La Casa di Dio
Le profezie dell’Antico Testamento sulla ristorazione della nazione di Israele:
letterali o simboliche?
Benjamin L. Merkle
Le profezie veterotestamentarie riguardanti la promessa di Dio di ristorare la nazione di Israele devono essere intese in senso letterale? La nostra escatologia deve fare spazio ad un’epoca futura in cui si adempiano? Una delle ragioni principali per cui alcuni insistono sul fatto che vi sarà un millennio futuro in cui Gesù regnerà come re sulla nazione di Israele è la credenza che molte profezie dell’Antico Testamento non sono state ancora adempiute.[1] In altre parole: un futuro regno di Gesù sul popolo di Israele (in adempimento delle profezie dell’AT) è una delle ragioni principali per cui c’è bisogno di un regno millennario.[2] Senza questo regno si crede che Dio abbia fallito di realizzare le promesse fatte nella Sua parola. Spiritualizzare queste promesse, si dice, non fa giustizia alla loro specifica natura. Ad esempio Wayne Grudem spiega che una delle caratteristiche del premillenialismo pretribolazionista (o dispensazionalista) “è la sua insistenza nell’interpretare le profezie bibliche ‘letteralmente dove possibile’. Questo si applica specialmente alle profezie nell’Antico Testamento concernenti Israele”.[3]
Una di queste profezie si trova in Amos 9:11-15:
«Quel giorno io rialzerò la capanna di Davide che è caduta, ne riparerò i danni, ne rialzerò le rovine, la ricostruirò com’era nei giorni antichi, affinché possegga il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è invocato il mio nome», dice il Signore che farà questo. «Ecco, vengono i giorni», dice il Signore, «in cui l’aratore s’incontrerà con il mietitore, e chi pigia l’uva con chi getta il seme; quando i monti stilleranno mosto e tutti i colli si scioglieranno. Io libererò dall’esilio il mio popolo, Israele; essi ricostruiranno le città desolate e le abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne mangeranno i frutti. Io li pianterò nella loro terra e non saranno mai più sradicati dalla terra che io ho dato loro», dice il Signore, il tuo Dio.
Questa profezia si riferisce ad un tempo futuro quando Dio ristorerà la nazione di Israele e concederà loro una pace ed una prosperità senza precedenti? Un tempo in cui le loro città vengono ristorate, i loro nemici sono sconfitti, e le loro terre rendono abbondanti raccolti? Oppure questa profezia deve essere interpretata in modo simbolico, e si riferisce invece ad un tempo in cui Dio benedirà il Suo popolo di patto in modo indescrivibile con parole umane? Il proposito di questo articolo è dimostrare che alcune profezie dell’Antico Testamento, e in particolare quelle che parlano di una ristorazione della nazione di Israele, devono essere interpretate in maniera simbolica. Le ragioni a supporto di questa interpretazione sono 1) la natura profonda della religione biblica, 2) il genere unico della profezia biblica, 3) la maniera simbolica in cui il Nuovo Testamento interpreta le profezie dell’Antico Testamento, e 4) il ruolo centrale della morte e risurrezione di Gesù nella storia della salvezza.
La natura profonda della religione biblica
La fede cristiana è una religione del cuore. Essa non è primariamente esteriore ma interiore. Una religione meramente esteriore non è mail il goal della fede. Dio è primariamente interessato alla fede profonda ed interiore del Suo popolo. Questo è vero non soltanto nel Nuovo Testamento ma si vede chiaramente anche nell’Antico Testamento.
La circoncisione del cuore
La circoncisione era una parte significativa sia del patto abramitico che di quello mosaico. Era il segno esteriore che separava il popolo scelto di Dio dalle altre nazioni. E tuttavia, secondo l’Antico Testamento, la vera circoncisione non era l’atto esteriore e fisico ma quella interiore del cuore:
Circoncidete dunque il vostro cuore e non indurite più il vostro collo (Deut. 10:16).
Il Signore, il tuo Dio, circonciderà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti affinché tu ami il Signore, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua, e così tu viva (Deut. 30:6).
Circoncidetevi per il Signore, circoncidete i vostri cuori, uomini di Giuda e abitanti di Gerusalemme (Ger. 4:4).
Questa enfasi sulla circoncisione interiore del cuore è reiterata nel Nuovo Testamento (Rom. 2:25–29; I Cor. 7:19; Gal. 5:6; 6:15; Fil. 3:2–3; Col. 2:11).
Il sacrificio di un cuore ubbidiente e contrito
Nell’Antico Testamento Dio comandava al Suo popolo dei sacrifici giornalieri. Questi sacrifici di solito richiedevano lo spargimento del sangue di un amimale. Ma noi sappiamo che tali sacrifici erano meramente un segno esteriore che significavano lo standard perfetto di Dio e la necessità dell’espiazione. Dio è sempre stato interessato maggiormente all’ubbidienza del cuore che allo spargimento del sangue di un amimale:
L’ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più che il grasso dei montoni (I Sam. 15:22b).
Tu non gradisci né sacrificio né offerta; m’hai aperto gli orecchi. Tu non domandi né olocausto né sacrificio per il peccato (Salmo 40:6).
Sacrificio gradito a Dio è uno spirito afflitto; tu, Dio, non disprezzi un cuore abbattuto e umiliato (Salmo 51:17).
Poiché io desidero bontà, non sacrifici, e la conoscenza di Dio più degli olocausti (Osea 6:6).
Un altro tipo di sacrificio
Negare cibo e bevanda al corpo spesso simbolizza la propria devozione a Dio. Dimostra che Dio e la Sua Parola sono più importanti della soddisfazione dei desideri del corpo. E’ un atto esteriore che dimostra l’impegno interiore. Ma se l’attitudine interiore non accompagna l’atto esteriore, il digiuno diviene una presa in giro per Dio:
Ecco, nel giorno del vostro digiuno voi fate i vostri affari ed esigete che siano fatti tutti i vostri lavori … È forse questo il digiuno di cui mi compiaccio, il giorno in cui l’uomo si umilia? Curvare la testa come un giunco, sdraiarsi sul sacco e sulla cenere, è dunque questo ciò che chiami digiuno, giorno gradito al Signore? Il digiuno che io gradisco non è forse questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che si spezzi ogni tipo di giogo? Non è forse questo: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne? (Isaia 58:3b, 5-7).
