mosaico, e così diviene parte del pacchetto legale mosaico. Ma questa conferma di “uno stato esistente di relazioni” avviene in entrambi i casi perché i patti noaici e geoiadici sono rinnovamenti pattali, non patti veri e propri. I rinnovamenti pattali (nell’antico vicino-oriente e nella Bibbia) confermano delle relazioni già esistenti. I patti, al contrario, istituiscono quelle relazioni che possono poi essere confermate in seguito da rinnovamenti pattali.[18]

 

Dunque, il patto noaico riafferma una relazione già esistente tra Dio e gli esseri umani. Per Dumbrell questo implica un’unità pattale per l’intera Bibbia perché tutti i patti sono parte del proposito ultimo di Dio di ristorare l’ordine creazionale e al suo interno gli umani. Per questo egli dice riassumendo il suo argomento basilare: “l’uso del patto noaico nella Bibbia sembrava giustificare l’asserzione che nell’epoca post-caduta la nozione di patto contenesse l’aspetto di redenzione della creazione come anche il mantenimento dell’ordine”. [19] Di conseguenza, “Le implicazioni di un patto implicite nel fatto della creazione stessa” sono che “vi poteva essere soltanto un patto biblico, di cui i successivi patti biblici devono essere dei corollari”[20].

 

Dovrebbe essere dunque chiaro a questo punto che Dumbrell ha offuscato le categorie di patto e rinnovamento di patto. Egli lo fa perchè non ha sviluppato una comprensione di queste categorie da uno studio delle fonti antiche vicino-orientali. Queste fonti avrebbero sicuramente contribuito ad impedire questo passo falso da parte sua. Il risultato è che egli mischia non soltanto l’adamico e il noaico, ma tutti i patti divini insieme. Egli ha riconosciuto in che modo l’importante tema di creazione/nuova creazione è nel corpo dei patti biblici. Ma a motivo di un concetto di patto fallace vede questo come evidenza di un solo patto divino che procede mediante patti successivi e distinti, benchè interrelati.

 

La tendenza a mischiare i patti insieme ha altre ramificazioni interpretative, la peggiore delle quali, forse, è la sua comprensione della legge scritta sul cuore, o, detto diversamente, l’opera della legge e lo Spirito nel patto Mosaico in distinzione dal Nuovo patto. L’idea di mettere la legge sul cuore di una persona nel patto Mosaico è per lo più un fatto di applicazione individuale. Ovvero, Dio chiama l’individuo (o la nazione fatta di individui) a internalizzare la legge, o mettere la legge sul cuore. In contrasto a ciò, la promessa del nuovo patto è che Dio stesso scriverà la legge sui nostri cuori (Ger. 31, 33; cf. Ez. 36, 27). Dopo un’incompleta rassegna della concezione veterotestamentaria, che indica in modo chiaro che Dio, piuttosto che farlo Lui, chiama le persone a scrivere sul cuore la Sua legge, Dumbrell scrive:

 

Ovviamente, l’Antico Testamento esorta l’individuo ad assicurarsi che la legge sia nel cuore. Ciò non significa, però, che l’individuo la metta lì, l’evidenza preponderante mostra una direzione opposta. Qualsiasi tensioni possano esistere tra le chiamate a riporre la legge nel cuore e l’implicazione che soltanto Dio possa farlo, esse non sono peculiari, come sappiamo bene, all’esperienza della salvezza dell’Antico Testamento … Ovviamente Dio Si propone nella nuova epoca di mettere la sua legge nei cuori, e questo ci richiama ad una posizione ideale. Possiamo contrastarla con l’esternalità che caratterizzava in modo incrementale la religione israelita nell’Antico Testamento, ma detto questo, Ger. 31, 33 sembra non dire altro che questo: che nel fare ciò che ha pianificato Dio ritorna all’intento originale del patto del Sinai.[21]

 

