La Casa di Dio
Il battesimo e la relazione tra i patti biblici
Uno studio sui soggetti appropriati del battesimo
(Parte 3)
Stephen J. Wellum
Una valutazione e critica dell’argomento a favore del battesimo degli infanti
Centrale alla mia critica dell’argomento pattizio per il battesimo degli infanti è che esso non comprende correttamente le relazioni appropriate tra i patti biblici e il grado di continuità e discontinuità tra di essi. I pedobattisti enfatizzano, correttamente, l’unità e la continuità del piano salvifico di Dio lungo le epoche. Essi però non fanno giustizia alla natura progressiva della rivelazione di Dio, specialmente per quanto riguarda i patti biblici, la comunità del patto, e i segni del patto. Questo li conduce a fraintendere il grado appropriato di discontinuità inaugurato dalla venuta di Cristo e a cui l’Antico Testamento punta, ovvero, l’arrivo della nuova epoca promessa. Io sono sostanzialmente d’accordo con chi dice che i pedobattisti, a motivo della loro enfasi sulla continuità, tendono a leggere le realtà del nuovo patto nell’AT e viceversa, senza aver spacchettato prima i patti, la natura della comunità di patto, e i segni del patto nel loro contesto storico-redentivo originale, per poi pensare attentamente alla continuità e discontinuità alla luce della venuta di Cristo. [69] E’ un imperativo di chiunque faccia teologia quello di approcciare la Bibbia secondo le sue proprie categorie e la sua struttura. Nel fare così osserviamo che l’autorivelazione di Dio, in parola ed atto, include una progressione lungo una linea storica che in ultima analisi si accentra su Gesù Cristo (vedi Ebrei 1:1-2). Ai fini della nostra lettura della Scrittura e della nostra teologia questo significa dover fare giustizia all’unità del piano di Dio senza appiattire i cambiamenti epocali che si sono verificati ora che il Signore della Gloria ha inaugurato la fine delle epoche. [70]
In modo specifico la mia critica seguirà la mia descrizione del punto di vista pedobattista. Valuterò il loro argomento pattizio in quattro punti: primo, la loro particolare comprensione del patto di grazia; secondo, la relazione del patto abramitico agli altri patti biblici; terzo, il nuovo patto e la natura della chiesa; ed infine, una discussione della relazione tra i segni pattizi della circoncisione e del battesimo.
L’uso della categoria teologica del “patto di grazia”
E’ fuori questione che il tema del “patto” è nella Scrittura un importante tema unificante. Come abbiamo visto, i pedobattisti hanno reso il “patto” un cruciale principio organizzativo nella relazione tra Dio e gli uomini. Lo hanno usato, correttamente, per spiegare la verità che Dio ha un solo piano di salvezza lungo le epoche e che la storia è il dispiegarsi di quel piano centrato sulla venuta ed opera del nostro Signore Gesù Cristo (vedi Ef. 1:9-10). Non disputo affatto questo punto. Anzi, in un certo senso tutti gli evangelici, a prescindere dal se si ritrovino maggiormente nella teologia del patto o in quella dispensazionalista, o nel mezzo, concorderanno su questo punto. Crediamo che la storia delle Scritture si muove chiaramente dalla Creazione alla Caduta, da Abraamo a Davide, ed infine a Cristo.
Se non stiamo attenti, però, la nozione del “patto di grazia” può condurci fuori strada perché la Scrittura non parla di un solo patto con differenti amministrazioni, ma parla di una pluralitàdi patti (e.g. Gal. 4:24; Ef. 2:12; Ebr. 8:7-13) che sono tutti parte della rivelazione progressiva dell’unico piano di Dio che in ultima istanza è adempiuto nel nuovo patto. In realtà, il “patto di grazia” è una categoria teologica, e non biblica. Ciò non significa che non sia legittima. In teologia spesso usiamo termini teologici che non si trovano specificamente nella Scrittura (e.g. Trinità). Se la categoria teologica del “patto di grazia” viene usata per sottolineare l’unità del piano salvifico di Dio e l’essenziale unità spirituale del popolo di Dio lungo le epoche, potrebbe essere certamente utile e biblica. Ma se viene usata per appiattire le relazioni tra i vari patti biblici e minimizzare la significativa progressione tra i patti biblici, e questo poi conduce ad ignorare le specifiche discontinuità pattizie lungo la storia redentiva, allora essa è da considerarsi fuorviante ed illegittima.
Per farci strada nel dibattito sul battesimo e pensare in modo biblico alle relazioni tra i patti, dobbiamo mettere una moratoria sulla categoria del “patto di grazia” quando parliamo di patti biblici e delle relazioni tra essi. Al suo posto, è meglio parlare dell’unico piano di Dio o del proposito eterno di Dio centrato su Gesù Cristo, perché quello è il concetto che “il patto di grazia” cerca di esprimere. Ma quando si deve pensare in termini di “patto”, allora parliamo al plurale e spacchettiamo le relazioni tra i pattibiblici vis-à-vis il piano eterno di Dio centrato in Gesù Cristo. Potremmo allora pensare in modo più accurato sul come l’unico piano di Dio, legato alle promesse di Dio fatte in origine in Genesi 3:15, sia progressivamente rivelato nella storia attraversoi patti biblici. Continuare a parlare di un solo “patto di grazia” spesso conduce ad appiattire la Scrittura e porta ad un riduzionismo che tende ad adattare la Scrittura al nostro sistema teologico invece che il contrario.
