La Casa di Dio
Spunti sul libro di Apocalisse dalla chiesa primitiva
Francis X. Gumerlock
Introduzione
Apocalisse è forse il più difficile dei 66 libri della Scrittura. Gerolamo (m. 420) conosceva l’ebraico e il greco sufficientemente da poter fare una traduzione accurata dell’intero Antico e Nuovo Testamento in latino. Egli scrisse commentari su libri lunghi e difficili come Isaia, Geremia e Daniele. Ma quando giunse al libro di Apocalisse si fermò. Egli credeva che era ispirato da Dio e utile, dicendo che era degno di lode, ma, aggiunse, “ha tanti misteri quante parole”.[1]
Agostino (m. 430) commentò sul libro di Apocalisse: “Benché questo libro è chiamato l’apocalisse,” che vuol dire rivelazione, “vi sono in esso molti passaggi oscuri che esercitano la mente del lettore”.[2] Giovanni Calvino scrisse commentari su ogni libro della Bibbia eccetto Apocalisse. Spurgeon ne rimase perplesso: “vi è un intero libro, Apocalisse, che non capisco benché accetto pienamente”.[3]
Parte della ragione della difficoltà del libro è la sua forma letteraria. Non è una narrativa storica come i Vangeli, né un’istruzione didattica come Giacomo o I Giovanni, ma una serie di visionI. E quando Giovanni descrisse quanto vide, trasse le sue immagini dall’Antico Testamento e dalla cultura del Vicino-Oriente.[4] Tutto questo contribuisce alla complessità del libro.
Per interpretare appropriatamente il libro di Apocalisse è essenziale l’illuminazione dello Spirito Santo. Dio ha illuminato per oltre diciannove secoli i Suoi santi perché essi capissero la Sua parola. Per questo è utile leggere, studiare, e tradurre i commentari biblici dei primi cristiani: proprio come Dio illumina noi oggi, Egli ha illuminato la chiesa primitiva in modo che noi oggi ne possiamo beneficiare. Ciò non vuol dire che accettiamo tutto quello che loro scrissero acriticamente, ma spesso il loro contributo va oltre distanze temporali, culturali e linguistiche che esistono tra gli scrittori biblici e noi oggi nel 21° secolo. In questo saggio desidero condividere con voi cinque punti che ho compreso dalla lettura dei commentari sull’Apocalisse scritti nei primi secoli del Cristianesimo. Essi sono:
1. Come capire “il libro della vita”
2. Il principio del “già-non-ancora” nell’interpretare la profezia biblica
3. La struttura del libro di Apocalisse contiene “ricapitolazione”
4. Come interpretare la prima risurrezione e il regno delle anime di “mille anni” in Apocalisse 20
5. Se “il fiorire dell’albero di fico” menzionato in Matteo e Luca si riferisce alla formazione dello Stato politico di Israele nel 1948
1. Come interpretare “il libro della vita”
L’immagine del “libro della vita” compare varie volte nel libro di Apocalisse: ai capitoli 3, 17 e 20. Guardiamo un po’ come i commentatori della chiesa primitiva compresero questa immagine.
Andiamo ad Apocalisse 3:5: “All’angelo della chiesa a Sardi, scrivi: ‘Chi vince sarà vestito di vesti bianche, e non cancellerò il suo nome dal libro della vita, e confesserò il suo nome dinanzi al padre mio, e dinanzi ai suoi angeli’”. Un commentario attribuito ad Alcuino da York (m. 804) ma ora tra le sue opere dubbie, dice: “Da questo passaggio sorge una domanda importante”.[5] Essa riguarda il quesito se una persona scelta da Dio per la salvezza e che ha ricevuto i mezzi di salvezza possa essere rimossa dal libro della vita. L’autore risponde affermando che il libro della vita “è il decreto divino particolare, che prima del mondo predestinò un certo e definito numero di eletti alla gloria futura”. Per quella ragione l’autore del commentario raccomandò ai suoi lettori di intendere che “i nomi dei reprobi” e non degli eletti, saranno cancellati dal libro della vita.[6]
Richard Rolle (m. 1349), morto durante la Peste nera in Europa, spiegò Apocalisse 3:5 così: “E non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ovvero, dalla presenza divina che è secondo la Sua predestinazione”.[7]
Andiamo ora ad Apocalisse 17:8. L’angelo interpreta la visione per Giovanni, dicendo: “La bestia che hai visto, era e non è, e deve venire dall’abisso e andare in perdizione. E quelli che dimorano sulla terra, i cui nomi non sono stati scritti nel libro della vita dalla fondazione del mondo, si meraviglieranno quando vedono la bestia, che era, ed è, e che deve venire”. Aimone di Auxerre (m. 875) scrisse a riguardo:
Il libro della vita è il decreto divino,[8] cioè, la preconoscenza e predestinazione del Dio onnipotente. Perché quelli che seguiranno l’Anticristo non sono stati predestinati, ovvero, preordinati alla vita, perché nessuno di quelli che Dio ha predestinato dalla fondazione del mondo a salvezza perirà (cf. Gv. 10:28), su cui l’apostolo scrive: “Quelli che ha preconosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi alla Sua immagine” (Rm. 8:29-30). Perché Dio sa a chi dirà: “Andate nel fuoco eterno” e a chi dirà: “Venite, i benedetti del padre mio” (Mat. 25:34, 41).[9]
Infine, andiamo ad Apocalisse 20:15. La scena è quella del Giudizio Finale. Giovanni conclude la sua descrizione dicendo: “E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nel lago di fuoco.” Agostino, che scrisse un commentario esteso su Apocalisse 20 nella sua Città di Dio, disse a riguardo:
Questo libro non è per ricordare a Dio qualcosa, come se gli sfuggisse qualcosa per dimenticanza, ma simbolizza la Sua predestinazione di coloro a cui sarà data vita eterna. Perché non è che Dio sia ignorante da dover leggere nel libro per potersi informare, ma piuttosto la Sua prescienza infallibile è il libro della vita in cui sono scritti, ovvero, conosciuti in precedenza.[10]
Ambrogio Autperto, un monaco dell’Italia centrale vissuto nell’ottavo secolo, scrisse un commentario su Apocalisse tra il 757 e il 767. Egli spiegò questo passaggio così:
In verità si deve sapere che quando è detto “chiunque non fu trovato scritto nel libro della vita” è come se fosse stato detto “chiunque non è stato predestinato alla vita”. Perché quel libro non deve essere compreso carnalmente, come se contenesse i nomi dei giusti scritti con l’inchiostro o qualche altra sostanza, così da informare Dio in caso dimentichi quell’informazione e leggendo la quale la richiami alla memoria. Piuttosto, significa la predestinazione di coloro a cui sarà data la vita eterna. Dunque, non vuole affatto dire che Dio non li conosce o riconosce, come già detto, come se leggesse un libro in modo da potersi informare. Ma piuttosto il libro è quella sua preconoscenza, sì, la loro predestinazione che non può fallire. In questo libro gli eletti furono scritti prima delle epoche, ovvero, furono preconosciuti e predestinati.