Di fatto, però, “l’evidenza cumulativa” non “argomenta nella direzione opposta”.[22] Nell’Antico Testamento, l’idea che Dio stesso scriverà la legge sui nostri cuori si applica unicamente al futuro.[23] Inoltre, non vi è alcluna evidenza che “l’intento originale del patto del Sinai” era che Dio avrebbe scritto la legge sui cuori del popolo. Di fatto Paolo afferma chiaramente l’opposto. Secondo lui la legge fu data come un “pedagogo” (Gal. 3, 24) per mostrare ad Israele il loro bisogno di Cristo che avrebbe adempiuto la legge, e che, sacrificando se stesso secondo la legge, ci avrebbe dato lo Spirito che avrebbe mosso i nostri cuori ad ubbidire alla legge e ai decreti di Dio (cf. Ez. 36, 27), o, come disse Geremia, avrebbe scritto la legge sui nostri cuori (Ger. 31, 33). Questo è il motivo per cui, nello stesso contesto, il Signore dice attraverso Geremia che il nuovo patto “non sarà affatto come il patto che feci coi loro padri” (Ger. 31, 32).

 

Tuttavia, affinchè non vi sia alcun dubbio sulla veduta di Dumbrell, egli dice chiaramente, a riguardo della profezia di Geremia, “Dunque, la stipulazione del v. 33 che la legge sarà messa nel cuore è presumibilmente la stipulazione che la stessa legge che fu messa nella coscienza nazionale e personale di Israele al Sinai sarà riapplicata nello stesso modo nella nuova epoca”.[24]

 

Questa conclusione va esaminata da un punto di vista retorico. Primo, il Signore non sta dando qui una stipulazione, almeno non nel senso legale di uno statuto da essere ubbidito; piuttosto, sta dando una promessa di ciò che farà. Si può essere perdonati se si sospetterà che il termine legale “stipulazione” viene impiegato retoricamente per contribuire al senso di uguaglianza tra il patto mosaico e il nuovo patto che Dumbrell cerca di stabilire. Lo stesso dicasi per la frase “messa nella coscienza nazionale e personale di Israele”. Dio diede ad Israele la legge al Sinai. Si potrà anche dire che Dio la mise nella loro coscienza, ma non è lo stesso che dire che Dio mise la legge nei loro cuori, anche se retoricamente è un concetto simile. Ma porla nei loro cuori significa che essa divenne una parte della loro vita interiore, cosa che solo lo Spirito può fare. Udire la legge (come Israele al Sinai) non è lo stesso che internalizzarla (come troppo spesso Israele nell’AT fallì nel fare), e certamente non è lo stesso che Dio ad internalizzarla per loro.[25]

 

L’osservazione di Dumbrell che la legge data al Sinai sarà “riapplicata nello stesso modo nella nuova epoca” è il risultato logico del suo mergere i patti. Si può sospettare che l’autore agli Ebrei sarebbe stato in profondo disaccordo (cf. Ebr. 12, 18-24). Uno dei distintivi principali della vita nel nuovo patto è l’opera interiore dello Spirito Santo nel credente. Lo Spirito “scrive la legge” nei nostri cuori (Ger. 31, 33) e quel processo accade perchè Egli “dimora dentro” di noi (Ez. 36, 27). Entrambe sono benedizioni uniche al nuovo patto (Ger. 31, 31-32; Gv. 14, 15-17).