Questo appiattimento della Scrittura è particolarmente evidente quando il pedobattista identifica ed eguaglia il patto abramitico col “patto di grazia” come se esso fosse di fatto quelpatto. Invece di comprendere il patto abramitico prima nel suo contesto appropriato, in tutte le sue diverse caratteristiche (e.g. nazionale/fisico, tipologico, e spirituale), per poi correlarlo all’unico piano di Dio vis-à-vis i patti biblici, il pedobattista tende a ridurlo meramente alle sue realtà spirituali mentre neglige i suoi altri aspetti. Il pedobattista così legge in esso le realtà del nuovo patto e trascura importanti differenze tra il patto abramitico e il nuovo patto.
La natura del patto abramitico e la sua relazione ai patti biblici
Come notato sopra, il pedobattista concepisce il patto abramitico come essenzialmente identico al nuovo patto (escludendo pochi cambiamenti espliciti). Nel far questo il pedobattista tende ad appiattire il patto abramitico riducendolo primariamente a realtà spirituali, e negligendo i suoi aspetti nazionali e tipologici, e poi a sua volta prende il principio genealogico operativo nel patto abramitico (“tu e la tua discendenza”, Gen. 17:7) e lo applica in modo esattamente identico lungo il canone senza sospensione, abrogazione, e specialmente reinterpretazione nell’epoca del nuovo patto. Così il pedobattista contende che il battesimo rimpiazza la circoncisione e che il segno del patto, a prescindere da dove ci troviamo nella storia redentiva, è per “te e la tua discendenza” (ovvero, i figli della carne). Benché l’epoca del nuovo patto è descritta come l’adempimentodell’antico, data la continuità del patto di grazia interpretato alla luce del principio genealogico del patto abramitico, il pedobattista presume che “i figli e i loro credenti” sono inclusi nella chiesa proprio come lo erano nell’antico Israele. Questa identificazione ed equazione del patto abramitico col nuovo patto è particolarmente evidente per quanto riguarda le parti del patto. Nel difendere l’”aspetto duale” del patto, ovvero, il punto che nella “chiesa visibile” le parti del patto sono i “credenti e i loro figli”, i pedobattisti dimostrano che vedono l’esser membri del nuovo patto attraverso le lenti del patto abramitico, identificando così i due patti e non riconoscendo le differenze storico-redentive che passano tra essi.
Qual è, dunque, la natura precisa del patto abramitico? Deve essere concepito primariamente in termini spirituali? Far questo sarebbe riduzionista? Come dovremmo concepire il patto abramitico in relazione agli altri patti biblici? Ed è corretto vederlo come un patto fondamentalmente identico al nuovo patto, specialmente per quanto riguarda il principio genealogico? Cercherò brevemente di delineare la natura del patto abramitico e la sua relazione agli altri patti biblici oltre a notare un paio di implicazioni per il dibattito sul battesimo.
Il patto abramitico come paradigma della relazione di Dio con l’umanità. Primo, concordando con molta parte della teologia del patto, anch’io affermo che la Scrittura presenta il patto abramitico come la base per le relazioni di Dio con la razza umana e come la spina dorsale per comprendere gli altri patti biblici. E’ vero, è attraverso Abraamo e la sua discendenza, in ultima analisi il Signore Gesù Cristo (Gal. 3:16), che il Dio Triuno adempie il Suo eterno proposito e la promessa di salvare per se stesso un popolo ed inaugurare la nuova creazione. Questo si ricava non soltanto dalla teologia dell’AT, ma anche dal modo in cui gli autori del NT interpretano l’adempimento della promessa abramitica alla luce della persona ed opera di Cristo (e.g. Romani 4 e Galati 3).