Se digiunano, non ascolterò il loro grido; se offrono olocausti e offerte, non li gradirò (Geremia 14:12a).
Perfino con tutti i suoi rituali e requisiti esteriori, l’antico patto in essenza riguardava il cuore. Nel nuovo patto questo focus interiore diviene più evidente perché molti degli elementi esteriori sono del tutto rimossi.
I commenti sopra e i riferimenti scritturali non dimostrano che certe profezie dell’Antico Testamento concernenti la nazione di Israele devono essere comprese simbolicamente. Dio è interessato nell’aspetto fisico perfino in paradiso. Ad esempio la Bibbia insegna chiaramente che i credenti riceveranno, alla risurrezione, un nuovo corpo fisico. Il mio punto è questo: se il nuovo patto, che si focalizza su quanto è spirituale, è l’adempimento del piano di Dio, perché dovremmo ritornare alle ombre e alle figure (Col. 2:17; Ebr. 8:5)? Ritornando ad ombre e figure, non ci renderemmo forse colpevoli di invertire il piano divino nella storia redentiva? I Giudei del tempo di Gesù stavano aspettando che il Messia avrebbe stabilito un regno tangibile e terreno basato sul loro (fra)intendimento dell’Antico Testamento. Il regno messianico veniva capito primariamente come il governo politico di Israele sulle nazioni, in un tempo in cui vi sarebbe stata prosperità e potenza. Ma si sbagliavano. E’ possibile che ci stiamo rendendo similmente colpevoli? Potrebbe essere che abbiamo frainteso il guscio per la perla?[4] E’ davvero l’intenzione di Dio che la nazione di Israele ristori le sue città, sconfigga i loro nemici, e che la terra renda ad essa abbondanti raccolti (Amos 9:11-15)? O queste promesse hanno un significato più grande? Potrebbe essere che i profeti usarono un linguaggio metaforico per descrivere il modo in cui Dio avrebbe adempiuto le Sue promesse?
Il genere unico della profezia biblica
Come sappiamo se una profezia deve essere intesa in modo letterale o simbolico? Di certo non ogni profezia è simbolica o figurativa. Ad esempio, il profeta Isaia ci dice che il Messia sarebbe nato da una vergine (Isaia 7:14) e Michea ci informa che sarebbe nato a Betlemme (Michea 5:2). Queste profezie si sarebbero adempiute letteralmente, e quindi potremmo chiederci: perché non anche il resto d’esse?[5] La risposta a questa domanda dipende 1) dalla natura della profezia, e 2) dal linguaggio usato nella profezia. La profezia concernente la fine dei tempi o la venuta del regno di Dio è spesso descritta con un linguaggio metaforico. I profeti spesso usavano delle immagini terrene per descrivere delle realtà celesti. Il regno messianico era spesso raffigurato come un ritorno dall’esilio ed includeva la ricostruzione del tempio (sul monte Sion, che sarebbe divenuto il monte più alto), la riesumazione dei sacrifici del tempio, e gli animali che dimorano l’uno con l’altro in modo pacifico. La ragione era semplice. I profeti parlavano e scrivevano in termini che sia loro che il loro pubblico potevano capire. Descrivevano il regno messianico con dei concetti e delle immagini che avevano un significato riconoscibile per le persone dei loro tempi. Amos descrive il futuro in termini che trasmettono il senso di grandi benedizioni da parte di Dio: le loro città sarebbero state ricostruite, i loro nemici conquistati, la loro terra avrebbe prodotto più di quanto sembrava possibile, ed essi stessi avrebbero dimorato nella terra per sempre.
I profeti spesso impiegavano un linguaggio figurativo o cosmico per descrivere le grandi opere di Dio nella storia. Ad esempio, il profeta Isaia dichiara:
Ecco, il giorno del Signore giunge: giorno crudele, d’indignazione e d’ira furente, che farà della terra un deserto e ne distruggerà i peccatori. Poiché le stelle e le costellazioni del cielo non faranno più brillare la loro luce; il sole si oscurerà mentre sorge, la luna non farà più risplendere il suo chiarore … Perciò farò tremare i cieli, e la terra sarà scossa dal suo luogo per l’indignazione del Signore degli eserciti, nel giorno della sua ira furente (Isaia 13:9-10, 13).
A primo acchito si potrebbe presumere che questa profezia pertenga al giorno del grande giudizio di Dio. Ma il primo verso del capitolo dice: “Oracolo contro Babilonia rivelato a Isaia figlio di Amots” (Isaia 13:1). Al verso 19 leggiamo di nuovo che questa profezia di giudizio riguarda la nazione di Babilonia: “Babilonia, lo splendore dei regni, la superba bellezza dei Caldei, sarà come Sodoma e Gomorra quando Dio le distrusse.” Era cosa comune per i profeti usare un linguaggio figurativo e cosmico per descrivere l’intervento di Dio nella storia e il Suo governo sovrano su tutte le nazioni. Robert Stein spiega:
Tale immaginario non voleva essere preso letteralmente. Il sole non si sarebbe davvero oscurato, la luna non avrebbe smesso di dare la sua luce, le stelle non avrebbero smesso di mostrare la loro luce. “Cosa” l’autore voleva comunicare con questo immaginario, ovvero che Dio avrebbe portato il Suo giudizio sopra Babilonia, doveva essere capito “letteralmente”. E quel significato, ovvero il giudizio di Dio su Babilonia, er quanto si intendeca trasmettere … Babilonia è stata giudicata proprio come la profezia proclamava, e fu l’opera di Dio proprio come descritto dall’immagine del giudizio cosmico. L’immaginario stesso, però, era capito dal profeta e dal suo pubblico come parte della terminologia standard usata in quel tipo di letteratura per descrivere l’intervento di Dio nella storia.[6]