 

b. Scott J. Hafemann. Per Dumbrell un patto è un accordo che conferma una relazione già esistente. E, per lui, vi è soltanto “un solo patto divino” nella Bibbia. Egli è seguito in questa comprensione da Scott Hafemann, la cui opera quindi richiede attenzione a questo punto. Hafemann asserisce che,

 

il fatto che vi sia una sola relazione di patto uniforme durante tutti i vari patti della Bibbia … anche se vi sono numerosi patti nella storia della redenzione (come i patti con Abraamo, Israele al Sinai, Aaron, Fineas, Davide e la chiesa, cioè, il nuovo patto) essi incarnano la stessa relazione triplice tra Dio e il suo popolo che fu stabilita alla creazione: 1) la provvigione di Dio; 2) le rispettive stipulazioni pattali; 3) le conseguenti benedizioni o maledizioni di patto.[26]

 

Questa caratterizzazione, però, è troppo generalizzante. Ciò che Hafemann ha qui fatto è identificare tre elementi che sono comuni a tutti gli antichi patti vicino-orientali del secondo millennio BC, sia pagani che biblici (prologo storico, stipulazioni, e benedizioni/maledizioni) e concludere che, siccome tutti i patti biblici le contengono, devono costituire perciò un’unica relazione di patto. Il nostro focus è stato su Dumbrell, che è il principale esponente della veduta che postula una “sola relazione divina” in ogni epoca, e quindi ci soffermiamo su Hafeman soltanto brevemente. Vi sono anche altri elementi della sua concezione che non tratteremo qui. Tuttavia, notiamo che egli segue Dumbrell nel credere che “come un trattato o un matrimonio, un ‘patto’ è un tipo particolare di arrangiamento politico o legale che conferma o formalizza una relazione che già esiste tra due parti”.[27] Come Dumbrell, anche Hafemann fa questa errata distinzione nel definire il patto in modo che sia possibile la “sola relazione divina”. Come però abbiamo fatto notare sopra, in questo caso non si deve parlare dei patti, ma dei loro rinnovamenti. Il fatto che il matrimonio è un patto in realtà indica il contrario: esso non conferma una relazione già esistente, ma prende una relazione già esistente (fidanzamento) e la porta ad un livello interamente nuovo, trasformandola, e stabilendo un nuovo stato di cose, con nuovi privilegi e nuove responsabilità. Lo stesso è vero dei trattati antichi del vicino oriente e dei patti biblici.

 

Per quanto riguarda questi patti, la relazione già esistente è descritta dal prologo storico. Hafemann cita con approvazione Jon Levinson, e le sue parole in realtà si accordano con quello che noi stiamo dicendo e non con Hafemann stesso: “Il prologo storico è soltanto il prologo. E’ a questo punto che ciò che è critico non è il passato, ma l’osservanza delle stipulazioni nel presente e il tipo di vita che risulta da tale osservanza”.[28] Levinson contraddice direttamente (e correttamente) il fatto che un patto conferma una relazione già esistente. In base a ciò che un suzerain ha fatto (nel passato), viene ora istituita una nuova relazione. In quella relazione il vassallo deve ora osservare nuove stipulazioni. L’osservanza di quelle stipulazioni, a sua volta, porterà una nuova sorta di vita per il vassallo. Si può aggiungere che le nuove benedizioni e maledizioni stabilite nel patto condizioneranno la vita del vassallo, e la differenzieranno dal passato. In questi modi, la relazione tra il vassallo e il suzerain è diversa da quello che era prima che quel nuovo ulteriore patto fosse stabilito. Di nuovo, quindi, come nota Levinson, e come studiosi dell’antico vicino oriente sanno bene, un patto non conferma una relazione già esistente, ma ne crea una nuova che può poi susseguentemente essere confermata di nuovo da ulteriori rinnovamenti di quel patto.

 

 

2. Una Proposta Alternativa

 

1. Riassunto ed alternativa. Abbiamo osservato all’inizio che chi comprende i patti biblici all’interno della cornice di un patto costruito teologicamente comprendente tutta la storia redentiva lo fa col desiderio di mantenere l’unità dei patti biblici. La nostra rassegna dei tre patti costruiti teologicamente e dei loro sostenitori ha dimostrato questo, insieme ad altri punti rilevanti. Abbiamo anche detto all’inizio che costruire dei patti in modo teologico per realizzare o mostrare quell’unità risulta in confusione nel modo di trattare i patti e la Bibbia in generale, e non ci porta a chiarezza. La ragione è il concetto stesso di “patto costruito teologicamente”. Dovrebbe essere a questo punto chiaro che un tale concetto non soltanto è alieno a quello che i patti erano in realtà nel mondo antico, ma anche a ciò che erano e sono nella Bibbia. Io credo vi sia un’alternativa migliore.

