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Perché Bertrand Russell avrebbe dovuto essere cristiano

 

Greg Bahnsen

 

 

Prima parte

 


Cercarsi un fuoco da spegnere


Un’opportunità eccellente per praticare la difesa della fede cristiana ci viene fornita da uno dei più notevoli filosofi britannici del ventesimo secolo: Bertrand Russell. Russell ci ha offerto un esempio chiaro e definito di sfida intellettuale alla veridicità della fede cristiana nello scrivere un articolo che cercava specificamente di dimostrare che il Cristianesimo non è degno di fede. Il titolo del suo famoso saggio è “Perché non sono cristiano”.[1] Bertrand Russell (1872-1970) studiò matematica e filosofia all’Università di Cambridge e iniziò lì la sua carriera di insegnante. Scrisse opere filosofiche (su Leibniz, sulla filosofia della matematica e la teoria degli insiemi, sulla metafisica della mente e della materia, sui problemi epistemologici) ed esercitò un’influenza significativa sugli sviluppi nella filosofia del linguaggio nel ventesimo secolo. Scrisse prolificamente a livello popolare su letteratura, educazione e politica. Fu circondato da controversie. Fu licenziato dal Trinity College per le sue attività pacifiste nel 1916, fu imprigionato nel 1961 in connessione ad una campagna per il disarmamento nucleare. Le sue vedute sulla moralità sessuale contribuirono all’annullamento della sua posizione di insegnante alla City University di New York nel 1940. Tuttavia Russell fu altamente rispettato come studioso. Nel 1944 ritornò a Cambridge come insegnante e nel 1950 ricevette il Premio Nobel per la Letteratura. 

 

Nonostante la sua statura di filosofo, non è possibile dire che Russell sia stato sicuro di sè e coerente nelle sue vedute sulla realtà o sulla conoscenza. Nei suoi primi anni adottò l’idealismo Hegeliano insegnato da F. H. Bradley. Influenzato poi da G. E. Moore, cambiò per sposare una teoria platonica delle idee. Sfidato da Ludwig Wittgenstein sul concetto che la matematica consiste di mere tautologie, si avvicinò all’atomismo metafisico e linguistico. Adottò il realismo estremo di Alexius Meinong, per poi più tardi volgersi al costruzionismo logico. Seguendo in seguito William James, Russell abbandonò il dualismo mente-materia per la teoria del monismo neutrale. In seguito Russell sostenne il materialismo con fervore, benché la sua insoddisfazione col suo precedente atomismo logico lo lasciò senza un’alternativa metafisica che spiegasse l’oggetto delle nostre esperienze empiriche. Alla presa con problemi filosofici non dissimili da quelli che frustrarono David Hume, Russell concesse nei suoi ultimi anni che cercare la certezza conduce al fallimento. 


Abbiamo ripercorso brevemente la storia dell’evoluzione filosofica di Russell così che il lettore possa afferrare con cognizione di causa la forza e l’autorità della piattaforma intellettuale da cui Russell presunse di criticare la fede cristiana. L’intelligenza di Russell non è in dubbio, egli fu un uomo di talento e di intelletto. Ma a cosa gli è servito? Nel criticare i cristiani per le loro vedute sulla realtà ultima, di come sappiamo cosa sappiamo, e di come dovremmo vivere le nostre vite, forse che Bertrand Russell ebbe un’alternativa difendibile da cui lanciare i suoi attacchi? No affatto. Non fu in grado di spiegare la realtà e, sapendolo, e questo sulla base stessa dei criteri del suo modo di ragionare autonomo, non potè dire con certezza cosa è vero della realtà e della conoscenza. Tuttavia, nonostante questo, egli fu fermamente convinto che il cristianesimo è falso! Come sparare da un fucile scarico. 