Troviamo esempi di questo tipo di linguaggio metaforico anche nel Nuovo Testamento. Giovanni il Battista venne a preparare la via del Signore, un ruolo che era stato predetto dal profeta Isaia: “La voce di uno che grida nel deserto, ‘prepara la via del Signore, rendi dritti i Suoi sentieri’” (Luca 3:3). Benché sia Matteo che Marco citano da Isaia 40:3, soltanto Luca aggiunge i versi 4 e 5 che affermano, “Ogni valle sarà colmata e ogni monte e ogni colle sarà spianato; le vie tortuose saranno fatte diritte e quelle accidentate saranno appianate; e ogni creatura vedrà la salvezza di Dio”. Se prendiamo questi versi in modo letterale allora il paesaggio e la geografia della terra di Israele avrebbe dovuto essere drammaticamente alterata. Nel citare questi versi Luca li vede adempiuti nel ministero di Giovanni il Battista.[7] Luca non si curò del fatto che questi eventi non si avverarono letteralmente. Egli capiva che il significato dietro questi versi di Isaia era che Dio si stava muovendo sovranamente nella storia nel mandare un profeta che avrebbe preparato la via del Messia. “E’ chiaro che Luca capì questo immaginario in modo figurativo come un riferimento all’umiliazione degli orgogliosi e all’esaltazione dei penitenti attraverso la predicazione di Giovanni il Battista”.[8]
Non abbiamo la libertà di cambiare il significato della Bibbia secondo i nostri capricci. Dobbiamo basare la nostra esegesi ed interpretazione su sani principi. Se quello che si intendeva era un significato letterale allora dovremmo semplicemente confidare in Dio e seguire un’interpretazione letterale. Ma certe parti della Bibbia (specialmente la poesia, la profezia, e la letteratura apocalittica) non sono scritte per essere intese in modo letterale.[9] I profeti spesso comunicavano un messaggio divino usando un linguaggio terreno. Cioè, i profeti usavano un linguaggio terreno per descrivere una più profonda realtà celeste, una realtà che trova il suo adempimento in Cristo. Graeme Goldsworthy insiste correttamente nel dire che non dobbiamo interpretare le profezie in modo letterale “se per letterale si intende che l’adempimento deve essere precisamente secondo i termini originali della promessa, e che la realtà è soltanto una ripetizione futura di quanto era stato prefigurato”.[10] Egli continua:
Il Nuovo Testamento non ne sa niente di questo tipo di letteralismo. Ripetutamente dichiara che Cristo è l’adempimento di questi termini, immagini, promesse e prefigurazioni nell’Antico Testamento che nel contesto originale erano presentati in un modo diverso da quello che fu poi il loro adempimento. Per il Nuovo Testamento l’interpretazione dell’Antico Testamento non è ‘letterale’ ma ‘Cristologica’. Questo vuol dire che la venuta di Cristo trasforma tutti i termini che nell’Antico Testamento parlavano del Regno in una realtà evangelica.[11]
Il Nuovo Testamento interpreta l’Antico in maniera simbolica
Uno dei principi di un’ermeneutica sana è che dovremmo permettere alla Scrittura di interpretare la Scrittura. Nonostante la nostre possibili tendenze soggettive ad interpretare un passaggio in un certo modo, dobbiamo dare la precedenza alla sapienza di Dio. Chiediamoci: in che modo gli scrittori stessi del Nuovo Testamento interpretano le profezie e le promesse dell’Antico Testamento fatte alla nazione di Israele?
Atti 2:14-21 (Gioele 2:28-32)
Dopo che lo Spirito scese a Pentecoste, i pellegrini giudaici da tutto il mondo mediterraneo iniziarono ad udire i discepoli di Gesù parlare nelle loro proprie lingue. Molti si meravigliarono di questo fenomeno, mentre altri schernivano e dicevano che era l’effetto di un’ubriacatura mattutina. A questo punto Pietro si alzò in piedi e dichiarò all’ampia folla che non si trattava di un’ubriacatura ma che questo era quanto era stato predetto dal profeta Gioele: “E negli ultimi giorni accadrà, dichiara Dio, che spargerò il mio Spirito su ogni carne” (Atti 2:17). Pietro citò Gioele 2 perché credeva che con la venuta dello Spirito questo testo si stava adempiendo. Inoltre egli applicò la visione di Gioele non alla nazione di Israele ma alla chiesa. John Stott offre un avvertimento potente:
E’ la convinzione unanime degli autori del Nuovo Testamento che Gesù ha inaugurato gli ultimi giorni o l’epoca messianica, e che la prova finale di ciò era lo spargimento dello Spirito, perché questa era la promessa delle promesse per la fine dei tempi fatta nell’Antico Testamento. Stando così le cose, dobbiamo stare attenti a non citare Gioele come se quella profezia attendesse ancora un adempimento, o perfino come se quell’adempimento fu soltanto parziale, mentre aspettiamo un suo futuro e completo adempimento. Non è così che Pietro capì ed applicò il testo.[12]
Un’altra caratteristica interessante è che questa profezia include anche un linguaggio cosmico simile ad altre profezie apocalittiche dell’Antico Testamento. In Atti 2:19-20 Pietro, citando Gioele 2:30-31, afferma:
Farò prodigi su nel cielo e segni giù sulla terra, sangue e fuoco, e vapore di fumo. Il sole sarà mutato in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il grande e glorioso giorno del Signore.
Si potrebbe rispondere dicendo che è chiaro che questa profezia non è stata ancora adempiuta. Il sole non è stato ancora mutato in tenebre e la luna non è divenuta sangue. Dobbiamo stare attenti, però, a non forzare il testo per fargli dire qualcosa che non intendeva mai dire. Pietro (e Luca) non ebbero difficoltà ad affermare che la profezia data da Gioele fu adempiuta nella venuta dello Spirito. Pietro sapeva che un tal linguaggio cosmico non deve essere interpretato letteralmente, ma che anzi esso significava che Dio sarebbe intervenuto sovranamente nella storia ed in modo miracoloso. Stein commenta giustamente: “Questi segni cosmici non ebbero luogo letteralmente a Pentecoste, benché quanto l’autore intendeva trasmettere con quei segni ebbe di fatto luogo … L’immaginario cosmico che viene usato in questa profezia di Gioele era convenzionale e fu compreso da Pietro e Luca come adempiuto negli eventi di Pentecoste”.[13] Se interpretiamo questo passaggio letteralmente siamo forzati a dire che questo testo (e molti altri testi) non sono stati ancora adempiuti. Il testo indicava una realtà letterale (che Dio sarebbe miracolosamente intervenuto nella storia), ma quella realtà fu descritta usando un linguaggio figurativo.