 

Quest’alternativa inizia dove deve iniziare una qualsiasi teologia del patto che voglia essere completa, ovvero dal patto adamitico o creazionale. Esso include il patto noaico o di ri-creazione, essendo esso un solo pacchetto legale con quello adamico, come discusso sopra. I due patti insieme formano il corpus legale di grazia comune sotto cui l’intera umanità vive tutt’oggi, che lo riconosca o meno. Siamo ancora benedetti a motivo di quel corpus legale: siamo fruttuosi e ci moltiplichiamo, governiamo la terra e la sottomettiamo (benchè in modo peccaminoso, non al passo con lo Spirito, in modo da esser divenuti “quelli che distruggono la terra” Ap. 11, 18; cf. Is. 24, 5). Inoltre, viviamo sotto la maledizione di quella legge originaria che abbiamo trasgredito, e per questo moriamo. Dio rimane fedele a quel pacchetto pattale di grazia comune, e per questo le sue conseguenze, le benedizioni e le maledizioni, continuano.

 

Quei due patti, nello stabilire e mantenere l’umanità sulla terra sono però anche più che un programma di mantenimento di un certo ordine di grazia comune. Insieme essi formano la piattaforma, come se fosse, sulla quale Dio costruisce un programma di patti di grazia speciale che condurrà poi ai nuovi cieli e nuova terra e alla nuova umanità, il tutto realizzato attraverso il patto biblico finale, ovvero il nuovo patto. Tutti i patti di grazia speciale, da quello abraamico attraverso il mosaico e il davidico al nuovo, formano una sequenza interrelata, una serie di stadi correlati in quell’unico programma di salvezza. Usiamo il termine “programma” perchè per quanto questi patti siano interrelati, ognuno in sè è un patto distinto che constribuisce individualmente ad un programma unificato. Essi non vanno amalgamati in un solo “patto” sopratemporale, perchè tali entità di patto composite non sono mai esistite nel mondo antico, e non vi è bisogno di inventarne uno nello spiegare i patti biblici.

 

2. Il programma pattale di Dio: grazia comune e grazia speciale.[29] Abbiamo già argomentato che il patto adamico (creazionale) e quello noaico (ri-creazionale) formano un unico pacchetto legale (patto-rinnovamento di patto), sotto cui vivono tutti gli esseri umani. Benchè si possa dire che entrambi i patti ebbero inizio in quanto patti di grazia speciale con degli individui scelti, entrambi poi sono devoluti in patti di grazia comune, in quanto i loro eredi umani peccarono. Dio mantenne il patto di creazione per alcune generazioni, nonostante il peccato umano, fino al momento del giudizio mediante l’acqua (il Diluvio), dopo cui egli rinnovò quel patto di creazione con ed attraverso Noè. Dio è di nuovo paziente, mantiene sia il patto di creazione che di ricreazione fino al giudizio finale che avverrà mediante il fuoco. Pietro forse allude alla “parola” di Dio in entrambi i patti, in cui egli si impegnò con l’umanità, quando scrive che

 

nel passato, per effetto della parola di Dio, esistettero dei cieli e una terra tratta dall'acqua e sussistente in mezzo all'acqua; e che, per queste stesse cause, il mondo di allora, sommerso dall'acqua, perì; mentre i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della perdizione degli empi (2 Pietro 3, 5-7).[30]

 