Bertrand Russell non fece segreto del fatto che disdegnava intellettualmente e personalmente la religione in generale e il cristianesimo in particolare. Nella prefazione al libro dei suoi saggi critici del soggetto della religione scrisse: “Sono così fermamente convinto che le religioni causano danni tanto quanto lo sono che esse sono false”. Egli accusa ripetutamente in un modo o nell’altro che un uomo libero che eserciti la sua facoltà razionale non può sottomettersi ad un dogma religioso. Egli argomentò che la religione è un impedimento all’avanzamento della civilizzazione, che non può curare i nostri problemi, e che non sopravviviamo alla morte. 


Russell ci propone un’espressione sprezzante di materialismo metafisico in quello che forse è il saggio di Russell più notorio per un pubblico più vasto (pubblicato per la prima volta nel 1903), intitolato “L’adorazione di un uomo libero”. Lì egli concluse: “Breve ed impotente è la vita dell’uomo; su di lui e tutta la sua razza il lento ma certo destino ricade spietato ed oscuro. Cieca al bene e al male, incurante della distruzione, la materia onnipotente continua il suo percorso inarrestabile”. Difronte a questo nichilismo e soggetivismo etico, Russell tuttavia chiamò l’umanità ad invigorire l’adorazione dell’uomo libero: “adorare all’altare che le sue proprie mani hanno costruito, non intimidito dall’impero del caso …”


Speriamo che la flagrante contraddizione nella filosofia di vita di Russell sia già evidente al lettore. Egli asserisce che i nostri ideali e valori non sono oggettivi e supportati dalla natura della realtà, e anzi che sono fuggevoli e destinati alla distruzione. Però poi, contrariamente a ciò, Russell ci incoraggia ad asserire i nostri valori autonomi dinanzi ad un universo senza valori, e ad agire come se davvero contassero qualcosa, fossero razionali e non meramente il risultato del caso. Ma dopo tutto, quale senso Russell poteva sperare di attribuire ad un valore immateriale (un ideale) dinanzi alla sua realtà della “materia onnipotente”, cieca ai valori? Russell riuscì soltanto a darsi la zappa sui piedi. 



Perché Russell disse che non poteva essere cristiano


Il saggio “Perché non sono cristiano” è il testo di una lettura che egli diede alla National Secular Society di Londra il 6 Marzo 1927. E’ giusto riconoscere, come commentò egli stesso, che il tempo limitato a sua disposizione gli impedì di inoltrarsi in grandi dettagli o dire tutto quanto avrebbe voluto sulla materia che egli tocca nella lettura. Tuttavia, egli dice abbastanza da renderlo degno di critica da parte nostra.  


In termini ampi, Russell argomentò che non poteva essere un cristiano perché: 

 

(1) la chiesa Cattolica romana si sbaglia nel dire che l’esistenza di Dio può essere dimostrata in base alla pura ragione;


(2) difetti nel carattere e nell’insegnamento di Gesù mostrano che non era il migliore e più saggio degli uomini, ma in realtà moralmente inferiore a Budda e Socrate; 


(3) la gente accetta la religione su base emotiva e in particolare sulla base della paura, che “non è degna di esseri umani che rispettino se stessi”; e


(4) La religione cristiana “è stata ed ancora è il nemico principale del progresso morale nel mondo”. 



Tensioni interne

 

Quanto è degno di nota in questa litania di lamentele contro il cristianesimo è l’arbitrarietà e l’incoerenza di Russell. La seconda ragione che abbiamo riassunto sopra presuppone infatti un qualche standard assoluto di saggezza morale con cui qualcuno può valutare Gesù come inferiore o superiore ad altri. Similmente, la terza ragione presuppone un criterio fisso per valutare esattamente cosa sia e cosa non sia “degno” di esseri umani che si rispettino. Ed ancora, la protesta espressa nella quarta ragione non avrebbe alcun senso a meno che non sia oggettivamente errato essere un nemico del “progresso morale”, ed anzi: la nozione stessa di “progresso” morale presume uno standard morale stabilito in modo assoluto con cui valutare un “progresso” morale. 