Dobbiamo notare la locazione del patto abramitico nella storia della Scrittura. [71] Le promesse di Dio ad Abraamo di dargli un grande nome, una discendenza e una terra (Gen. 12:1–3; cf. Gen. 15:4–5; 17:1–8; 18:18–19; 22:16–18), devono essere comprese alla luce del dispiegarsi del dramma di Genesi 3-11, e specialmente della promessa fatta in Gen. 3:15. Come risultato della disubbidienza di Adamo, il capo federale della razza umana, il peccato e la morte sono entrate nel buon mondo di Dio. A meno che Dio non agisca con grazia e potenza, la creazione originale si trova completamente sotto il giudizio divino. Ma, grazie a Dio, Egli sceglie di agire a nostro favore. Egli promette che i Suoi propositi per la creazione e la razza umana continueranno attraverso la Sua provvigione di un Redentore, la discendenza della donna, che ribalterà gli effetti disastrosi della Caduta. Questa promessa continua nel patto noaico (Genesi 8-9) attraverso il mediatore di patto, Noè e la sua famiglia. Ma come con Adamo, anche con Noè, vi è fallimento. Giunti a Genesi 11, ci ritroviamo di nuovo a Genesi 3. Il tentativo ribelle dell’esere umano di farsi un nome a prescindere da Dio è posto in contrasto alla chiamata della grazia di Dio nell’eleggere Abraamo. Ma a differenza di Noè, dove Dio distrusse tutti eccetto Noè e la sua famiglia, Dio non distrugge la razza umana come nel diluvio. Al contrario, Dio permette alle nazioni di esistere, ma chiama Abraamo fuori dalle nazioni. L’intento ultimo di Dio è di operare attraverso il mediatore di patto, Abraamo e la sua discendenza, per portare benedizione alle nazioni. In questo contesto, si deve vedere il patto abramitico come il mezzo con cui Dio adempirà le Sue promesse per l’umanità. In questo senso importante, Abraamo e la sua famiglia costituiscono un altro Adamo, chiamato in essere parallelamente alla creazione originale, in questo caso una “nuova creazione” (Romani 4:17). In Abraamo e la sua discendenza saranno realizzate tutte le promesse di Dio per la razza umana, promesse che Dio Stesso si incarica di adempiere quando inaugura il patto in Genesi 15. N. T. Wright riassume bene l’importanza di Abraamo in questo contesto veterotestamentario quando scrive: “Abraamo emerge all’interno della struttura di Genesi come la risposta alla sorte dell’umanità intera. La linea del disastro e della “maledizione” proveniente da Adamo e passando da Caino, attraverso il Diluvio e Babele, inizia ad essere ribaltata quando Dio chiama Abraamo e dice, ‘in te tutte le famiglie della terra saranno benedette’”. [72]
A motivo delle promesse divine fatte ad Abraamo, la promessa è confermata e passata anche ad Isacco e Giacobbe (Gen. 26:3-5; 28:13-15; 35:9-12). Inoltre, le promesse di patto fatte ad Abraamo sono anche la base su cui Dio libera Israele dalla schiavitù d’Egitto. La chiamata di Dio e il Suo patto con Israele attraverso Mosè avvengono in adempimento delle promesse fatte ad Abraamo e la sua discendenza (Es. 3:6; cf. 2:”4-25; Deut. 4:36-38; I Cron. 16:15-19; 2 Re 13:22-23). Dio non pose il Suo amore su Israele perché erano migliori o più numerosi delle altre nazioni (Deut. 7:7). Né fu per la loro giustizia che Egli diede loro la terra di Canaan (Deut. 9:4-6). La base della chiama divina di Israele non si trovava in loro, ma nella scelta sovrana di Dio e nella sua lealtà di patto ad Abraamo (Es. 19:4; Deut. 7:8). Di nuovo, è attraverso Abraamo e la sua famiglia, ora ristretta alla nazione di Israele, che Dio Si propone e pianifica di portare benedizione a tutte le nazioni. In questo modo, attraverso Israele, che serve anche come un tipo del nuovo Adamo, Dio risolverà il peccato e la morte causate dal primo Adamo. Israele, come nazione, è l’agente ed il mezzo che Dio usa per realizzare i propositi più ampi del patto abramitico che conducono poi a Cristo e all’introdizuione di una “nuova creazione”.
Ma non è soltanto il patto mosaico che è costruito sulla spina dorsale del patto abramitico: lo è anche quello davidico. Il re davidico di Israele è un re che si trova in relazione col Signore (2 Sam. 7:14). Egli è l’amministratore e il mediatore del patto. In quanto tale, i figli di Davide funzionano come rappresentanti del Signore ad Israele. L’esser figli, applicato ad Israele come nazione intera (Es. 4; cf. Os. 11:1), è ora applicato a Davide e i suoi figli. Ma vi è dell’altro: il re davidico eredita anche il ruolo di Adamo e di Israele come figlio di Dio nei confronti dell’umanità nella sua interezza. Come Walter Kaiser ha giustamente detto, l’espressione in 2 Sam. 7:19b dovrebbe leggersi così “Questa è l’istruzione con cui l’umanità sarà diretta”, indicando la comprensione che Davide stesso aveva delle implicazioni del patto davidico per l’intera razza umana, ovvero, che il suo ruolo di mediatore di patto avrebbe portato ad effetto il governo divino nel mondo intero per come Dio lo intendeva per l’umanità nella sua situazione originale. [73] In questo il patto davidico è correlato a quello abramitico, che a sua volta è correlato alle promesse precedenti di Dio. Così, sotto il re davidico, la promessa abramitica della grande nazione e del grande nome si uniscono. In questo senso, l’adempimento ultimo del patto abramitico coincide con l’adempimento ultimo del patto davidico. Le benedizioni abramitiche, correlate a Noè e alla creazione, saranno realizzate finalmente soltanto attraverso il figlio davidico. L’adempimento finale della promessa abramitica di una terra promessa avverrà sotto il governo del re davidico. In questo importante senso il re davidico diviene il mediatore della benedizione del patto, legata ad Abraamo, e in ultima analisi ad Adamo, in quanto capo federale della razza umana.