Atti 15:16-17 (Amos 9:11-12)
In Atti 15 Luca racconta le procedure del cosiddetto Concilio di Gerusalemme. Nel cercare di confutare la nozione che i Gentili dovevano essere circoncisi per essere salvati (Atti 15:1) Pietro dichiarò la sua convinzione che Dio non fa distinzioni tra Giudei e Gentili. Anche Paolo e Barnaba riportarono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo di loro tra i Gentili. Infine, Giacomo si alzò e citò Amos 9:11-12 come prova che Dio aveva reso i Gentili il Suo popolo, proprio come predetto dai profeti:
Dopo queste cose ritornerò e ricostruirò la tenda di Davide, che è caduta; e restaurerò le sue rovine e la rimetterò in piedi, affinché il rimanente degli uomini e tutte le nazioni, su cui è invocato il mio nome, cerchino il Signore, dice il Signore che fa [tutte] queste cose, a lui note fin dall’eternità (Atti 15:16-17).[14]
E’ interessante notare che Giacomo non applica questo testo ad un futuro regno millenniale in cui il popolo di Israele riguadagna la sua indipendenza e ricostruisce la città di Gerusalemme. Al contrario, il testo viene da lui usato come giustificazione per ricevere i Gentili all’interno del popolo di Dio senza bisogno di circonciderli. “Giacomo sta dicendo che la meraviglia che sta avvenendo, ovvero, che i Gentili stanno entrando in comunione col popolo di Dio, è un adempimento delle parole del profeta Amos a riguardo della ricostruzione del tabernacolo caduto di Davide”.[15] Si potrebbe forse controbbattere che Giacomo non sta dicendo che questo testo è adempiuto ma meramente che egli sta attirando l’attenzione sul fatto che Amos dice che i Gentili (o le nazioni) cercheranno il Signore. Ma se fosse così, Giacomo avrebbe semplicemente potuto citare il verso 12 e tralasciare il verso 11. La ragion per cui egli invece include il verso 11 è che egli vede la salvezza dei Gentili come parte del processo stesso di ristorazione di Israele. La casa di Davide sta essendo ricostruita, non soltanto da Giudei fisici, ma anche da Giudei spirituali. John Polhill commenta giustamente:
Nei Gentili Dio stava scegliendo un popolo per Se Stesso, un nuovo e ristorato popolo di Dio, Giudeo e Gentile in Cristo, il vero Israele. Nel messaggio complessivo di Atti è chiaro che la ricostruzione della casa di Davide è avvenuta nel Messia. Cristo era il rampollo di Davide che ha adempiuto il patto di Davide ed ha stabilito un regno che durerà per sempre (II Sam. 7:12 e seguenti; cf. Atti 13:32-34). Dal principio i cristiani giudaici avevano realizzato che le promesse fatte a Davide furono adempiute in Cristo. Quello che ora stavano iniziando a vedere, e che Giacomo qui vide predetto in Amos, era che queste promesse includevano i Gentili.[16]
In base all’interpretazione data da Giacomo e registrata da Luca, abbiamo un altro chiaro esempio di come il Nuovo Testamento interpreti un passaggio veterotestamentario riguardante la ristorazione di Israele in modo non letterale e simbolico.
Ebrei 8:8-12 (Geremia 31:31-34)
Nel cercare di dimostrare che il nuovo patto è superiore all’antico patto, l’autore di Ebrei cita vari versi da Geremia 31. Attraverso il profeta Geremia, Dio promette “Io stabilirò un nuovo patto con la casa di Israele e con la casa di Giuda” (Ebr. 8:8). Il punto da notare qui è che questo patto è detto essere fatto con il popolo di Israele e di Giuda. Questo patto include i cristiani gentili? O è un patto speciale fatto soltanto con il popolo giudaico? Benché è vero che questa lettera fu scritta primariamente (o forse perfino esclusivamente) ad un pubblico giudaico, non vi è evidenza neotestamentaria per dire che Dio fa un patto con i Giudei e poi un patto separato con i Gentili. Anzi, che Israele e Giuda siano menzionati indica che il popolo di Dio sarà di nuovo riunito. “La promessa della riunificazione di Israele e Giuda era simbolica della guarigione di ogni breccia umana e della riconciliazione di tutte le nazioni e persone in Cristo, la discendenza di Abraamo in cui tutti i popoli della terra sono benedetti ed uniti”.[17] Questo perché, come ci viene insegnato nel Nuovo Testamento, ciò che rende una persona un Giudeo non è la nascita fisica, ma la nascita spirituale. Paolo dichiara con franchezza che “Giudeo non è chi lo è meramente esteriormente, né la circoncisione è quella esteriore e fisica. Ma Giudeo lo è chi lo è interiormente, e la circoncisione è un fatto del cuore, per lo Spirito, non nella lettera. La sua lode non viene dall’uomo ma da Dio” (Rom. 2:28-29). Abraamo è il padre di tutti i credenti, non solo di quelli che discendono fisicamente da Israele. Egli è anche il padre di quei Gentili che credono nel Messia e che, di conseguenza, sono destinatari del patto che Dio fece con Abraamo (Rom. 4:11; 11:17). In Galati Paolo afferma che “sono quelli della fede che sono i figli di Abraamo” (Gal. 3:7). Similmente aggiunge dopo “E se siete di Cristo, allora siete discendenza di Abraamo, eredi secondo la promessa” (Gal. 3:29). Egli chiama le chiese in Galazia (che consistevano di Giudei e Gentili) “l’Israele di Dio” (Gal. 6:16).
Il nuovo patto non è un patto che si applica meramente ai discendenti fisici di Abraamo, ma è per tutti quelli che ripongono la loro fiducia e speranza nel Messia, che era un discendente fisico di Abraamo. Dire che le promesse di Geremia 31:31-34 (o Ez. 11:19-20; 36:26-27) non si applicano alla chiesa equivale ad ignorare il modo in cui gli scrittori neotestamentari stessi applicarono tali promesse.[18]
I Pietro 2:9-10 (Esodo 6:7; 19:5-6; Isaia 43:20-21)
Agli eletti sparsi nel Ponto, in Galazia, Cappadocia, Asia e Bitinia, l’apostolo Pietro scrive:
Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia (I Pietro 2:9-10).