Comunque sia, tutti gli umani vivono sotto l’ombrello di quei due patti, come abbiamo detto. E quei patti formano anche la piattaforma su cui Dio sviluppa i suoi patti post-caduta di grazia speciale (abraamico, mosaico, davidico, e nuovo). Quei patti di grazia speciali non sono, quindi, i soli patti nel programma redentivo di Dio. Quel programma include il patto noaico, che, confermando quello adamitico per i discendenti di Noè, assicura un contesto globale in cui i patti di grazia speciale possano seguire. Inoltre, se attribuiamo a Dio la preconoscenza della caduta di Adamo ed Eva, possiamo aggiungere il patto di creazione stesso al programma pattale di Dio che conduce al rinnovamento, in quanto la redenzione è implicata nel patto stabilito con loro. Ovvero, a motivo del carattere di Dio, Dio in quanto Creatore ha un impegno ultimo di ristorare tutto quello che ha creato, inclusi nuovi cieli e nuova terra e una nuova umanità. Detto altrimenti, i nuovi cieli e nuova terra di Ap. 21, 1 sono il risultato dell’impegno pattale originario di Dio, che già era attivo quando creò i primi cieli e terra (Gen. 1, 1).[31] Da ciò ne risulta che, come dice il detto, Endzeit è parallelo a Urzeit.[32]

 

Sulla piattaforma di grazia comune provveduta dal patto adamico-noaico, Dio poi inizia un patto con Abramo.[33] Come ha dimostrato Meredith Kline, ed io concordo, l’atto di ratifica di un patto da parte di Dio in Genesi 15 include un giuramento auto-imprecatorio tra gli animali tagliati in due (Gen. 15, 17; cf. Ger. 34, 18), un atto che simbolicamente anticipa la morte di Gesù sulla croce per tutte le trasgressioni di patto da parte della discendenza di Abraamo, ovvero, il vero Israele, la famiglia della fede (cf. Gal. 3, 6-9).[34] Da ciò ne risulta che il patto abraamico anticipa il nuovo patto nel sangue di Cristo. Tuttavia il patto con Abraamo inoltre anticipa e pone le basi per gli eventi che conducono a e risultano dal patto mosaico (ovvero, l’esodo e la conquista, cf. Gen. 15, 13-16). Il patto abraamico è dunque unico nella Bibbia in quanto contiene in sè e in germe gli altri due patti principali, il mosaico ed il nuovo, che hanno a che fare col popolo di Dio.

 

Il patto abraamico contiene anche in germe un terzo patto, quello davidico, perchè la promessa di patto fatte a Davide riguardanti una linea regale (2 Sam. 7, 5-16) dà una forma più matura e precisa alla promessa di una discendenza regale ad Abraamo (Gen. 17, 6). Il patto davidico è anche una parte integrale del programma redentivo di Dio. Esso è stabilito nel contesto del patto mosaico, perchè Davide e tutta la sua discendenza erano vassalli di Dio sotto quel patto, che anticipava e provvedeva l’istituzione della monarchia (Deut. 17, 14-20). Tuttavia esso guarda anche avanti al “Figlio maggiore di Davide”, anch’egli un vassallo di Dio nel suo ministero terreno, “nato sotto la legge, per redimere quelli sotto la legge” (Gal. 4, 4-5). Ed è attraverso l’opera di quel Figlio davidico che il nuovo patto è inaugurato, e continua la sua opera fino ad oggi, in ultima analisi per portare in essere quell’umanità e quei nuovi cieli e nuova terra che erano già impliciti nell’impegno originario di Dio al patto di creazione.

 

 

3. Conclusione

 

E’ evidente da questo rapido sketch che vi sono legami e connessioni fondamentali ed intime tra i vari patti biblici. Alcuni studiosi hanno cercato di spiegare questa connessione costruendo un concetto di patto sopratemporale che li unisce tutti e li raggruppa sotto il “patto di grazia”, il “patto” o “il solo patto divino”. Una tale procedura, però, è estranea a ciò che i patti erano storicamente nell’antico Vicino Oriente, e anche a quanto erano nella Bibbia. Inoltre, tali categorie teologiche non fanno altro che aggiungere confusione a qualsiasi tentativo di comprendere in che modo quei patti operavano, perchè importano un costrutto alieno nella discussione e lo impiegano come chiave ermeneutica.