 

Ora, se Russell avesse ragionato e parlato in termini di visione del mondo cristiana, il suo tentativo di valutare saggezza morale, dignità umana e progresso morale, così come giudicare avversamente difetti in tali materie, sarebbe stato comprensibile e non sorprendente. I cristiani infatti hanno uno standard universale, oggettivo ed universale di moralità nella Parola rivelata di Dio. Ma ovviamente Russell non intendeva parlare adottando le premesse e le prospettive cristiane! Su quale base, quindi, Russell pronunciò le sue valutazioni e i suoi giudizi morali? In termini di quale concezione della realtà e della conoscenza presunse che vi sono criteri oggettivi di moralità con cui trovare difetti in Cristo, nei cristiani e nella chiesa? 


Russell fu in questo arbitrario, ed in modo imbarazzante. Diede per scontato, assumendolo come un presupposto filosofico senza dimostrarlo, che esiste uno standard morale da applicare, e in base al quale potè presumere di farsi suo portavoce, portatore ed arbitro. Si potrebbe facilmente controbbattere a Russell semplicemente dicendo che egli scelse, ed arbitrariamente, lo standard di moralità sbagliato. Per dirla tutta, anche agli oppositori di Russell si deve concedere lo stesso livello di arbitrarietà nello scegliere uno standard morale, benché sia forse diverso da quello che Russell stesso scelse. Vediamo così che il suo argomento precipita velocemente nella sconfitta. 


Seconda parte

 

 

Nell’assumersi la prerogativa di passare giudizi morali sugli altri, Russell evidenziò poi il fatto che i suoi presupposti non si accordavano nemmeno l’uno con l’altro. Nell’offrire un giudizio di valore condannatorio contro il cristianesimo, Russell si comportò in modo da tradire quello che diceva di credere altrove. Nella sua lettura Russell professò che questo mondo è frutto del caso e che non mostra evidenza di essere stato disegnato da nessuno, dove le “leggi” non sono nient’altro che medie statistiche che descrivono quello che è accaduto. Egli professava che il mondo fisico forse esisteva da sempre e che la vita e l’intelligenza umana avvennero nel modo spiegato da Darwin (la selezione naturale atea ed evoluzionista). I nostri valori e le nostre speranze sono “la creazione della nostra intelligenza”. E’ un fatto, secondo lui, che in base alle “leggi ordinarie della scienza, si deve supporre che la vita umana … su questo pianeta si estinguerà seguendo il suo corso”. 


Ciò in altre parole significa semplicemente dire che i valori umani sono soggettivi, fuggevoli, e creati dall’uomo stesso. In breve, sono relativi. Sostenendo questo tipo di valori morali, però, Russell fu quindi del tutto incoerente quando agì assumendo un tipo del tutto diverso di valori nell’esprimere una valutazione morale assoluta di Cristo o dei cristiani. Uno degli aspetti della rete di credenze di Russell, quindi, rende inintelleggibile un altro aspetto di quella stessa rete di credenze. 

 

Lo stesso tipo di tensione interna all’interno delle credenze di Russell è evidente in quanto ebbe da dire sulle “leggi” della scienza. Da un lato tali leggi sono “mere descrizioni di quello che è accaduto nel passato”, dice Russell. D’altro canto, però, Russell parlò delle leggi della scienza come base per capire il futuro, quando asserì il decadimento del sistema solare. Questo tipo di danza dialettica tra concezioni conflittuali delle leggi scientifiche (per parlare epistemologicamente) è caratteristica del pensiero non credente in generale. Un tal modo di pensare non è in armonia con se stesso ed è quindi irrazionale. 