Questo è quanto afferma anche l’apostolo: “quelli che ha preconosciuti li ha anche predestinati ad essere conformi alla Sua immagine, così che potesse essere il primogenito tra molti fratelli. Ma quelli che ha preconosciuti e predestinato li ha anche chiamati, e quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati, e quelli che ha giustificato li ha anche glorificati” (Rm. 8:29-30).
E a riguardo dice ancora: “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituali nei luoghi celesti in Cristo, avendoci scelti in lui prima della fondazione del mondo, così che potessimo essere santi e irreprensibili dinanzi a lui nell’amore, egli ci ha predestinati ad essere adottati come figli attraverso Gesù Cristo in lui, secondo il proposito della sua volontà a lode della gloria della sua grazia” (Ef. 1:3-6).
E ancora: “Secondo il beneplacito di Dio che egli si è proposto in lui, nella dispensazione della pienezza dei tempi di ristorare tutte le cose in Cristo, quelle che sono in cielo e che sono sulla terra in lui; a cui siamo stati anche chiamati, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che opera tutte le cose secondo il consiglio della propria volontà, da poter essere a lode della sua gloria” (Ef. 1:9-12).[11]
Questi primi commentatori del libro di Apocalisse, come Agostino e Ambrogio Autperto, credevano che avere il proprio nome scritto nel libro della vita prima della fondazione del mondo era un altro modo di dire che si era divinamente preconosciuti e predestinati alla salvezza. Si noti che non si tirarono indietro dall’affermare questo insegnamento e non cercarono di scusarlo in qualche modo. Essi videro che il Dio onnipotente, essendo eterno e possedendo ogni sapienza, aveva un piano da tutta l’eternità che sarebbe stato adempiuto e non sarebbe fallito. Un numero molto grande di persone da ogni periodo storico, da Adamo all’ultima generazione prima della seconda venuta di Cristo, proveniente da ogni nazione, da ogni lingua, da ogni posizione sociale, piccoli e grandi, sarà parte del Suo popolo, “la chiesa dei primogeniti che sono scritti nei cieli” (Ebr. 12:23).
“Il Signore conosce quelli che sono suoi” dice Paolo. La predestinazione è prerogativa di Dio. Concernente la nostra responsabilità, Paolo dice: “chiunque nomina il nome del Signore si astenga dall’iniquità” (II Tim. 2:19). La nostra responsabilità non è cercare di comprendere le cose nascoste di Dio, ma credere in Cristo, ravvederci dei nostri peccati, e rendere la nostra chiamata ed elezione sicura (cf. II Pt. 1:10) in modo che quando il rotolo coi nomi sarà aperto, noi saremo trovati scritti in esso.
2. Il principio del “già-non-ancora” nell’interpretare la profezia biblica
Il secondo spunto che traiamo dai primi commentari sul libro di Apocalisse e che vorrei condividere con voi è quanto chiamiamo il principio del “già-non-ancora”. Una sana escatologia cristiana è caratterizzata da una tensione tra il “già” e il “non ancora”. Le speranze escatologiche sono state già realizzate nella vita, morte e risurrezione di Cristo, ma l’adempimento pieno è ancora a venire. Il regno di Dio è già arrivato in Gesù, che ha detto “il regno di Dio è vicino” (Mr. 1:15), ma il Signore ha anche insegnato ai Suoi discepoli a pregare “venga il tuo regno” (cf. Mt. 6:10), implicando che esso è ancora futuro. Entrambi gli aspetti sono toccati dall’apostolo Giovanni che scrisse: “Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non ancora appare ciò che saremo” (I Gv. 3:2).[12]
I primi scrittori cristiani, sia dall’Oriente che dall’Occidente, hanno espresso questo principio, e specialmente nei loro commenti sul Discorso sul Monte degli Ulivi. Ma il principio del “già-non-ancora” si mostra anche nei loro commentari sul libro di Apocalisse. Questi scrittori credevano che per alcune visioni di Giovanni vi sarebbe stato un adempimento vicino, nella loro generazione, e che esso avrebbe agito come un tipo del suo adempimento ultimo alla fine dei tempi.