 

Io propongo che un approccio migliore sia di comprendere ogni patto biblico tra Dio e gli uomini per quello che esse era ed è: patti storici veri e propri (stabiliti secondo il genere dei patti dell’antico Vicino oriente, e quindi ad essi paragonabili), ognuno dei quali gioca un ruolo ed ha un significato specifico nel programma unico di Dio di ristorare tutte le cose. E’ tempo di abbandonare la nozione di un “patto costruito teologicamente” in quanto inappropriato agli studi biblici, e di sostituirlo con un modello che è fedele sia al genere del patto storicamente considerato, che alla potente descrizione biblica del modo di Dio di stabilire i patti lungo la storia redentiva. Su una base così si può poi costruire una teologica biblica migliore.

 

 

Traduzione dall’articolo originale di Francesco De Lucia.

 

 

Note

[1] Professore di Antico Testamento al Gordon-Conwell Theological Seminary, USA.

[2] John H. Walton, Covenant (Grand Rapids: Zondervan, 1994) 61, n. 2.

[3] Cf. Edward J. Young, The Study of Old Testament Theology Today (Westwood, NJ: Revell, 1959) 84.

[4] L’approccio di Dumbrell è anche sposato da Scott Hafemann (di cui sotto).

[5] Meredith G. Kline, Kingdom Prologue (Overland Park, KS: Two Age Press, 2000) 6.

[6] Ibid.

[7] Walton, Covenant 47.

[8] Ibid. 49.

[9] Ibid. 50.

[10] Walton (ibid. 154) è ben al corrente del fatto che l’autore agli Ebrei sembra contraddirlo. Così egli dedica un paragrafo ad Ebrei 8, 13 in cui comprende i termini “obsoleto” e “scomparire” in un modo speciale. L’antico patto, secondo lui, non funziona più come un mezzo di relazionarsi a Dio: “essendo ora disponibile il nuovo patto, non vi è più l’opzione di relazionarsi a Dio nei vecchi termini”. Tuttavia, controintuitivamente, ciò non lo rende obsoleto: “Ciò non significa che il proposito dell’antico patto (in questo modello, rivelazione) sia obsoleto”. Per Walton “relazionarsi a Dio mediante una comprensione veterotestamentaria, in sè, non è abbastanza. Questo è quanto è obsoleto e pronto a sparire completamente”. Questa interpretazione, però, non fa giustizia ad Ebrei 8, 13, nè ad Ebrei in generale. Essa ignora il fatto che il proposito dell’antico patto non era semplicemente rivelatorio, anche se, ovviamente, Dio rivela se stesso in tutto il suo comportamento pattale, dall’istituzione del patto al mantenimento e alla causa legale del patto. Come J. Levenson ha rimarcato giustamente: “La rivelazione di Dio nella storia non è, secondo la teologia del patto, un goal in sè, ma piuttosto il prologo ad un nuovo tipo di relazione, una in cui il vassallo mostrerà fedeltà nel futuro riconoscendo la grazia del suzerain verso di lui nel passato” (Jon D. Levenson, Sinai and Zion: An Entry into the Jewish Bible [San Francisco: Harper & Row, 1985] 43). Un’importante funzione del patto mosaico era di porre una fondazione per uno stato teocratico. Per quella ragione, il patto ha molte parti di legislazione che regolano l’attività del popolo in quello stato. Ma quella teocrazia, quella forma veterotestamentaria del regno di Dio è di certo passata e le leggi che ne governavano le varie situazioni sono una lettera morta, come lo sono le leggi che ne governavano le sue istituzioni cultiche. Quando l’autore scrisse Ebrei, tutto ciò che rimaneva erano le forme esterne di quel regno veterotestamentario, e perfino quelle che erano sotto il dominio romano “sarebbero presto scomparse”. Ebrei è, ovviamente, più dedicato all’aspetto sacerdotale dell’antico e del nuovo che a quello sociale. Tuttavia l’autore dichiara che i membri di questo nuovo e migliore patto sono ora giunti alla “Gerusalemme celeste” piuttosto che a quella terrena. Infine, l’autore ad Ebrei non nega che il valore rivelatorio dell’antico patto sia ancora attuale, perchè cita spesso da esso. Ciò che egli dice è che l’antico patto stesso in quanto patto era obsoleto e che stava per scomparire.