La "mera ragione"


Nella prima ragione per cui Russell disse di non essere cristiano egli alluse al dogma della chiesa Cattolica Romana che “l’esistenza di Dio può essere dimostrata con la mera ragione”.[2] Egli poi si volse ad alcuni degli argomenti più popolari avanzati per l’esistenza di Dio che (si presume) siano basati su questa “mera ragione” e li trovò facilmente mancanti. Va senza dire, ovviamente, che Russell pensava che li stava sconfiggendo proprio mediante la sua “mera ragione” (ovviamente superiore!). Russell non rigettò l’idea Cattolica Romana che l’uomo può dimostrare qualcosa con la sua “mera ragione” (senza l’opera di grazia soprannaturale). Anzi, alla fine della sua lettura egli chiamò i suoi ascoltatori a “una prospettiva intrepida e un’intelligenza libera”. Russell era semplicemente in disaccordo con l’idea che la “mera ragione” ci porta a Dio. In modi diversi, e raggiungendo conclusioni finali diverse, sia la chiesa Romana che Russell incoraggiano gli uomini ad esercitare le loro facoltà razionali in modo autonomo, a prescindere dalla fondazione e dai limiti della Rivelazione divina. 


L’apologeta cristiano non dovrebbe mancare di esporre per quello che esso realmente è questo impegno a perseguire la “mera ragione”: un presupposto filosofico non giustificato. Nella sua lettura Russell dà semplicemente per scontato che la ragione autonoma mette in grado l’uomo di conoscere le cose. Egli parla liberamente della sua “conoscenza di cosa fanno gli atomi” di quello che “la scienza ci può insegnare”, e di “certe fallacie definite” commesse negli argomenti cristiani, etc. Ma così è troppo facile. Come filosofo Russell volle viaggiare senza pagare il biglietto, per così dire: egli fallì, ipocritamente, di essere autocritico nel suo modo di ragionare, giustificandolo invece di meramente supporlo, mentre implorava gli altri di essere autocritici con se stessi. 


Il problema fondamentale che Russell semplicemente non affrontò è che, sulla base del suo modo di ragionare autonomo, l’uomo non può dare una spiegazione adeguata e razionale della conoscenza che acquisiamo attraverso la scienza e la logica. I procedimenti scientifici presumono che il mondo naturale operi in modo uniforme, nel cui caso la nostra conoscenza osservazionale di casi passati ci fornisce una base per predirre quanto accadrà in casi futuri. D’altro canto, la ragione autonoma non ha alcuna base per credere che il mondo naturale opererà in modo uniforme nel futuro. Russell stesso, a volta, asserì che viviamo in un mondo dominato dal caso. Non potè mai riconciliare questa concezione, però, con quella che la natura è uniforme (perché, secondo lui, così ci dice la “scienza”). 

 

E così è anche per la conoscneza e l’uso delle leggi della logica (in base a cui Russell certamente insistè che si evitino le fallacie logiche). Le leggi della logica non sono oggetti fisici nel mondo naturale, non vengono osservate dai sensi dell’uomo. Inoltre, le leggi della logica sono universali ed immutabili, altrimenti si ridurrebbero a preferenze relativistiche piuttosto che essere requisiti prescrittivi. Tuttavia, i ragionamenti autonomi di Russell non poterono spiegare o giustificare queste caratteristiche delle leggi della logica. La mera ragione di un individuo è limitata quanto al suo uso ed esperienza, nel cui caso non può pronunciarsi su quanto è universalmente vero (descrittivamente). D’altro canto, la mera ragione dell’individuo non è in una posizione di dettare (prescrittivamente) leggi universali di pensiero o assicurarci che queste stipulazioni per la mente si dimostreranno in qualche modo applicabili nel mondo del pensiero o della materia al di fuori della mente dell’individuo.[3]

 

La visione del mondo di Russell, anche a prescindere dalle sue tensioni interne, non potè fornire un fondamento per l’intellegibilità della scienza o della logica. La sua “mera ragione” non potè spiegare la conoscenza che gli uomini acquisiscono perché vivono nell’universo di Dio, un universo che è controllato in modo sovrano (in modo da essere e rimanere uniforme) ed è interpretabile alla luce della mente rivelata del Creatore (in modo che vi sono leggi di pensiero immateriali che sono universali). 