Nell’AT nessuno dei mediatori di patto (Adamo, Noè, Abraamo, Mosè, o Davide) adempirono pienamente il loro ruolo e realizzarono di fatto la promessa; essi non fecero altro che tipizzare ed anticipare colui che doveva venire (Rom. 5:14). Soltanto il nostro Signore Gesù Cristo, il Dio–uomo, adempie i ruoli dei mediatori dei patti precedenti e realizza le promesse che si estendono fino a Gen. 3:15. Questo è il motivo per cui il NT presenta Cristo come niente di meno che il Signore, l’ultimo Adamo, la vera discendenza di Abraamo, il Figlio di Davide, colui che introduce un nuovo patto, un patto che tutti i patti precedenti anticipavano e tipizzavano. In Cristo, tutte le promesse di Dio sono sì ed amen (2 Cor. 1:20). Questo è il motivo per cui in Gesù e nella Sua opera la condizione disperata dell’umanità fin dal principio ora si risolve nell’Ultimo Adamo, il Figlio ubbidiente che ha realizzato la sua opera salvifica. La promessa che Dio stesso deve essere il salvatore del Suo popolo è adempiuta perché Egli stesso è il Signore. La morte di Gesù, il crimine dei crimini, è tuttavia determinata dal piano divino (Atti 2:23) per portare ad adempimento quanto Dio aveva promesso attraverso i profeti, che il Messia avrebbe sofferto (Atti 3:18), per salvare il Suo popolo dai suoi peccati (Mat. 1:21). In Gesù Cristo l’anticipazione profetica della venuta di Dio per salvare in ed attraverso il Figlio di Davide è adempiuta. Come ci ricorda D. A. Carson: “la promessa che attraverso la discendenza di Abraamo tutte le nazioni della terra saranno benedette, gradualmente espansa in uno dei temi principali nell’Antico Testamento, ora esplode nel Grande Mandato, la crescita e sviluppo della chiesa ebraica nel mondo gentile, la fiamma che si diffonde e raggiunge l’Impero Romano e va oltre, anticipando la consumazione culminante delle promesse di Dio nei nuovi cieli e nuova terra”. [74]
Ecco, riassumendo, la relazione del patto abramitico vis-à-vis gli altri patti biblici. E’ oltre ogni disputa che il patto abramitico, nel suo adempire la promessa e condurre a Cristo, è alla base della relazione di Dio con la razza umana. Ma in questo riassunto dei patti e delle relazioni tra loro vi è qualcosa di cruciale che non deve sfuggire: spostandoci da Abraamo a Cristo, vi è una progressione ed avanzamento significativo. Il patto abramitico stabilisce il contesto ed anticipa la venuta del nuovo patto, ma promessa e tipo non sono la stessa cosa che adempimento ed antitipo. Senza dubbio vi è della continuità tra i patti, ma vi è anche una significativa discontinuità. Ciò ha implicazioni sul come concepiamo la natura della comunità di patto e il significato dei segni del patto. E’ quest’ultima osservazione che mi conduce al mio secondo punto riguardante la natura del patto abramitico primo nel suo proprio contesto canonico e poi in relazione al nuovo patto.
I vari aspetti del patto abramitico. Secondo, pensando alla natura del patto abramitico nel suo contesto storico è importante che non lo riduciamo meramente ai suoi aspetti spirituali. Far questo è leggere realtà del nuovo patto nell’era dell’antico frettolosamente. Dobbiamo invece prima capire il patto abramitico nel suo contesto canonico e poi correlarlo a quanto è ora giunto in Cristo. Sicuramente il patto abramitico ci conduce in ultima istanza al nuovo patto, ma bisogna chiedersi: qual è la natura di quel patto considerato prima nel suo contesto storico? E’ mia contenzione che il patto abramitico è molto diversificato, e che esso abbraccia non soltanto elementi spirituali che ci connettono al nuovo patto, ma consiste anche di elementi nazionali e tipologici che, nel loro adempirsi, risultano in una significativa discontinuità. Ciò si può illustrare al meglio se pensiamo ai differenti sensi che la Scrittura attribuisce al principio genealogico (a “te e la tua discendenza”, Gen. 17:7). Come abbiamo notato sopra, i pedobattisti comprendono “te e la tua discendenza” come “te e la tua discendenza fisica” (ovvero, i credenti e i loro figli), un principio che continua quindi senza sospensione o cambiamento di alcun tipo da Abraamo a Cristo. Ma questa comprensione fa giustizia al patto abramitico nel suo proprio contesto, e, ancor di più, alla luce del suo adempimento in Cristo? La mia risposta è no. Lo capiamo rispondendo all’importante domanda: Chi è la discendenza di Abraamo? Chi è il vero erede della promessa di Dio? La Scrittura insegna che, quanto alla discendenza, vi sono quattro sensi che dobbiamo distinguere e non confondere. Guardiamo ad ognuno di essi. [75]
1. La “discendenza di Abraamo” si riferisce, in primo luogo, ad una discendenza naturale (fisica), ovvero ogni persona che è discesa fisicamente da Abraamo, come Ismaele, Isacco, i figli di Chetura, e per estensione Esaù, Giacobbe etc. In ogni caso, tutti questi figli di Abraamo hanno ricevuto la circoncisione benché molti di essi fossero non credenti, e benché fu soltanto attraverso una delle “discendenze”, ovvero Isacco, che le promesse e il patto di Dio furono realizzati (Gen. 17:20-21; cf. Rom. 9:6-9). La circoncisione marcava anche coloro che non erano discendenti fisici di Abraamo ma che erano correlati a lui o attraverso la nascita in casa sua o che furono acquistati da lui come schiavi (Gen. 17:12). Nel secondo caso la circoncisione metteva in grado chi non era biologicamente correlato ad Abraamo di diventare suo figlio e quindi di beneficiare della benedizione divina mediata attraverso di lui. [76]
2. La “discendenza di Abraamo”, in secondo luogo, si riferisce anche ad una discendenza naturale e tuttavia speciale legata ai propositi elettivi e salvifici di Dio, ovvero Isacco, e per estensione Giacobbe e l’intera nazione di Israele. Entrando in relazione pattizia con Israele, Dio lo rende un popolo speciale e scelto (Deut. 7:7-10). Come nel caso della discendenza naturale, anch’essi sono un’entità “mista” comprendente credenti e non credenti, Elia e Acab allo stesso tempo, benché tutti i maschi all’interno del patto, a prescindere dall’essere spiritualmente rigenerati, erano marcati dal segno del patto, la circoncisione. Essere il popolo scelto di Dio non garantiva a nessuno di ricevere le benedizioni redentive più alte (vedi Mt. 3:9; Lu. 3:8; 16:19-31; Gv. 8:31-39; Rom. 9:1-15).[77] Anzi, il loro essere marcati dal segno del patto non soltanto indicava la loro relazione ad Abraamo ma, a differenza della discendenza meramente naturale (Ismaele), permetteva loro il privilegio supremo di portare la benedizione di Dio a tutte le nazioni attraverso la venuta del Messia.