Questi versi fanno eco a vari riferimenti veterotestamentari descriventi la nazione di Israele. Pietro dice che i cristiani sono una “stirpe [lett. razza] eletta” (Isaia 43:20), un “sacerdozio regale” ed una “gente [lett. nazione] santa” (Esodo 19:6; cf. 23:22, LXX), “un popolo che Dio si è acquistato [lett. Un popolo per suo possedimento]” (Es. 19:5; Is. 43:21; Mal. 3:17), che un tempo “non eravate un popolo”, “che non avevate ottenuto misericordia”, ma che ora sono “il popolo di Dio” che “hanno ottenuto misericordia” (Es. 6:7; Ger. 7:23; 11:4; 30:22; Ez. 37:23; Os. 1:6, 9; 2:1, 23). In origine questi versi parlavano del patto di Dio col popolo di Israele. E tuttavia Pietro li applica alla chiesa. “Pietro vide queste promesse adempiute in Gesù Cristo, e la nazione eletta di Dio non è più sinonimo di Israele ma abbraccia la chiesa di Gesù Cristo, che è composta di Giudei e Gentili”.[19]
Alcuni potrebbero argomentare che Pietro stava scrivendo soltanto ai cristiani giudaici, e quindi questi versi non rappresentano un’evidenza a favore di quanto stiamo dicendo. Dopo tutto Pietro era l’apostolo ai Giudei. Vi è però ampia evidenza per dire che il pubblico di Pietro consisteva primariamente di cristiani gentili. Nel primo capitolo Pietro afferma “come figli ubbidienti, non conformatevi alle passioni della vostra precedente ignoranza” (v. 14). Più tardi nel medesimo capitolo aggiunge “sapendo che siete stati riscattati dalle futili vie ereditate dai vostri padri” (v. 18). In precedenza essi adempivano i desideri dei Gentili (I Pt. 4:3-4), ma ora sono stati “chiamati dall’oscurità” (I Pt. 2:9). Questi versi indicano che Pietro non stava scrivendo ad un pubblico giudaico. Cruciale al nostro argomento, quindi, è che Pietro applica senza vergogna la teologia pattizia dell’Antico Testamento alla chiesa. I credenti gentili stanno “essendo edificati come una casa spirituale”; essi sono “santi”, “un sacerdozio regale”, “una razza scelta”, “una nazione santa”, “il popolo di Dio” che ha ricevuto misericordia (I Pt. 2:5, 9-10). Dio ha conferito alla chiesa le benedizioni promesse ad Israele nell’Antico Testamento.
Gli scrittori del Nuovo Testamento non sembrano aspettarsi che le profezie dell’Antico Testamento sulla nazione di Israele saranno adempiute in modo letterale. Si potrebbe obiettare che in Romani 11 Paolo si aspetta che Israele in quanto nazione un giorno si volgerà a Cristo con fede. Benché è in dubbio se Paolo insegni una conversione di massa futura di Israele in Romani 11:26,[20] Bavinck nota correttamente che “perfino se Paolo si aspettava una conversione nazionale di Israele alla fine, egli non dice niente, nemmeno una parola, sul ritorno dei Giudei in Palestina, sulla ricostruzione della città e del tempio, e su un regno visibile di Cristo; nella sua rappresentazione del futuro semplicemente non vi è spazio per alcuna di queste cose”.[21] Un adempimento letterale non era quanto ci si aspettava, ma anzi il Nuovo Testamento vede correttamente l’adempimento in Cristo e nel vangelo. Gli scrittori del Nuovo Testamento dicono che Giovanni il Battista è Elia (Mal. 4:5-6; Mat. 17:11-13), che la promessa a Davide che un suo figlio avrebbe un giorno stabilito un regno eterno si adempì nella risurrezione di Gesù (II Sam. 7:12-16; Atti 2:29-36; 13:29-32), ed affermano senza esitazione che i cristiani sono già giunti al “Monte Sion” che è anche chiamato “la Gerusalemme celeste” e “la città del Dio vivente” (Ebr. 12:22). Il punto principale, quindi, non è come noi pensiamo che si debba interpretare l’Antico Testamento e quindi imporre su di esso un’ermeneutica letteralistica. Il punto è che dobbiamo imparare dal modo in cui il Nuovo Testamento stesso interpreta l’Antico Testamento. Quando faremo questo vedremo che le profezie dell’Antico Testamento concernenti la nazione di Israele sono adempiute in Cristo e nel vangelo.
Il ruolo centrale della morte e risurrezione di Cristo nella storia della salvezza
Uno dei problemi nell’interpretare le profezie veterotestamentarie riguardanti la nazione di Israele in maniera letteralistica è che questo tende a minimizzare l’opera di Cristo, specialmente la Sua sofferenza, morte e risurrezione. Perché? Il Nuovo Testamento insegna che la morte e risurrezione di Cristo sono l’apice dell’opera di Dio nella storia redentiva. Ma se interpretiamo le molte profezie di ristorazione riguardanti la nazione di Israele in modo letteralistico saremo anche forzati a dire che tali profezie non sono adempiute nell’opera di Dio più grande, ovvero quella che Lui Stesso ha compiuto in Cristo. Al contrario, la prima venuta di Cristo passerà in secondo piano e l’attenzione si sposterà sulla Sua seconda venuta e sul regno milleniale.[22]
Un altro problema inerente ad un’interpretazione letteralistica è che l’Antico Testamento presenta coerentemente un regno messianico che include la ristorazione del tempio, del sacerdozio, e dei sacrifici del tempio. Bavinck spiega: “Tutti i profeti, con egual vigore e forza, annunciano non soltanto la conversione di Israele e delle nazioni ma anche il ritorno in Palestina, la ricostruzione di Gerusalemme, e la ristorazione del tempio, del sacerdozio, e dell’adorazione sacrificale”.[23]Se sosteniamo che la rappresentazione profetica del futuro deve essere letterale, allora dobbiamo prendere ogni aspetto d’essa in modo letterale.[24] In altre parole, se insistiamo che la nazione di Israele un giorno ritornerà alla Terra Promessa, ricostruirà le città di Israele, ed avrà Cristo come suo Re, allora siamo forzati anche a dire che i Giudei avranno di nuovo un sacerdozio ed offriranno sacrifici nel tempio.[25]
Ascoltate in che modo il profeta Isaia descrive la ristorazione di Israele:
Anche gli stranieri che si saranno uniti al Signore per servirlo, per amare il nome del Signore, per essere suoi servi … io li condurrò sul mio monte santo e li rallegrerò nella mia casa di preghiera; i loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa sarà chiamata una casa di preghiera per tutti i popoli (Isaia 56:6-7).