Ticonio di Cartagine (380), dal nord Africa, scrivendo in latino, parlò di questo principio nei suoi commenti ad Apocalisse 11. Andiamo a vedere cosa disse. In questa visione Giovanni vide due testimoni uccisi dalla bestia ed i cui corpi rimasero nella piazza per tre gioni e mezzo. Al verso 9, Ticonio notò sia il tempo presente che futuro usati da Giovanni nella descrizione della visione. Ticonio dice che l’apostolo
Mischia i tempi verbali, così che a volte indica il presente, ed a volte il futuro, proprio come il Signore dice nel Vangelo: “L’ora viene, ed è gia qui, quando chiunque vi uccide penserà di star svolgendo un servizio per Dio. Ma il motivo per cui lo fanno è perché non hanno riconosciuto il Padre, né me” (Gv. 16:2-3). Ecco, Egli non disse “lo faranno perché non riconosceranno”, ma al presente, “lo fanno”, così che da cose presenti può insegnare più completamente le cose future. Perché il tempo presente non è mai separato dagli ultimi tempi …[13]
E’ interessante notare che Ticonio vide questo principio del “già-non-ancora” in Giovanni 16:2-3.
Nell’Oriente greco Andrea di Cesarea in Cappadocia (7°sec.) fornì esempi di questo principio nei suoi commenti ad Apocalisse 7. Leggiamo Ap. 7:1: “E dopo queste cose vidi quattro angeli che stavano in piedi ai quattro angoli della terra, mantenendo i quattro venti della terra, così che non soffiasse vento sulla terra né sul mare né su alcun albero”. Andrea spiega: “Se alcuni hanno interpretato queste cose come avvenute ai Giudei sotto gli antichi romani”, il che è un adempimento nel primo secolo, nel “già”, “questo indica anche le cose che accadranno al tempo dell’Anticristo”, il “non-ancora”, e “non soltanto nella parte giudea della terra, ma in tutta la terra …”[14] Similmente su Ap. 7:8 dove Giovanni finisce la sua descrizione del sigillo dei 144.000 dalle tribù israelite, Andrea scrisse che ciò significa “o i fedeli tra gli ebrei che sono sfuggiti alla cattività dei Romani che completano questo numero”, il che è un adempimento nel “già” nel primo secolo, “o, più correttamente ancora, quelli salvati tra gli ebrei alla fine dei tempi …”[15] Così Andrea dà due esempi dove la visione potrebbe essere adempiuta parzialmente in un evento storico del primo secolo che però indica in ultima istanza il completo adempimento della profezia verso la fine del mondo. Questo è il principio del “già-non-ancora” dell’interpretazione della profezia biblica.
Nella chiesa di Armenia, Nerses di Lambron, l’arcivescovo di Tarso, scrisse il primo commentario su Apocalisse in lingua armena nell’anno 1180. Nerses applicò al libro di Apocalisse il principio del “già-non-ancora”. Egli comprese l’adempimento di alcune profezie durante gli eventi storici del primo secolo, aggiungendo che però essi avranno il loro adempimento ultimo negli eventi della fine correlati alla persecuzione dell’Anticristo e alla Seconda Venuta di Cristo. Egli spiegò così il suo approccio interpretativo nei suoi commenti su Ap. 6:
Gli apostoli domandarono al nostro Signore quale sarebbe stata la sorte del tempio e quando sarebbe avvenuta la fine del mondo, e per quanto potevano capire egli rivelò loro: … gli eventi futuri che abbiamo visto poi verificarsi nei giorni di Vespasiano e Tito, che accaddero ai Giudei … e che poi saranno adempiuti di nuovo nei tempi dell’Anticristo.[16]
Su Ap. 7:1-3 dove all’angelo viene comandato di non danneggiare la terra, il mare e gli alberi finché i servi di Dio siano sigillati, egli scrisse: “Questo accadde parzialmente sotto Vespasiano, perché quelli che erano ministri di Cristo a Gerusalemme fuggirono dai Romani al tempo della distruzione della città … ma è adempiuto specialmente nei tempi dell’Anticristo.” Nerses comprese ciò che accadde sotto l’imperatore Vespasiano nel primo secolo “come un’immagine delle afflizioni dell’Anticristo”. Quanto ai 144.000 egli spiegò che “questo numero fu adempiuto letteralmente nella salvezza di quelli che si rifugiarono col Signore dal governo dei Romani alla distruzione di Gerusalemme” e “similmente la discendenza spirituale dei santi apostoli sarà salvata” nel futuro, il “non-ancora”, “dall’Anticristo nel mondo intero”.[17]
Dai primi commentatori sul libro di Apocalisse impariamo che essi, come noi, credevano in quello che chiamiamo il principio del “già-non-ancora” nell’interpretazione della profezia biblica, che significa che la profezia spesso presenta un aspetto di adempimento nel presente ed uno alla fine, nell’eschaton.