3. Il Messia stesso è il terzo senso in cui si deve capire chi sia la “discendenza di Abraamo”. In Gal. 3:16 Paolo argomenta che l’uso singolare della parola “discendenza” in Genesi 12:3 ed altri luoghi è un riferimento alla vera/unica“discendenza di Abraamo”, ovvero Cristo. [78] Qui Paolo riprende il tema della promessa da Genesi 3:15, tracciato attraverso una distinta linea di discendenza, che inizia da Adamo e passando per Noè, Abraamo, Isacco, Israele, Davide culmina infine in Cristo, colui che adempie tutte le promesse di Dio, non ultimo le promesse abramitiche. Dunque egli è la vera discendenza di Abraamo, il vero Israele, il Figlio di Davide. In questo senso importante, quindi, Gesù è la discendenza unica e speciale di Abraamo, sia come discendenza fisica discendente da una linea genealogica specifica che come antitipo di tutti i mediatori di patto dell’AT. Quanto è cruciale notare in questa giuntura è come in Cristo, visto come la vera discendenza di Abraamo e il capo mediatoriale del nuovo patto, vi è un significativo avanzamento tipologico nella progressione dei patti, il che ha implicazioni per la nostra comprensione dell’espressione “a te e la tua discendenza”. Ciò è chiaro nel quarto senso in cui si deve capire la “discendenza di Abraamo”.
4. In quest’ultimo senso di “discendenza di Abraamo, il NT enfatizza la sua natura spiritualeora che Cristo è giunto, e include all’interno della chiesa credenti Giudei e Gentili. Data la nuova era che Cristo ha inaugurato, il modo per entrare nella famiglia di Abraamo non dipende dalla circoncisione o l’osservanza della Torah, ma è attraverso la fede e la rinascita spirituale. Soltanto quelli che hanno fatto esperienza della conversione sono la “discendenza” di Abraamo in questo senso spirituale. Essere un membro della famiglia di Abraamo ora non è più legato a una linea fisica specifica, né alla circoncisione, né ad alcun tipo di connessione fisica ad altri credenti. Si diviene parte della famiglia di Abraamo soltanto attraverso la fede che unisce a Cristo, una cosa causata dallo Spirito (Gal 3:26-29). Dunque con la venuta di Cristo è giunta una nuova era della storia redentiva, un’era in cui le strutture, tipi ed ombre dell’antica epoca hanno lasciato spazio alla realtà e all’adempimento di ciò che l’AT indicava da sempre.
Implicazioni del patto abramitico per il battesimo. Questa discussione ha almeno due importanti implicazioni. Primo, è illegittimo identificare ed eguagliare il patto abramitico con il nuovo patto senza notare i diversi aspetti al suo interno (nazionale/fisico, tipologico, spirituale) e la discontinuità che risulta muovendoci da Abraamo a Cristo. Ad esempio, identificare ed eguagliare la discendenza naturale/speciale(Israele) con quella spirituale(chiesa), come anche eguagliare i segni pattizi della circoncisione e del battesimo, è un errore spesso commesso dai pedobattisti. Questo non fa giustizia ai diversi aspetti del patto abramitico e anche al modo in cui il patto è in ultima analisi adempiuto in Cristo. Così Israele, come nazione, è un tipo della chiesa, ma ciò è vero non perché la chiesa è meramente il rimpiazzo di Israele, ma perché Cristo, come vera discendenza di Abraamo ed adempimento di Israele, unisce in Sé Giudei e Gentili spirituali nell’“Israele di Dio” (Gal. 6:16). Vi è continuità, ma anche importante discontinuità. Ora che Cristo è giunto soltanto quelli che hanno la fede e hanno fatto esperienza della rinascita spirituale sono il Suo popolo e parte della Sua famiglia. Nell’epoca dell’AT il popolo di Dio era sia una nazione fisica che il popolo spirituale di Dio; la circoncisione segnalava la propria affiliazione alla nazione. Ma benché la circoncisione marcava l’essere parte della discendenza naturaledi Abraamo e portava all’interno della nazione di Israele, non tutti queli che facevano parte della nazione di Israele erano anche la discendenza spirituale (vedi Rom. 9:6). Questo, come argomenterò in seguito, nonè lo stesso di quanto avviene nel popolo di Dio nel nuovo patto. Il popolo di Dio del nuovo patto sono tutti quelli che, a prescindere dall’etnia o circoncisione, hanno confessato Cristo come Signore, la vera/spiritualediscendenza di Abraamo. Inclusi sono tutti quelli che credono in Cristo e che sono nati dallo Spirito. Ecco perché in ultima analisi la Scrittura insegna che dobbiamo battezzare soltanto quelli che sono i figli di patto di Cristo, cioè quelli che sono realmente nel patto per la grazia di Dio attraverso la rigenerazione e la fede salvifica. [79]