Tutte le greggi di Chedar si raduneranno presso di te, i montoni di Nebaiot saranno al tuo servizio; saliranno sul mio altare come offerta gradita, e io onorerò la mia casa gloriosa (Isaia 60:7).
Ricondurranno tutti i vostri fratelli, da tutte le nazioni, come un’offerta al Signore, su cavalli, su carri, su lettighe, su muli, su dromedari, al mio monte santo, a Gerusalemme», dice il Signore, «nel modo in cui i figli d’Israele portano le loro offerte in un vaso puro alla casa del Signore. In mezzo a loro ne sceglierò come sacerdoti e come Leviti», dice il Signore. «Infatti, come i nuovi cieli e la nuova terra che io sto per creare rimarranno stabili davanti a me», dice il Signore, «così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome (Isaia 66:20-22).
Un simile scenario ci è presentato da Geremia (3:16–17; 30:18; 31:21, 38), Ezechiele (36:28–38; 37:21–28; 39:25–29; chs. 40–48), Gioele (3:17–20), Amos (9:11–15), Abdia (17, 21), Michea (4:1–2; 7:11), Aggeo (2:6–10), e Zaccaria (1:17; 2:1–5; 3:1–8; 6:9–15; 8:3–23).
Tuttavia, avvolta in queste profezie è anche l’aspettativa che quanto attende Israele sarà qualcosa che eccede di molto qualsiasi adempimento terreno. Non vi sarà bisogno dell’arca del patto perché “Gerusalemme sarà chiamata il trono del Signore” (Ger. 3:17). Non vi sarà peccato, malattia, o morte: “Egli annienterà per sempre la morte, e il Signore Dio asciugherà le lacrime da ogni volto, e toglierà via da tutta la terra la vergogna del suo popolo” (Is. 25:8). Vi sarà un nuovo cielo e una nuova terra (Is. 65:17; 66:22) che non avranno bisogno del sole o della luna perché il Signore stesso sarà l’eterna luce (Is. 60:19-20). Dunque “benché è vero che la profezia dell’Antico Testamento non può concepire il futuro regno di Dio senza un tempio ed un sacrificio, ripetutamente essa trascende ogni condizione nazionale e terrena”.[26]
Se insistiamo su un’interpretazione strettamente letteralistica dobbiamo affermare che vi saranno nel futuro dei credenti giudaici che ritorneranno a Gerusalemme ed istituiranno di nuovo il sistema sacrificale dell’Antico Testamento mentre Gesù regna su di loro. No, quello che dobbiamo fare invece è capire che i profeti usano un linguaggio terreno per descrivere una realtà che va oltre il terreno. A volte i profeti sono forzati a raffigurare il regno futuro in termini che trascendono quanto è terreno o fisico. Quindi non dobbiamo interpretare le loro descrizioni terrene e fisiche in modo letterale. Farlo è minimizzare l’opera di Cristo. Cristo è il solo vero profeta, sacerdote, e re. Il Suo sacrificio soltanto è stato in grado di fare l’espiazione per i peccati del mondo. Egli è l’adempimento di tutto quanto predetto dall’Antico Testamento. Stare ancora ad aspettare un adempimento di profezie dell’Antico Testamento è minimizzare l’importanza dell’avvento del Messia. Tutti i benefici della nostra salvezza che erano promessi e prefigurati nell’Antico Testamento sono divenuti realtà in Cristo. O, come disse Paolo, tutte le promesse di Dio sono “sì ed amen” in Cristo” (II Cor. 1:20).
Conclusione
L’Antico Testamento presenta un’immagine vivida e dettagliata della ristorazione futura di Israele. Abbiamo visto, tuttavia, che queste descrizioni non sono da prendere in modo letterale. Benché sia vero che esse hanno un significato reale, esso non è espresso nel linguaggio in cui è descritto, ma attraverso quel linguaggio. Insistere su un’interpretazione letterale ci mette in pericolo di forzare il testo a dire qualcosa che Dio non intendeva dicesse. Il nuovo patto è caratterizzato dalla trasformazione interiore di una persona. Questa idea centrale si trovava anche nell’antico patto ma era avvolta in un guscio esteriore. Ora che quel guscio è stato abbandonato, crederemo davvero che Dio voglia riprenderlo? Inoltre, un’interpretazione letterale non fa giustizia al genere stesso della profezia biblica. Non è una virtù cercare di applicare un’interpretazione coerentemente letteralistica a testi che non sono stati designati per essere interpretati così. I profeti dell’Antico Testamento usarono un linguaggio metaforico per descrivere verità che altrimenti non sarebbero risultate intellegibili al loro pubblico originale. Inoltre, il Nuovo Testamento stesso ci insegna che non dobbiamo insistere ad interpretare in modo letteralistico. Vi sono molti esempi dove il Nuovo Testamento presenta un’interpretazione simbolica a riguardo della nazione di Israele. Infine, affermare che l’Antico Testamento intende predire letteralmente che il popolo di Israele sarà ristorato nella terra promessa, ricostruirà il tempio, e istituirà di nuovo il sacerdozio e i sacrifici animali, significa minimizzare la completa e perfetta opera di Cristo. La sua morte e risurrezione è il punto focale della grande opera di Dio nella storia redentiva. Ritornare alle ombre e figure dell’Antico Testamento è negligere la centralità dell’opera completa di Cristo alla croce.
Note
[1] Grenz spiega uno dei punti principali del dispensazionalismo: “Il millennio è l’occasione di Dio per adempiere le profezie dell’Antico Testamento di benedire la nazione” (Stanley J. Grenz, The Millennial Maze: Sorting Out Evangelical Options [Downers Grove, IL: InterVarsity, 1992], 99).