3. La struttura del libro di Apocalisse contiene “ricapitolazione”
Nel guardare alla struttura del libro di Apocalisse alcuni credono che le visioni sono dispiegate in modo progressivo, che le visioni dei capitoli 4-22 rappresentano una progressione cronologica di quanto accadrà alla fine del mondo, e principalmente durante gli ultimi sette anni della storia del mondo. Un altro approccio, che credo sia più accurato, è che la struttura di Apocalisse sia ricapitolatoria, ovvero che nelle visioni vi è spesso un “ricapitolare”, un ripetere, qualcosa che indica lo stesso evento della fine. Ad esempio, la battaglia della fine è descritta in una grande visione in 16:12-16. Leggetela. Abbiamo ancora un’altra visione in 19:19-21 in cui appare una battaglia finale. Leggetela. Ed ancora un’altra battaglia finale appare in una visione in 20:7-10. Vediamo quindi una guerra finale in tre visioni diverse. Io credo che queste siano tre modi diversi di descrivere una sola battaglia finale, e non tre battaglie, tra Cristo e l’Anticristo e i loro seguaci. Similmente, la Seconda Venuta di Cristo per il Giudizio Finale è descritta in vari modi nella visione in 6:12-17, la visione in 11:15-18, la visione in 16:14-16, quella in 19:11-16, ed ancora in 20:10. Vi sono quattro differenti visioni del Signore che ritorna per il Giudizio Finale. Ma non è che il Signore ritorna quattro volte. Esse indicano tutte il ritorno unico del Signore. La ricapitolazione ci fa capire che le visioni non simbolizzano eventi che devono accadere durante gli ultimi sette anni in ordine cronologico.[18]
Alcuni dei primi interpreti dell’Apocalisse riconobbero che la struttura di Apocalisse contiene ricapitolazione o ripetizione. Ad esempio, il commentatore latino molto antico Vittorino di Pettua (260), commentando sulla relazione delle sette trombe alle sette coppe, scrive: “Non considerate l’ordine di quanto è detto, perché il libro, ispirato dai sette Spiriti, quando ha passato in rivista gli eventi che conducono agli ultimi tempi e alla fine, ritorna di nuovo ai medesimi eventi e completa quanto aveva detto in precedenza più brevemente. Non cercate un ordine temporale nell’Apocalisse, ma guardate al significato interno”.[19]
Similmente Ticonio, circa un secolo dopo, commentò così Ap. 8:1:
“E quando Egli aprì il settimo sigillo vi fu silenzio nel cielo per circa mezz’ora” – nel silenzio di mezzora egli mostra il principio del riposo eterno, perché egli non lo vide tutto ma solo una parte. Questo stesso riposo che doveva vedere poi più pienamente egli non poteva ancora vederlo, così che potesse vederlo più pienamente [dopo, cf. Ap. 21-11].[20]
Commentando sul terremoto di Ap. 11:13, Ticonio vide anche che le visioni erano ricapitolatorie: “E in quell’ora vi fu un grande terremoto (11:13a). Egli conferma quanto ha detto prima, ricapitolando la persecuzione.”[21] Secondo l’analisi di Ticonio che fa David Robinson, per Ticonio “il terremoto richiama il ‘tuono, fulmine, e terremoto’ di Apocalisse 8:5 … il terremoto qui ci ricorda che le narrative ai capitoli 8 e 11 si stanno ricapitolando”.[22] Vediamo un grande terremoto ai capitoli 6, 8 e 11 ma probabilmente essi sono tutti simboli del medesimo evento.
Su Ap. 20:11, proprio prima che Giovanni descriva il giudizio del grande trono bianco, Ticonio dice: “quanto dirà qui ricapitola il medesimo giudizio”.[23] Per Ticonio vi è soltanto un Giudizio Finale che però compare varie volte nel libro di Apocalisse sotto visioni differenti. E questa visione del giudizio del grande trono bianco è un’altra figura del medesimo Giudizio Finale.
Anche il commentario summenzionato attribuito ad Alcuino affermava che la struttura del libro di Apocalisse contiene ricapitolazione:
A volte inizia con l’arrivo del Signore e continua fino alla fine del tempo. A volte inizia con l’arrivo del Signore e prima di finire ritorna al principio e, ripetendo sotto figure differenti sia quello che non ha detto prima che quello che ha già detto, si affretta ad arrivare alla seconda venuta del Signore. A volte inizia con la persecuzione finale. Ma prima di giungere a quella ricapitola e connette entrambe [l’inizio e la fine].[24]
Capire che il libro di Apocalisse contiene “ricapitolazione” è molto utile per intepretare le visioni e per non cadere nell’errore di credere in tre diversi terremoti finali, tre battaglie finali, o quattro Seconde Venute di Cristo e Giudizi Finali. E alcuni dei primi commentatori cristiani di Apocalisse riconobbero la struttura di questo incredibile libro della Scrittura.
4. Come interpretare la prima risurrezione e il regno delle anime con Cristo per “mille anni” in Apocalisse 20
Un quarto spunto dai primi commmentari su Apocalisse riguarda il modo di interpretare la prima risurrezione e il regno delle anime con Cristo per mille anni. Cosa ne facciamo del regno dei santi per mille anni in Ap. 20? Andiamo ad Ap. 20:4. I cristiani hanno dibattuto questo passaggio da sempre. Sarà utile prima di tutto capire che Ap. 20 contiene ricapitolazione, e che si sta parlando delle anime dei martiri che ritornano in vita e regnano con Cristo per mille anni (20:4). Notiamo il parallelo di questo passaggio (20:4) con Ap. 6:9:
“Vidi … le anime di quelli che erano stati uccisi” (6:9)
“E vidi le anime di quelli che erano stati decapitati” (20:4)
“a motivo della parola di Dio e a motivo della testimonianza che avevano dichiarato” (6:9)
“a motivo della testimonianza di Gesù e a motivo della parola di Dio (20:4)[25]
Entrambe le visioni descrivono le anime fuori dal corpo dei credenti deceduti. Il capitolo 20 li descrive regnanti con Cristo. Agostino spiegò:
“E le anime”, dice Giovanni” di quelli che furono uccisi per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio”, capendo quello che dice dopo, “regnarono con Cristo per mille anni” (Ap. 20:4), cioè, le anime dei martiri non ancora ristorate ai loro corpi. Perché le anime dei pii morti non sono separate dalla chiesa, che proprio adesso costituisce il regno di Cristo … quindi mentre questi mille anni corrono, le loro anime regnano con Lui, benché non ancora in ricongiunzione ai loro corpi. E quindi in un’altra parte dello stesso libro leggiamo, “Beati coloro che muoiono nel Signore da ora in poi, sì, dice lo Spirito, che possano riposare dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap. 14:13). La chiesa, quindi, inizia il suo regno con Cristo ora sia in vita che in morte. Perché, come afferma l’apostolo: “Cristo morì così che possa essere Signore dei vivi e dei morti” (Rom. 14:9). Ma egli menzionò le anime dei martiri soltanto, perché essi hanno conteso per la verità fino alla morte, e così regnano in principio anche dopo la morte, ma, prendendo la parte per il tutto, capiamo queste parole come rappresentanti tutti gli altri che appartengono alla chiesa, che è il regno di Cristo.”[26]
Per Agostino il regno di mille anni è il regno delle anime dei credenti che sono morti ma che non hanno ancora ricevuto i loro corpi di risurrezione, che aspettano la loro risurrezione finale, e che dopo di essa regneranno, corpo e anima, con Cristo per sempre. E benché Giovanni menziona soltanto i martiri, essi devono essere considerati come parte che rappresenta il tutto, ovvero come una sineddoche: tutti quelli che sono morti in Cristo tra le Sue due venute.