Una seconda implicazione è che nel muoverci dalla promessa all’adempimento il principio genealogico del patto abramitico viene reinterpretato. [80] Sotto i patti precedenti il principio genealogico, ovvero, la relazione tra il mediatore del patto e la sua discendenza, era fisico (e.g. Adamo, Noè, Abraamo, Davide). Ma ora, in Cristo, sotto la sua mediazione, la relazione tra Cristo e la sua discendenza non è più fisica ma spirituale, il che significa che il segno del patto deve essere applicato soltanto a chi di fatto è la discendenza spiritualedi Abraamo. Non è forse questo al centro della promessadel nuovo patto in Geremia 31, ora adempiuta in Cristo? Che il Signore unirà Se Stesso ad un popolo di patto rinnovato spiritualmente, che lo conoscerà nella sua interezza, in contrasto alla nazione “mista” di Israele che violò il patto? E che tutto questo popolo del nuovo patto sarà marcato dalla conoscenza di Dio, il perdono dei peccati, e la realtà di un cuore circonciso che permetterà loro di mantenere il patto, e non violarlo? In altre parole, nel non afferrare la progressione significativa dei patti lungo la storia redentiva, particolarmente in termini di relazione tra il mediatore del patto e la sua discendenza, i pedobattisti non comprendono correttamente in che modo il principio genealogico è mutato da Abraaamo a Cristo. In ultima analisi il loro errore è non riconoscere la “novità” del nuovo patto. La loro enfasi sulla continuità del patto di grazia li ha condotti ad appiattire le differenze tra i patti e così a comporre in modo sbagliato la struttura della comunità del nuovo patto. E’ a questo punto che adesso mi dedico.
La novità del nuovo patto e la natura della chiesa
Come già notato, il modo in cui si comprende la natura e la struttura del nuovo patto vis-à-vis i patti biblici precedenti ci porta al cuore stesso della divisione sul battesimo. Nel difendere la continuità epocale della comunità di patto, i pedobattisti argomentano che la comunità del nuovo patto (chiesa) è essenzialmente uguale a quella antica (Israele) poiché entrambe le comunità sono entità “miste”. Come in Israele così anche nella chiesa vi è una distinzione tra il locus della comunità di patto e quello degli eletti (residuo), dove prima la circoncisione ed ora il battesimo sono il segno dell’entrata in essa. Questo è il motivo per cui i segni del patto possono essere applicati esattamente allo stesso modo anche a chi non ha ancora esercitato la fede salvifica.
I battisti, d’altro canto, non concordano con questa comprensione della natura della comunità del nuovo patto. La teologia credobattista, quantomeno la concezione che io difendo qui, sostiene una maggiore discontinuità storico-redentiva tra Israele e la chiesa, specialmente per quanto riguarda la natura della chiesa. Certamente vi è un solo popolo di Dio lungo tutte le epoche, questo non è in dubbio. Tuttavia, nella promessa veterotestamentaria dell’AT riguardante il nuovo patto (Ger. 31:29-34) e il suo adempimento in Cristo (vedi Luca 22:20; Ebrei 8-10) la natura delle comunità di patto non è la stessa, e ciò implica una differenza nel significato ed applicazione del segno del patto. In modo specifico, il cambiamento è da trovarsi nel passaggio da una comunità mistaad una rigenerata, con l’implicazione cruciale che sotto il nuovo patto il segno del patto deve essere applicato soltanto a chi è di fatto in quel patto, ovvero, i credenti. Per varie ragioni, il segno di patto della circoncisione non necessitava la fede per poterne essere soggetti appropriati, benché marcasse i recipienti come membri del patto a pieno titolo. Tuttavia, non possiamo dire lo stesso del battesimo. Siccome la chiesa, per sua natura stessa, è una comunità rigenerata, il segno di patto del battesimo deve applicarsi soltanto a chi è giunto alla fede in Cristo. E’ qui che vediamo una discontinuità cruciale tra la nuova e l’antica comunità, un punto che il pedobattista non riceve.
Ecco perché i pedobattisti interpretano, coerentemente, il nuovo patto come un “rinnovamento” piuttosto che un “rimpiazzo”, o meglio un “adempimento”. Il nuovo patto, essi sostengono, è “nuovo” perché espande l’epoca precedente, amplia i suoi margini, rilascia più grandi benedizioni, ma vi è comunque una continuità basilare e particolarmente per quanto riguarda la natura della comunità di patto. Inoltre questo è il motivo per cui i pedobattisti argomentano che il nuovo patto, proprio come l’antico, è un patto violabile che quindi include al suo interno “chi osserva come chi viola il patto”. Di recente vi sono stati tentativi di difendere la comprensione pedobattista del nuovo patto da parte di Jeffrey Niell e Richard Pratt Jr. E’ interessante notare che questi due tentativi, benché abbiano molto in comune, hanno un approccio piuttosto differente. Entrambi, tuttavia, riconoscono la centralità di questa discussione per il dibattito sul battesimo. Pratt, ad esempio, afferra correttamente il punto quando ammette:
I pedobattisti evangelici enfatizzano coerentemente il fatto che i figli battezzati sono nel nuovo patto, ma anche che essi non sono automaticamente o necessariamente salvati. In effetti il battesimo degli infanti introduce persone irrigenerate e non credenti nella comunità del nuovo patto. Ma questa pratica sembra contraddire la profezia di Geremia che la salvezza sarà pienamente distribuita nel nuovo patto. Come può essere giusto che gli infanti ricevano il segno di patto del battesimo quando spesso non “conoscono il Signore”? [81]
Questo è precisamente il punto in questione: la natura e la novità del nuovo patto.