[11] E’ notevole che Walton contraddice Ebrei anche in un altro punto. Egli afferma: “Non è che il ‘primo’ patto era difettivo. Il nuovo patto è un patto migliore perchè ha promesse migliori, per come identificate in Geremia 31” (p. 153). Tuttavia, Ebr. 8, 7 dichiara che “se quel primo patto fosse stato senza difetto, non se ne sarebbe cercato un altro”. Ma, se vi era un qualche “difetto” nel primo patto, esso quindi era certamente difettivo.

[12] W. J. Dumbrell, Covenant & Creation (Grand Rapids: Baker, 1984).

[13] Ibid. 42.

[14] Ibid.

[15] Ibid. 18-19.

[16] Ibid. 19.

[17] Ibid. 32.

[18] Per alcuni rinnovamenti di patto Ittiti, cf. Ernst F. Weidner, Politische Dokumente aus Kleinasien: Die Staatsverträge in akkadischer Sprache aus dem Archiv von Boghazköi (Leipzig: J. C. Hinrichs, 1923) 58ff. (“Vertrag zwischen Subbiluliuma, König von Hatti, and Tette, König von Nuhassi”), e pp. 76ff. (“Vertrag zwischen Mursili II, König von Hatti, und Dubbi-Tesub, König von Amurru”).

[19] Ibid. 43.

[20] Ibid.

[21] Ibid. 180.

[22] Dumbrell presenta vari testi a supporto della sua veduta, ma essi, di fatto, non la supportano. Nota che “la legge deve essere riposta nel cuore” e fa riferimento a Deut. 6, 4-6 e 11, 18. Ma questi testi non richiedono che la legge sia riposta nei loro cuori, essi comandano ad Israele di prendere l’iniziativa nel riporla lì (cf. Deut. 11, 18: “Fissate queste mie parole nei vostri cuori e menti”), come Deut. 6, 7-9 e il parallelo Deut. 11, 19-20 rendono chiaro,  passi che illustrano ulteriormente il concetto che Dumbrell ignora. Due altri passaggi di rilievo che egli non nota sono Prov. 3, 3 (“scrivi amore e fedeltà [che in Ebraico è un merisma che indica il patto, che in questo caso è il patto mosaico] sulla tavola del tuo cuore”) e Prov. 7, 2-3. Proverbi 7, 2 menziona “miei comandamenti ed insegnamenti” (che in ebraico indicano, metonimicamente, il patto mosaico) che al discepolo è detto in Prov. 7, 3 di “scrivere sulla tavola del tuo cuore”. Il discepolo in questi passi viene invitato a scrivere l’istruzione di patto sul suo cuore. Dumbrell, infine, fa riferimento a Sal. 37, 31 e 40, 8, entrambi si riferiscono alla legge di Dio, e la descrivono “nel cuore”; essi tuttavia non dichiarano nè se Dio o il salmista l’abbiano posta lì (cf. Deut. 11, 18). Sal. 1, 2 suggerisce che il salmista ha messo la legge nel suo cuore meditando costantemente su di essa.