Un anonimo Manuale sull’Apocalisse (7°-8° sec.) interpreta Ap. 20 in modo simile, dicendo sul verso 5: “La prima risurrezione è dei giusti, quando lasciano il loro corpo e vanno nel riposo”. [27] Similmente Teodolfo, vescovo di Orleans, nel suo commentario su Apocalisse (810) scrisse pressocché la stessa cosa: “Questa prima risurrezione è dei giusti, quando lasciano il loro corpo e vanno nel riposo”.[28]
Alcuni credenti oggi credono che la prima risurrezione è una risurrezione fisica, e che il regno è un regno terreno di mille anni che inizierà dopo il ritorno del Signore. Alcuni padri della chiesa che erano chiliasti credevano in modo simile.
Altri oggi vedono la prima risurrezione come la risurrezione del credente dal peccato alla conversione, come quando Paolo disse: “Se quindi siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose che sono di lassù” (Col. 3:1). Vi erano anche molti cristiani primitivi che espressero quell’interpretazione.
Ma i tre commentatori suddetti, Agostino, il Manuale sull’Apocalisse, e Teodolfo, videro che la prima risurrezione era quelle dell’anima che lascia il corpo alla morte, e che vive e regna con Cristo nello stato intermedio tra la morte e la risurrezione finale dei corpi. Il regno dei mille anni, essi credevano, era il regno delle anime in cielo con Cristo prima che Egli ritorni. Poi, quando Cristo ritorna, accompagnato dalla risurrezione generale, le anime di tutti i morti saranno riunite ai loro corpi. Essi staranno dinanzi a Cristo nel Giudizio Finale, in corpo ed anima. Gli ingiusti verranno mandati a dannazione eterna all’inferno, col diavolo ed i suoi angeli. Ma i giusti regneranno con Cristo in paradiso per sempre.
Finora abbiamo visto in che modo i commentari primitivi su Apocalisse comprendevano il libro della vita, il principio del già-non-ancora, il concetto di ricapitolazione, e come alcuni padri della chiesa interpretavano il regno millenario, ovvero non come un regno terreno, ma un regno celeste dei santi con Cristo tra la Sua prima e seconda venuta. Diamo ora infine uno sguardo alla questione del “fiorire dell’albero di fico” e se questo si riferisce alla formazione dello stato politico di Israele nel 1948.
5. Se “il fiorire dell’albero di fico” menzionato in Matteo e Luca si riferisce alla formazione dello Stato politico di Israele nel 1948
Molti dispensazionalisti hanno espresso l’opinione che la formazione della nazione di Israele nel 1948 fu un adempimento della profezia biblica del “fiorire dell’albero di fico” menzionata in Mat. 24:32-33: “Ora imparate la parabola del fico: quando i suoi rami sono già teneri, e mettono foglie, sapere che l’estate è vicina, così anche voi, quando vedete tutte queste cose, riconoscete che Egli è vicino, proprio alle porte”. La retorica dispensazionalista dice che dopo quasi diciannove secoli di dispersione dalla loro terra gli ebrei furono miracolosamente riportati da Dio nella loro terra. Questo, essi affermano, è stato uno degli adempimenti profetici più significativi della storia, ed è un segno che Gesù sta per ritornare entro una generazione da quell’evento.
Hal Lindsey ha affermato questo nel suo libro The Late Great Planet Earth (1970) che ha venduto varie decine di milioni di copie[29] ed è stato tra i 100 libri cristiani più influenti del ventesimo secolo:[30] Egli scrisse, “la figura retorica dell’albero di fico è stata un simbolo storico della nazione di Israele. Quando li popolo ebraico, dopo quasi 2000 anni di esilio, sotto una persecuzione inarrestabile, divenne di nuovo una nazione politica il 14 Maggio 1948, l’albero di fico mise di nuovo le sue foglie”.[31]
Harold Camping, noto per aver predetto la data del rapimento della chiesa nel 1994, nel Maggio 2011 e nell’Ottobre 2011, ha pubblicato un libro intero sull’argomento dell’albero di fico. Egli seguì la stessa linea di interpretazione affermata sopra nel libro di Hal lindsey:
Nel 1948 Israele è di nuovo nazione tra le nazioni del mondo. E’ un evento senza precedenti nella storia del mondo. Mai una nazione è stata cacciata dalla sua terra nativa, dispersa tra le nazioni, per poi ritornare nella sua terra quasi 2000 anni dopo come una nazione intatta. Ma è proprio questo evento meraviglioso che è accaduto ad Israele. E’ il bellissimo adempimento della promessa fatta nella parabola del fico registrata in Luca 13:6-9.[32]
Più recentemente l’insegnante Grant Jeffrey ha detto a riguardo: “per molti anni i critici degli insegnanti profetici moderni hanno negato che il passaggio profetico del messaggio di Cristo in Matteo 24 sull’albero di fico si riferisse alla nazione di Israele”. Per dimostrare che i critici hanno errato e la parabola del fico si riferisce a quell’evento storico, Jeffrey risponde che “vi è una chiara ed inequivocabile evidenza dagli insegnamenti della chiesa primitiva” a questo riguardo. Egli cita una sezione dal documento cristiano primitivo L’Apocalisse di Pietro. Egli conclude che un’affermazione in esso “sulla parabola del fico dai primi giorni della chiesa apostolica fornisce un’evidenza schiacciante che i credenti che vissero vicino agli apostoli compresero le parole di Cristo in Matteo 24:30 come una predizione della rinascita di Israele negli ultimi giorni”.[33]
Valutiamo quindi quello che scrissero alcuni cristiani primitivi sulla parabola del fico e la nascita della nazione di Israele negli ultimi giorni, e vediamo se i loro pensieri corrispondono alle vedute dei dispensazionalisti affermate sopra.