Nella sua discussione del nuovo patto (Ger. 31:31-34; Ebr. 8-10), Niell contende che il nuovo patto nonè davvero nuovo se paragonato all’antico. Ad esempio, egli nota che non vi è una separazione radicale tra il popolo di Dio lungo il canone biblico: molti santi dell’AT erano rigenerati, conoscevano il Signore, e facevano esperienza del perdono dei peccati allo stesso modo di quelli sotto il nuovo patto. E a prescindere dal patto in questione Dio deve prendere l’iniziativa di fare grazia e redimere, e quando lo fa stabilisce il medesimo tipo di relazione con il Suo popolo. Date queste somiglianze, quindi, cosa è “nuovo”? Secondo Niell, la “novità” si trova nel fatto che Cristo ha portato a termine la legge cerimoniale e il sacerdozio levitico: un sacerdozio che era “specialmente ingaggiato ad insegnare e rappresentare la conoscenza del Signore al popolo”. [82] Infatti, egli interpreta la “conoscenza” di Ger. 31:34 (vedi Ebr. 8:11) come riferentesi alla conoscenza speciale del sacerdote levitico, e non, come contendono molti, ad una conoscenza salvifica. Egli argomenta che il verso 34 si riferisce soltanto “alla rimozione degli aspetti cerimoniali della legge e alla conoscenza che è posseduta e pubblicata dai sacerdoti. Questo è vero a prescindere da se fossero o meno eletti prima della fondazione del mondo”. [83] Ma, alla fine, a parte l’adempimento in Cristo di tutto quanto è associato alla legge cerimoniale, il “nuovo” patto è lo stesso che l’antico, specialmente in quanto entrambi erano violabili e “misti” per quanto riguarda chi ne è membro. [84]
In contrasto a Niell, Pratt (insieme a molti pedobattisti) argomenta correttamente che la promessa del nuovo patto in Geremia non si correla alla natura soteriologica della comunità, perché Geremia anticipa che:
Dio stesso apporterà una profonda, interna trasformazione al suo popolo di patto … Geremia non vedeva l’entrata nella comunità del nuovo patto come un’entrata in un ambiente esteriore, ma come un passare attraverso un cambiamento spirituale interiore … E’ evidente che la legge di Dio spesso regolava le vite del popolo di Israele come un farebbe un codice pressoché totalmente esteriore. L’ubbidienza spesso ne risultava in modo riluttante e in base a pressioni dall’esterno. Ma Geremia promise che il nuovo patto avrebbe posto fine a questo stato di cose. Riguardo a ciò Paolo echeggiò Geremia quando contrastò “il ministero dell’antico patto …. che era scolpito su lettere di pietra” (2 Cor. 3:7) con “il ministero del nuovo patto nello Spirito … che porta la giustizia” (2 Cor. 3:6, 8-9). [85]
Inoltre, in contrasto a Niell, Pratt contende correttamente che il verso 34 si riferisce ad una conoscenza salvifica:
In questo senso, “conoscere il Signore” significa “riconoscerlo appropriatamente”. Ecco perché Geremia 31:34 conclude, “Perché perdonerò la loro empietà e non mi ricorderò più dei loro peccati”. In breve, conoscere Dio per come ne parlò Geremia sarebbe ricevere la salvezza eterna. Nel patto di cui parlò Geremia la salvezza sarebbe giunta ad ogni suo partecipante. Non vi sarebbero state eccezioni. [86]
In altre parole, quello che la promessa anticipa è una comunità rigenerata e non una mista. La comprensione di Pratt di Geremia 31, che è in diretta opposizione a quella di Niell, solleva delle serie questioni per i pedobattisti. Come possono parlare di infanti battezzati che partecipano negli aspetti esteriori del patto (la chiesa visibile) senza una trasformazione interiore del cuore? Pratt tenta di superare creativamente questo punto. Si appella all’importante tensione del “già/non ancora” associata all’escatologia inaugurata per argomentare che l’adempimento ultimo del nuovo patto non avviene fino alla consumazione di tutte le cose. [87] Senza dubbio il nuovo patto è “già” qui nella chiesa, ma il suo adempimento perfetto in una comunità di tutti rigenerati è “non ancora”. Dunque non è che fino alla consumazione di questa epoca che la chiesa sarà una comunità rigenerata, al presente è soltanto una comunità “mista” costituita da osservatori e da violatori del patto. Pratt scrive:
Possiamo aver fiducia nel fatto che dopo il ritorno di Cristo in gloria ognuno nella nuova creazione avrà la legge di Dio scritta sul suo cuore … in questo senso aspettiamo che solo allora la profezia di Geremia abbia completo adempimento. Al presente, tuttavia, questa aspettativa è soltanto parzialmente adempiuta … Fino alla consumazione, il nuovo patto continuerà ad essere una mistura di veri credenti e non credenti santificati. [88]
Lo spazio che abbiamo ci permette soltanto una breve risposta. Primo, i pedobattisti falliscono di far giustizia ai dati biblici, e specificamente alla promessa di Geremia 31 e il suo adempimento nel NT. Secondo, a motivo di quel fallimento vedono erratamente la natura della chiesa come entità “mista”. Parliamo brevemente di entrambi i punti in sette passi, volgendoci prima a Geremia 31 e poi alla natura della chiesa.