[2] Ryrie afferma: “l’interpretazione letterale della Scrittura conduce naturalmente a … un adempimento letterale delle profezie dell’Antico Testamento. Se le ancora non adempiute profezie dell’Antico Testamento fatte nei patti abramitico, davidico e nuovo devono adempiersi letteralmente, vi deve essere un periodo futuro, il Millennio, in cui esse possono essere adempiute, perché non è la chiesa che le sta adempiendo. In altre parole, la letteralità delle profezie dell’Antico Testamento richiede o un adempimento futuro o uno non letterale. Se devono essere adempiute nel futuro, il solo periodo in cui possono essere adempiute è il Millennio” (Charles C. Ryrie, Dispensationalism [rev. and exp.; Chicago: Moody, 1995], 147).
[3] Wayne Grudem, Systematic Theology: An Introduction to Biblical Doctrine (Grand Rapids: Zondervan, 1994), 1113–14.
[4] Prendo in prestito questa terminologia da Herman Bavinck, The Last Things: Hope for This World and the Next (ed. John Bolt; trans. John Vriend; Grand Rapids: Baker, 1996), 90. Egli scrive: “Al tempo di Gesù, Israele aspettava un regno tangibile, terreno, messianico, le cui condizioni erano descritte nelle forme ed immagini della profezia dell’Antico Testamento. E queste forme ed immagini erano prese letteralmente. Il guscio era frainteso per la perla, l’immagine per la cosa stessa, e la forma per l’essenza. Il regno messianico divenne il governo politico di Israele sulle nazioni, un periodo di prosperità e crescita esteriore.”
[5] Ryrie, ad esempio, argomenta che dovremmo usare sempre un’interpretazione letterale perché “le profezie nell’Antico Testamento concernenti la prima venuta di Cristo, la Sua nascita, educazione, ministerio, morte e risurrezione, furono adempiute tutte letteralmente” (Dispensationalism, 81).
[6] Robert H. Stein, A Basic Guide to Interpreting the Bible: Playing by the Rules (Grand Rapids: Baker, 1994), 92.
[7] Marshall nota che il “come” introduttivo di Luca (in greco, hos, “come è scritto”) “suggerisce che una profezia trova il suo deliberato adempimento piuttosto che seguire un pattern generale” (I. Howard Marshall, The Gospel of Luke: A Commentary on the Greek Text [New International Greek Testament Commentary; Exeter: Paternoster, 1978], 136).
[8] Stein, Basic Guide, 95. Bock suggerisce similmente che il riferimento alla geografia fisica ha dei toni etici. Egli afferma che “la via è pronta per un popolo umile e giusto, l’immaginario ha dimensioni etiche” (Darrell L. Bock, Luke: 1:1–9:50, [Baker Exegetical Commentary on the New Testament; Grand Rapids: Baker, 1994], 293). Più tardi aggiunge, “le immagini chiamano l’ascoltatore del messaggio di Giovanni a realizzare che Dio sta venendo in giudizio e che soltanto gli umili che si appoggiano a Lui saranno risparmiati … il punto è … che quest’immaginario livellatorio ha dei toni etici. L’immaginario fisico conferisce delle realtà etiche” (294).
[9] Ad esempio, tutti devono ammettere che Amos 9:11-15 usa un linguaggio non letterale quando il profeta afferma: “le montagne traboccheranno di vino dolce, ed esso scorrerà da tutte le colline” (v. 13). Il linguaggio figurativo è usato per comunicare questa realtà: Dio benedirà abbondantemente il Suo popolo fornendo loro tutti i loro bisogni. Il punto, quindi, è se la benedizione fisica è una metafora per delle benedizioni spirituali più grandi che riceviamo attraverso Cristo ed il Suo regno.
[10] Graeme Goldsworthy, Gospel and Kingdom: A Christian Interpretation of the Old Testament (Carlisle: Paternoster, 1994), 88. Vedi anche la sua più recente opera, Gospel-Centered Hermeneutics: Foundations and Principles of Evangelical Biblical Interpretation (Downers Grove, IL: InterVarsity, 2006), 169–71.
[11] Goldsworthy, Gospel and Kingdom, 88.
[12] John R. W. Stott, The Message of Acts: The Spirit, the Church, and the World (Downers Grove, IL: Inter Varsity, 1994) 73.
[13] Stein, Basic Guide, 93.
[14] Vi sono anche delle notevoli differenze tra il testo Masoretico e quello dei Settanta (LXX, citato da Luca). Il primo parla di Israele che riconquista la sua terra e possiede “il rimanente di Edom e tutte le nazioni che sono chiamate col mio nome”. Il testo dei LXX parla del residuo degli “uomini” che cercano il Signore.
[15] Anthony A. Hoekema, “An Amillennial Response,” in The Meaning of the Millennium: Four Views , ed. Robert G. Clouse [Downers Grove, IL: InterVarsity, 1977], 110). Egli continua: “in altre parole il tabernacolo caduto di Davide sta essendo costruito non in modo materiale (mediante un regno terreno ristorato) ma in modo spirituale (perché i Gentili stanno entrando nel regno di Dio)”. Grenz similmente commenta: “Il profeta anticipava una riemergenza escatologica di Israele come nazione dominante sotto il regno del figlio di Davide, il Messia. Ma il leader della chiesa di Gerusalemme [Giacomo] affermò che l’adempimento di questo testo era la venuta dei Gentili alla fede in Gesù” (Millennial Maze, 109).
[16] John B. Polhill, Acts (New American Commentary; Nashville: Broadman, 1992), 330. I. Howard Marshall suggerisce che “la ricostruzione del tabernacolo deve essere compresa come un riferimento alla costruzione della chiesa come nuovo luogo di adorazione divina che ha rimpiazzato il tempio” (Acts [Tyndale New Testament Commentary; Grand Rapids: Eerdmans, 1980], 252). John Stott sostiene che i cristiani vedono questo passaggio “come una profezia della risurrezione ed esaltazione di Cristo, la discendenza di Davide, e lo stabilimento del Suo popolo” (The Message of Acts, 247). Questa è anche la posizione di Klein, Blomberg ed Hubbard, che affermano che in Atti 15:16-17 “Giacomo dice che l’adempimento di Amos 9 è l’ammissione dei credenti non giudaici alla compagnia dei seguaci di Gesù. Egli lo fa interpretando la predizione di Amos del futuro governo politico di Davide come il governo spirituale di Cristo sui cristiani non giudaici” (William W. Klein, Craig L. Blomberg, and Robert L. Hubbard, Introduction to Biblical Interpretation [Dallas: Word, 1993], 308).