Richard Bauckam, in un articolo sulla parabola del fico per come spiegata nell’Apocalisse di Pietro, cita le vedute di vari scrittori cristiani primitivi sul fiorire del fico, e afferma che queste vedute erano molto diverse da quelle dei dispensazionalisti citati sopra. Egli riassume così:
Ippolito capisce il fico come il mondo, i rami e le foglie come i segni miracolosi dati dall’Anticristo, che presto passano via, e l’estate in cui i frutti sono raccolti come la fine del mondo. Tertulliano comprende i boccioli che precedono l’estate come una rappresentazione dei conflitti nel mondo che precederanno la venuta del regno.[34]
Niente sul ritorno di Israele in Palestina! Curt Daniel ha scritto un saggio sul concetto dell’Anticristo nella chiesa primitiva in cui menziona che Narsete di Armenia ed Ambrogio di Milano (m. 397) sostennero che “l’albero di fico di cui si parla in Mat. 24:32 è l’Anticristo.”[35] Tommaso d’Aquino nella sua Catena Aurea, un commentario sui quattro vangeli basato su opere dei padri della chiesa, citò Ilario (di Poitiers?) su Mat. 24:32: “La Sinagoga è paragonata all’albero di fico, il suo ramo è l’Anticristo, il figlio del Diavolo”.[36] In altre parole, il fiorire dell’albero di fico simbolizza la venuta dell’Anticristo prima del ritorno di Cristo.
Le seguenti citazioni da alcuni padri della chiesa dimostreranno altresì che molti dei primi cristiani non soltanto non credevano che Dio, in adempimento di una promessa ad Israele, avrebbe riportato gli ebrei nella terra, ma sostennero l’esatto opposto: che il ritorno del popolo ebraico in Palestina non sarebbe stata l’opera di Dio ma dell’Anticristo nel suo ruolo di ingannatore delle nazioni negli ultimi tempi, e specialmente di ingannatore del popolo ebraico stesso!
Ad esempio, Ippolito di Roma (m. 235) scrisse sull’Anticristo nel suo Commentario su Daniele:
Egli, essendo innalzato sopra ogni re ed ogni dio, costruirà la città di Gerusalemme e risolleverà il Tempio convertito, ristorerà tutta la terra e i suoi confini ai Giudei, e avendo chiamato il loro popolo dalla schiavitù delle nazioni, mostrerà se stesso come loro re, e, vedendo questo, tutti gli infedeli lo adoreranno come dio e piegheranno il ginocchio a lui, considerandolo essere il Cristo [il Messia]…[37]
A. J. Visser, in un articolo di giornale sull’escatologia cristiana antica, riassume la veduta di Ippolito, dicendo che uno dei crimini dell’Anticristo “sarà il riportare gli ebrei infedeli in Palestina: l’Anticristo è un sionista secondo Ippolito”.[38]
Un altro scritto cristiano primitivo, intitolato “Sulla Fine del mondo”, che fu pensato provenire dalla penna di Ippolito ma che ora è tra i suoi scritti spuri, espresse un’opinione simile: “E col piccolo corno è significato nientedimeno che l’Anticristo che deve ristorare il regno degli ebrei”. Ed ancora: “Cristo radunò le sue pecore disperse, e lui [l’Anticristo] in simil maniera radunerà il popolo disperso degli ebrei”.[39] Di nuovo, secondo questi scritti cristiani primitivi non è Dio che riporta gli ebrei nella terra in Medioriente ma l’Anticristo.
Agostino (m. 430) nel suo commentario sui Salmi, afferma su Salmo 106:47, Liberaci o Signore nostro Dio, e radunaci dalle nazioni, l’antica credenza che sarà non il Signore, ma l’Anticristo che ristorerà un regno terreno agli ebrei:
Ma quando i Giudei suppongono che la profezia si adempie nel loro regno visibile, perché non sanno gioire nella speranza di cose non viste, essi stanno per cadere nelle trame di colui del quale il Signore dice “Son venuto nel nome di mio Padre, e non mi ricevete, se verrà un altro nel suo proprio nome lui lo riceverete” [Gv. 5:43]. Del quale l’apostolo Giovanni dice: “quell’uomo di peccato sarà rivelato, il figlio della perdizione” [II Tess. 2:3] etc. E poco dopo afferma: “Allora sarà rivelato quell’empio, che il Signore consumerà con lo Spirito della Sua bocca, e che distruggerà con l’apparizione della Sua venuta” [II Tess. 2:8], etc. Mi pare giusto dire che attraverso quell’Apostata, che esalta se stesso al di sopra di quanto è chiamato Dio o che è adorato come Dio, il popolo carnale di Israele supporrà che sarà adempiuta la profezia che dice ‘liberaci o Signore e radunaci da mezzo alle nazioni’… Essi crederanno una menzogna perché non hanno ricevuto l’amore della verità e così amato benedizioni spirituali e non carnali … “Liberaci, o Signore nostro Dio, e radunaci da mezzo alle nazioni”: non come immaginano i Giudei, adempiuta nell’Anticristo, ma attraverso il nostro Signore Cristo che viene nel nome di Suo Padre.[40]
Agostino legge il Salmo come una Scrittura cristiana. Egli credeva, come l’autore dell’Epistola agli Ebrei, che la promessa della terra per gli Ebrei era un tipo veterotestamentario che indicava una realtà spirituale adempiuta in Cristo, una Gerusalemme celeste (Cf. Ebr. 11:10; 12:22-23).