Congetture pregiudiziali e fallacie logiche

 

Dobbiamo notare, infine, che il suo non essere cristiano è soggetto ad ulteriori critiche: il suo basarsi sulla congettura pregiudiziale e alcune fallacie logiche. E’ per questo che non si può pensare che egli abbia stabilito conclusioni o buone ragioni per aver rigettato il Cristianesimo. 

 

E’ davvero sorprendente, ad esempio, che lo stesso Russell che coprì di ridicolo i cristiani del passato per la loro ignoranza e mancanza di conoscenza accademica, potè dire qualcosa di poco erudito ed inaccurato come: “Storicamente è dubbio se Cristo è perfino esistito, e se esistè non sappiamo niente di Lui”. Perfino dimenticando adesso i riferimenti secolari a Cristo nel mondo antico, il commento di Russell semplicemente ignora i documenti del Nuovo Testamento quali testimoni primitivi ed accurati della persona storica di Gesù. Siccome questi documenti sono relativamente primitivi, e ne abbiamo un ampio numero di manoscritti, se Russell “dubitava” l’esistenza di Gesù Cristo egli deve aver applicato un notevole doppio standard nel suo ragionare storico, o deve essere stato agnostico anche a riguardo di virtualmente l’intera storia del mondo antico. In ogni caso, possiamo vedere la natura pregiudiziale del pensiero di Russell quando si accinse a considerare la religione cristiana. 

 

Forse la fallacia logica più evidente nella lettura di Russell si manifesta nel modo in cui prontamente egli si sposta da una valutazione delle credenze cristiane ad una critica dei credenti cristiani. Ed anche qui avrebbe dovuto procedere con maggiore prudenza. Proprio al principio della sua lettura, egli disse: “per cristiani non intendo chiunque provi a vivere in modo decente e secondo la sua luce. Penso che bisogni avere un certo ammontare di credenze precise prima di avere il diritto di potersi chiamare cristiano”. Ovvero, l’oggetto della critica di Russell avrebbe dovuto essere, stando alla sua stessa testimonianza, non lo stile di vita degli individui ma i punti dottrinali che sono essenziali al Cristianesimo come sistema di pensiero. L’apertura della sua lettura di focalizza sulla sua insoddisfazione nei riguardi di quelle credenze (l’esistenza di Dio, l’immortalità, Cristo come il migliore degli uomini). 

 

Tuttavia, verso la fine della sua lettura, la discussione di Russell si volge nella direzione di argomentare fallacemente contro i difetti personali dei cristiani (perché secondo lui mantengono delle rigide regole contrarie alla felicità umana) e la supposta genesi delle loro credenze (secondo lui una genesi emotiva, che ha origine nella paura). Ovvero, egli indulge nella fallacia di argomentare ad hominem. Perfino se quello che Russell ebbe da dire fosse stato giusto ed accurato (ma non lo è), rimarrebbe il fatto che egli si abbassò al livello di argomentare contro un assunto di verità sulla base del suo personale dispiacere e valutazione psicologica di chi professava quell’assunto. In altri contesti Russell il filosofo sarebbe stato il primo a criticare uno studente per aver ingaggiato un tale tentativo. Non è nient’altro che una vergognosa fallacia logica. 

 

Si notino brevemente altri difetti nella linea di pensiero di Russell. Egli presunse di sapere la motivazione di una persona nel divenire un cristiano, benché l’epistemologia di Russell non gli dava alcuna giustificazione per pensare di poter discernere tali cose (e tanto meno con faciltà ed a distanza). Inoltre, presunse di sapere la motivazione di un’intera classe di persone (incluse quelle che vissero nel lontano passato), in base ad una personale esperienza di un gruppo molto, molto limitato di persone. Queste sono, da parte sua, poco più che frettolose e infondate generalizzazioni, che ci dicono qualcosa (se ci dicono qualcosa) dello stato mentale ed emotivo di Russell, della sua ovvia antipatia emotiva nei confronti dei cristiani. 