Note
[69] Vedi ad esempio, Jewett, Infant Baptism and the Covenant of Grace, 69–137 e Malone, The Baptism of Disciples Alone, 23–135.
[70] Sul metodo teologico, vedi gli articoli introduttivi in NDBT, 3–112; R. Lints, The Fabric of Theology: Toward an Evangelical Prolegomenon (Grand Rapids: Eerdmans, 1993); M. S. Horton, Covenant and Eschatology: The Divine Drama (Louisville: Westminster John Knox, 2002).
[71] Per risorse utili sulla natura del patto abramitico e la sua relazione agli altri patti biblici vedi Dempster, Dominion and Dynasty, 45–92; Dumbrell, Covenant and Creation, 47–79; e Blaising and Bock, Progressive Dispensationalism, 128–211.
[72] N. T. Wright, The New Testament and the People of God (Minneapolis: Fortress, 1992), 262.
[73] Vedi W. C. Kaiser, Jr., “The Blessing of David, The Charter for Humanity,” in The Law and the Prophets, ed. J. H. Skilton (Nutley, NJ: P&R, 1974), 311–14. Vedi anche il saggio non pubblicato di P. J. Gentry, “The hasdeΔ daμwiΔd of Isa 55:3: A Response to Hugh Williamson,” e Dumbrell, Covenant and Creation, 151–52.
[74] D. A. Carson, The Gagging of God (Grand Rapids: Zondervan, 1996), 263.
[75] Su questo punto vedi T. D. Alexander, “Seed,” in NDBT, 769–73; J. G. Reisinger, Abraham’s Four Seeds (Frederick, MD: New Covenant Media, 1998); e R. F. White, “The Last Adam and His Seed: An Exercise in Theological Preemption,” TJ 6 ns:1 (1985): 60–73.
[76] G. Strawbridge, “The Polemics of Anabaptism from the Reformation Onward,” in The Case for Covenantal Infant Baptism, 277–80, non concorda con questa asserzione. Contrariamente ad ogni evidenza biblica egli specula che Ismaele ed i figli di Chetura erano persone di fede, come il loro padre Abraamo. Dunque per loro la circoncisione non significava una demarcazione fisica, ma spirituale. Egli si appella al fatto che la circoncisione non può essere concepita come un “segno nazionale” perché Ismaele non era parte della nazione di Israele, e così deve significare che nel caso di Ismaele (come anche di figli di Chetura) la circoncisione aveva un significato spirituale. Ma ciò non coglie il punto. Strawbridge non distingue tra la discendenza fisica e quella fisica/speciale di Abraamo, le quali entrambe erano legate ad Abraamo e per questo ricevettero entrambe il segno del patto, a prescindere dalla loro fede personale. Difatti, l’intera casa di Abraamo doveva essere circoncisa per mostrare una connessione “fisica” ad Abraamo, e la Scrittura non dà alcuna evidenza che nel loro caso la circoncisione aveva un significato spirituale. Non si può negare che la circoncisione demarca una discendenza fisica (Isamele, Isacco, Israele) e da nessuna parte vi è evidenza che all’interno questa discendenza fisica la loro circoncisione aveva necessariamente un significato spirituale. Senza dubbio si deve dire altro a riguardo della circoncisione, ma questo punto non può essere trascurato.
[77] Dobbiamo stare attenti a non equivocare il termine “redenzione”. Nel contesto dell’AT esso si riferisce semplicemente alla liberazione da parte di Dio della nazione dall’Egitto, senza necessariamente il pieno senso neotestamentario di redenzione dal peccato e benedizioni salvifiche. Parlare della nazione di Israele come un popolo “redento” non significa necessariamente che erano tutti redenti nello stesso senso in cui lo è la chiesa. Senza dubbio vi sono delle relazioni tipologiche ma il tipo non è lo stesso che l’antitipo.
[78] Vedi Alexander, “Seed,” in NDBT, 769–73 e T. R. Schreiner, Paul: Apostle of God’s Glory in Christ (Downers Grove: InterVarsity, 2001), 73–85.
[79] Per altro a riguardo vedi Jewett, Infant Baptism and the Covenant of Grace, 93–104; Malone, The Baptism of Disciples Alone, 71–79.
[80] Per altro vedi White, “The Last Adam and His Seed,” 60–73; Reisinger, Abraham’s Four Seeds.
[81] Pratt, “Infant Baptism and the New Covenant,” 161.
[82] Niell, “The Newness of the New Covenant,” 153.
[83] Ibid., 153, n 37.
[84] Vedi Ibid., 153.
[85] Pratt, “Infant Baptism and the New Covenant,” 159–60.
[86] Ibid., 161.
[87] Vedi Ibid., 169.
[88] Ibid., 171, 173.