[23] Il solo passaggio che dice che Dio scriverà la legge sui cuori del popolo è Ger. 31, 33 come parte del nuovo patto. Il concetto correlato, che circonciderà i cuori del suo popolo, è affermato soltanto una volta, in Deut. 30, 6. Dumbrell nota correttamente (p. 179) che questa è una predizione di ciò che Dio farà dopo il ritorno dall’esilio; ma la profezia lascia del tutto aperta la questione del quando dopo l’esilio Dio farà questa circoncisione, una risposta che ci è data soltanto nel contesto del nuovo patto da parte di Paolo in Rom. 2, 29. Chi aveva cuori circoncisi nell’AT sono stranieri (Ger. 9, 25; Ez. 44, 7-9) ed Israele (Ger. 9, 26).

[24] Ibid. 181.

[25] I passaggi dell’AT citati sopra rendono chiaro che Dio chiamava il Suo popolo nell’AT a “scrivere” la sua legge sui loro cuori, o a “circoncidere” i loro cuori (cf. Ge. 4, 4). Dumbrell cita anche passaggi che parlano di avere un cuore “puro”. Sal. 51, 10 è il principale. Dumbrell parla dei versi 7 e 17, che, però, chiedono perdono per il peccato e dichiarano l’accettabilità della contrizione davanti a Dio (cf. Is. 57, 15). Essi non dicono che Dio creò un cuore puro nella persona. Si può essere perdonati, Dio può accettare lo spirito affranto, e tuttavia non avere un cuore completamente puro davanti a Dio (cf. I Gv. 1, 10-2, 2). Davide chiese a Dio di fare ciò che solo Dio può fare: creare un cuore puro. E’ un grido per raggiungere uno stato ideale che Davide non raggiunse mai in questa vita e che nessuno raggiunge mai (cf. Rom. 3, 23). Gesù potè dire di Natanaele che aveva un cuore senza inganno (Gv. 1, 47), e tuttavia Natanaele era un peccatore, privo della gloria di Dio. I riferimenti di Dumbrell ad altri passaggi dell’AT (Sal. 73, 1, 13; Prov. 22, 11) devono essere compresi alla luce di ciò. Essi non sono evidenza che Dio creò cuori puri sotto l’antico patto.

[26] Scott J. Hafemann, The God of Promise and the Life of Faith (Wheaton: Crossway, 2001) 59.

[27] Ibid. 50.

[28] Levinson, Sinai and Zion 43, cit. in Hafemann, God of Promise 58; enfasi aggiunta.

[29] Quanto segue è soltanto uno sketch di questo programma pattale da parte di Dio. Ho in programma di scrivere una teologia biblica a riguardo. Un breve outline di queste idee si trova già in Jeffrey J. Niehaus, God at Sinai, (Grand Rapids: Zondervan, 1995) 383–84.

[30] C’è chi pensa che la “parola” di cui parla Pietro sia il logos (la parola di fatto usata da Pietro nell’originale), ovvero il Figlio attraverso cui tutte le cose furono fatte e attraverso il quale tutte le cose saranno giudicate. Ciò potrebbe essere corretto o almeno parte di ciò che intende Pietro. Tuttavia, vi è spazio per un’allusione di questa “parola” al patto originale, poichè i patti dell’antico vicino oriente erano rappresentati come le “parole” del suzerain sotto cui il vassallo doveva vivere ed essere giudicato (cf. Niehaus, God at Sinai, 144).

[31] Quell’impegno di grazia era già evidente nel modo in cui Dio riposizionò Adamo ed Eva nel loro ufficio regale come governatori sulla terra (cf. Gen. 1, 28), che è anche uno dei significati del suo averli vestiti in Gen. 3, 21.

[32] Vedasi Niehaus, God at Sinai, 147-49.

[33] Il patto abraamico viene alla luce in Genesi 15. Il patto comincia a quel punto. Non vi è patto nel mondo antico o nella Bibbia fino a quando la ratifica vera e propria del trattato/patto sia avvenuta.

[34] Cf. Kline, Kingdom Prologue 295–300; Niehaus, God at Sinai 176–78.

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