 

Ma questo ci lascia a fronteggiare una fallacia finale e devastante nella lettura di Russell contro il Cristianesimo: l’uso di doppi standard (ed un implicito argomento specioso) nel suo ragionamento. Russell volle incolpare i cristiani per il fattore emotivo nella loro fede, e tuttavia egli stesso evidenziò un simile fattore emotivo nel suo impegno personale contro i cristiani. Russell si appellò apertamente ai sentimenti emotivi del coraggio, orgoglio, libertà e dignità come base su cui la sua audience avrebbe dovuto ascoltarlo e così non essere cristiana!

 

Similmente, Russell provò a sfidare i cristiani per la loro “empietà” (come se potesse aver perfino senso parlare di una tal cosa in base alla sua visione del mondo!): per la loro crudeltà, guerre, inquisizioni, etc. Russell non ci pensò nemmeno un momento però a riflettere sulla crudeltà e violenza di molto superiore che i non cristiani hanno dimostrato nella storia. Gengis Kahn, Vlad l’Impalatore, il Marchese de Sade e molti altri veri e propri macellai non furono risaputi per la loro professione cristiana! Ma questo viene lasciato comodamente da parte nello sdegno ipocrita di Russell per gli errori morali della chiesa cristiana. 


Il saggio di Russell “Perché non sono cristiano” ci rivela che l’elite intellettuale di questo mondo è confutata dagli errori che essa stessa commette proprio nel cercare di opporre la verità della fede cristiana. Una tale sfida al cristianesimo, che evidenzia congetture pregiudiziali, fallacie logiche, presupposti filosofici dati per scontato, comportamenti che tradiscono quello che si professa di credere, e presupposti che si contraddicono l’un l’altro non ha alcuna credibilità. Perché Russell non fu un cristiano? Dati i suoi deboli sforzi nel dimostrarlo, si dovrebbe concludere che non fu per ragioni intellettuali. 

 

Traduzione di Francesco De Lucia dall'articolo originale

 

Note

[1] In italiano è possibile leggere il libro “Perché non sono cristiano”, la serie di saggi scritti sull’argomento da Russell, pubblicato dall’editore TEA.

[2] Nella sua lettura Russell mostra un curioso e capriccioso spostarsi nello standard che, di volta in volta, definisce il contenuto delle credenze “cristiane” che egli critica. Egli arbitrariamente assume che quando dice il Magistero Cattolico Romano sia lo standard della Fede Cristiana. Tuttavia nel paragrafo immediamente precedente egli ha detto che la dottrina dell’inferno non era essenziale al sistema cristiano perché il Concilio di Privy del parlamento inglese aveva così decretato (sul dissenso degli Arcivescovi di Canterbury e York). Altrove Russell si allontana anche da quest’ultimo standard di Cristianesimo (quello del parlamento inglese) e si scaglia contro l’insegnamento stesso di Gesù sulla dannazione eterna degli impenitenti, basato sulla Bibbia. Russell non aveva alcun interesse ad essere coerente o giusto nel suo trattare ed opporre il Cristianesimo. Quando gli tornava comodo definiva la fede secondo la Bibbia, ma quando gli era più comodo ai fini della sua polemica si spostava alla definizione della fede secondo il parlamento inglese o secondo la chiesa Cattolica Romana. 

[3] Chi è familiare con l’opera filosofica dettagliata (e notevole, seminale) di Russell metterebbe in evidenza che, nonostante la sua intelligenza, la “mera ragione” di Russell non potè mai risolvere alcuni paradossi semantici e logici che sorgono nella sua spiegazione di logica, matematica, e linguaggio. I suoi più riverenti seguaci concedono che le teorie di Russell sono soggette a sostanziali critiche. 

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