L’idea patristica diffusa che il ritorno degli ebrei in Palestina sarebbe stata l’opera dell’Anticristo e non di Cristo continuò anche nel Medioevo. L’Apocalisse di Daniele, in lingua copta (1197), affermò che “il re il cui nome compone il numero 666 … ordinerà a tutti i Giudei in ogni luogo di radunarsi a Gerusalemme”.[41] E Pietro di Giovanni Olivi, un leader dei Francescani Spirituali, in una lettura sull’Apocalisse, insegnò che “l’Anticristo chiamerà tutti i Giudei nella città terrestre di Gerusalemme, predicando se stesso come Messia e Salvatore dei Giudei”.[42]
Alcuni dispensazionalisti odierni credono che la formazione della nazione politica di Israele nel 1948 è un adempimento dello sbocciare dell’albero di fico, ma questa è una interpretazione molto dubbia. Allen Beechick ha confutato questa interpretazione, scrivendo che se si prende una concordanza biblica e si contano i riferimenti a questa figura “si scoprirebbe che l’albero di fico rappresenta Israele soltanto un decimo delle volte che viene usato nella Bibbia. Inoltre, perfino i pochi versi dove l’albero di fico rappresenta la nazione non supportano mai l’idea che le foglie rappresentino il divenire una nazione”.[43] James Mkeever ha realizzato uno studio approfondito sulla parabola del fico e ha concluso: “Devo dire che l’affermazione di molti che Israele è sempre rappresentato dal fico è semplicemente falsa” Un’altra conclusione a cui egli arriva è che “la menzione del fico non ha assolutamente niente a che fare con il riformarsi della nazione ebraica”. Uno dei suoi argomenti è basato su un paragone tra Matteo e Luca. Il Vangelo di Luca mostra che Gesù insegnò “Guardate il fico e tutti gli alberi” (Lc. 21:29). McKeever spiega:
Al verso 29 vediamo che quando l’albero e tutti gli altri alberi mettono le foglie, sappiamo che l’estate è vicina. Dunque è ovvio da questa illustrazione che ciò non ha niente a che fare con il ristabilimento della nazione giudaica. Gesù sta semplicemente prendendo un’illustrazione dalla natura, parlando di tutti gli alberi che mettono le loro foglie, e usa questo esempio come un segnale della vicinanza dell’estate. Se il fico rappresentasse Israele nel 1948 allora cosa rappresentano tutti gli altri alberi? La risposta è che essi non rappresentano nient’altro che alberi, e così dunque anche il fico.[44]
Perfino alcuni dispensazionalisti (e.g. Thomas Ice e Timothy Demy) non credono che il fiorire del fico indichi la riformazione di Israele nel 1948.[45] Ma vi sono alcuni che non soltanto continuano ad affermare questo a riguardo di questa parabola, ma che altresì affermano che la storia cristiana primitiva supporta la loro interpretazione di questa parabola. Abbiamo mostrato, tuttavia, che molti scrittori cristiani primitivi credevano quasi l’esatto opposto: l’Anticristo e non Dio avrebbe radunato i Giudei dalle nazioni e li avrebbe riportati nella terra negli ultimi giorni come parte del suo tentativo di ingannarli a credere che lui è il loro Messia. Tra essi Ippolito, un’opera attribuita a lui, Narsete di Armenia, Ambrogio, Ilario ed Agostino.
Conclusione
I commentari su Apocalisse dalla chiesa primitiva possono essere molto utili nel cercare di interpretare questo difficile libro del Nuovo Testamento. In essi vediamo come molti cristiani primitivi interpretarono il libro della vita, comprendendolo come un riferimento alla predestinazione a salvezza degli eletti.
Abbiamo visto anche il principio del “già-non-ancora” nell’interpretare la profezia biblica, ovvero che spesso una profezia ha un adempimento nell’immediato che incoraggia la generazione che la riceve per prima e che questo adempimento immediato agisce anche come un tipo di un adempimento ultimo alla fine dei tempi.
Abbiamo anche visto che i primissimi commentari latini sull’Apocalisse, di Vittorino e Ticonio, riconobbero che la struttura del libro contiene ricapitolazione, ovvero, le profezie del libro non sono in progressione cronologica, ma ci danno degli scorci del medesimo evento profetico enfatizzando diversi punti di vista o diverse ombre e dettagli. La battaglia finale tra l’Anticristo e il Cristo è vista sotto tre visioni diverse. La Seconda Venuta col Giudizio Finale che l’accompagna è vista sotto almeno quattro diverse visioni. Tutte però significano l’unica battaglia finale e l’unica Seconda Venuta di Cristo.
I padri della chiesa ci aiutano anche a capire la prima risurrezione ed il regno dei santi per mille anni in Ap. 20:4-5. Alcuni sostenero, penso correttamente, che il regno è quello delle anime dei morti in Cristo, che regnano ora insieme a Cristo nello stato intermedio tra la Sua prima e seconda venuta.