[17] Philip Edgcumbe Hughes, A Commentary on the Epistle to the Hebrews (Grand Rapids: Eerdmans, 1977), 300. Similmente, Kistemaker suggerisce che “siccome le dieci tribù di Israele fallirono di ritornare dopo l’esilio, le espressioni devono essere capite in un senso più universalistico, come includenti sia Giudei che Gentili” (Simon J. Kistemaker, Exposition of the Epistle to the Hebrews [Grand Rapids: Baker, 1984], 225). Vedi anche Klein, Blomberg, and Hubbard, Biblical Interpretation , 308.
[18] E’ interessante che le promesse del nuovo patto spesso includono la ristorazione di Israele. Ad esempio, dopo che Geremia descrive le benedizioni del nuovo patto (Ger. 31:31-34), egli afferma: “Ecco, i giorno vengono, dichiara il Signore, in cui la città sarà ricostruita per il Signore dalla torre di Hananel alla porta dell’Angolo” (Ger. 31:38; vedi anche Ez. 36:26-38). Se il nuovo patto è dato alla chiesa, allora le promesse di ristorazione fatte ad Israele devono altresì essere concepite come adempiute nella chiesa.
[19] Thomas R. Schreiner, 1, 2 Peter, Jude , NAC, vol. 37 (Nashville: Broadman & Holman), 114.
[20] Vedi il mio articolo “Romani 11 ed il futuro dell’Israele etnico”.
[21] Bavinck, Last Things, 107. Similmente, Berkhof commenta: “E’ rimarchevole che il nuovo Testamento, che è l’adempimento dell’Antico, non contiene alcuna indicazione del ristabilimento da parte di Gesù della teocrazia dell’Antico Testamento, né una singola indisputabile predizione della sua ristorazione, mentre di certo contiene abbondanti indicazioni dell’adempimento spirituale delle promesse fatte ad Israele (Louis Berkhof, Systematic Theology [Grand Rapids: Eerdmans, 1941], 713). Similmente, Goldsworthy nota: “Molti in effetti considerano la seconda venuta di Cristo come portatrice di un’opera tutta nuova da parte di Dio. Questa conclusione è loro imposta perché non accettano che ogni promessa è adempiuta nel vangelo. Dunque, nonostante l’evidenza scritturale per il contrario … essi vedono il ritorno di Israele, la ricostruzione del Tempio, e la ristorazione del regno di Davide come non aventi a che fare col vangelo e invece come un adempimento separato che deve ancora avvenire nel futuro” (Gospel and Kingdom, 95). Più tardi scrive: “Il Nuovo Testamento sembra essere completamente indifferente alla ristorazione di cui si parla nell’Antico Testamento” (Gospel-Centered Hermeneutics, 170). Vedi anche Klein, Blomberg ed Hubbard che affermano che “il NT presume che tali profezie hanno già avuto un adempimento letterale attraverso Cristo e la Chiesa. Non lascia anticipare un adempimento di esse che sia ancora futuro” (Biblical Interpretation, 308).
[22] Bavinck afferma che un’interpretazione letterale “attribuisce un valore temporaneo e di passaggio al Cristianesimo, alla persona storica di Cristo, alla Sua morte e risurrezione, e si aspetta invece la vera e propria salvezza alla seconda venuta di Cristo, la Sua apparizione in gloria” (Last Things, 98). Goldsworthy è ancora più forte: “Voglio asserire categoricamente che OGNI profezia è stata adempiuta nel vangelo alla prima venuta di Gesù … Vi è una tendenza a cercare di differenziare le profezie dell’Antico Testamento riguardanti la fine in due gruppi, uno che si applica alla prima venuta ed uno che si applica alla seconda venuta. Questo è un errore. Una prospettiva maggiormente fedele alla Bibbia deve riconoscere che la distinzione tra la prima e la seconda venuta non è cosa accade ma il modo in cui cosa accade accade. Non accadrà niente al ritorno di Cristo che non sia già accaduto in Lui alla sua prima venuta” (Graeme Goldsworthy, Preaching the Whole Bible as Christian Scripture [Grand Rapids: Eerdmans, 2000], 93).
[23] Ibid. 94.
[24] Con le parole di Bavinck: “Non è nient’altro che un capriccio prendere una caratteristica di questa figura in modo letterale ed un altra sua caratteristica invece in modo spirituale” (ibid.).
[25] Hoyt, ad esempio, insiste che la ristorazione di Israele sarà un regno letterale: “Il vero e proprio luogo della sua locazione centrale sarà Gerusalemme e le sue vicinanze (Abdia 12-21). Un vero e proprio Re siederà su un trono materiale (Is. 33:17). Nazioni parteciperanno nel suo ministero di benessere e liberazione (Is. 52:10). I regni malvagi di questo mondo saranno portati ad una fine improvvisa e catastrofica alla venuta di Crsito, ed il Suo regno rimpiazzerà il loro (Dan. 2:31-45). Questo regno sarà un risveglio ed una continuazione dello storico regno di Davide (Amos 9:11; vedi Atti 15:16-18). Un residuo fedele e rigenerato di Israele sarà ristorato e reso il nucleo di questo regno, e così il patto con Davide sarà adempiuto (Michea 4:7-8; Ger. 33:!5-22; Sal. 89:3-4, 34-37). Gerusalemme diverrà la capitale del gran Re, da cui Egli governerà il mondo (Is. 2:3; 24:23)” (Herman A. Hoyt, “Dispensational Premillennialism” in The Meaning of the Millennium: Four Views, ed. Robert G. Clouse [Downers Grove, IL: InterVarsity, 1977], 78–79). Hoyt però sembra intenzionalmente ignorare i riferimenti profetici alla ristorazione del sacerdozio e ai sacrifici nel tempio. Alcuni sostengono che questi verranno ripresi ma non col proposito di fare l’espiazione dei peccati, ma come memoriale del sacrificio di Cristo. Ma sarebbero essi appropriati? Non ha Dio già dato al Suo popolo un memoriale di quel sacrificio nella Cena del Signore?
[26] Bavinck, Last Things, 95.
Traduzione di F. De Lucia dall'articolo originale