Ed infine, molto rilevante all’immaginazione profetica popolare di alcuni dei nostri fratelli e sorelle in Cristo dispensazionalisti è il modo in cui molti scrittori cristiani primitivi intepretarono “il fiorire dell’albero di fico”. Se è vero che l’Apocalisse di Pietro afferma che si riferisce ad Israele, molti altri capirono questa parabola diversamente. Essi non credevano che sarebbe stato Dio a ristorare i Giudei nella loro terra, ma che l’Anticristo li avrebbe riportati in Palestina per cercare di ingannarli a credere che lui è il loro Messia proprio perché ha adempiuto la promessa della terra in maniera carnale, contrariamente al modo in cui Cristo l’ha adempiuta ed ha insegnato ai Suoi apostoli nell’Epistola agli Ebrei.
Traduzione dall'articolo originale, con permesso dell'autore, di F. De Lucia
Note
[1] Gerolamo, Lettera 53.9. NPNF, Serie 2, 6:102.
[2] Agostino, La città di Dio, 20.17. Cit. in Dennis Eugene Engleman, A Rumor of War. Christ’s Millennial Reign and the Rapture of His Church (Salisbury, MA: Regina Orthodox Press, 2001), 256.
[3] Spurgeon cit. in Ian Murray, The Puritan Hope: A Study in Revival and the Interpretation of Prophecy (London: Banner of Truth Trust, 1971), 262. Murray cita la fonte come Volume 45, p. 402, delle opere di Spurgeon.
[4] Kenneth L. Gentry, Jr., The Beast of Revelation, Rev. ed. (Powder Springs, GA: American Vision, 2002), 3.
[5] Pseudo-Alcuino, Commentariorum in Apocalypsin libri quinque [Cinque libri di commentari su Apocalisse]. Su Ap. 3:5. PL 100:1110: Magna nobis hoc loco oritur quaestio.
[6] Pseudo-Alcuino, Commentariorum. PL 100:1110-1: Restat itaque ut secundum usitateam sacrae Scripturae locutionem intelligamus reproborum nomina de libro vitae deleri…Liber autem iste est vis quaedam divina, quae electorum numerum certum ac definitum ante saecula praedestinavit in gloria futurum.
[7] Richard Rolle, Biblical Commentaries. Robert Boenig, trAD. (Salzburg, Austria: Institut für Anglistik und Amerikanistik, 1984), 170.
[8] Latino, jus divinitas.
[9] Aimone di Auxerre, Expositio in Apocalypsin [Esposizione dell’Apocalisse], Libro 6. Su Ap. 17:8. PL 117:1146.
[10] Agostino, La città di Dio, 20.15. Marcus Dods, trad. (New York: Random House, 1950), 734-5.
[11] Ambrogio Autperto, Expositio in Apocalypsin. Su Ap. 20:15. CCCM 27A:774-5.
[12] Keith Innes, “Towards an Ecological Eschatology: Continuity and Discontinuity,” Evangelical Quarterly 81:2 (2009):126-44; Gary D. Long, Context: Evangelical Views on the Millennium Examined (Charleston, S.C.: Global Book Publisher, 2001), 244-6; Anthony A. Hoekema, The Bible and the Future (Grand Rapids, MI: Eerdmans, 1979), esp. Chapter 6: “The Tension between the Already and Not Yet.”
[13] Ticonio di Cartagine, Commentary on the Apocalypse, Turin fragment, 378-82. Trad. in David Charles Robinson, “The Mystic Rules of Scripture: Tyconius of Carthage’s Keys and Windows to the Apocalypse,” (dissertazione, University of St. Michael’s College in Toronto, 2010), 206, con leggeri modifiche fatte da me.
[14] Andrea di Cesarea, Apocalypse Commentary. Su Ap. 7:1. In Eugenia Scarvelis Constantinou, “Andrew of Caesarea and the Apocalypse in the Ancient Church of the East,” Part 2: Trad. de Apocalypse Commentary of Andrew of Caesarea (diss. Université Laval in Quebec, 2008), 84-5.
[15] Andrea di Cesarea, Apocalypse Commentary. Su Ap. 7:8c. Constantinou, 90.
[16] Nerses di Lambron, Commentary on the Revelation of Saint John. Robert W. Thomson, trad. (Leuven: Peeters, 2007), 86.
[17] Nerses di Lambron, Commentary on the Revelation of Saint John. Thomson, 88-9.
[18] Sulla ricapitolazione nel libro di Apocalisse vedi R. Fowler White, “The Recapitulation of Revelation 19 and 20,” Westminster Theological Journal 51:2 (Fall 1989):319-44; Charles Homer Giblin, “Recapitulation and the Literary Coherence of John’s Apocalypse,” Catholic Biblical Quarterly 56 (1994):81-95; Aaron Goerner, “The Structure of Revelation,” in Jonathan M. Watt, ed., Pro Gloria Christi: A Festschrift in Honor of Edward A. Robson (Beaver Falls, PA: Reformed Presbyterian Theological Seminary, 2005), 161-93.
[19] Vittorino di Pettua, Commentary on the Apocalypse. Su Ap. 8:2. Cit. in Bernard McGinn, “Turning Points in Early Christian Apocalypse Exegesis,” in Robert J. Daly, Apocalyptic Thought in Early Christianity (Grand Rapids, MI: Baker Academic, 2009), 81-105 a 102.
[20] Ticonio, Commentary on the Apocalypse. Turin fragment, 128-30 on Rev 8:1-2. Robinson, 165.
[21] Ticonio, Commentary on the Apocalypse, Turin fragment, 406-7. Robinson, 210.
[22] Robinson, “Mystic Rules,” 211-2.
[23] Ticonio, Commentary of the Apocalypse. Su Ap. 20:11. CCSL 107A:221.
[24] Il commentario attribuito ad Alcuino cit. in Barbara Nolan, The Gothic Visionary Perspective (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1977), 7. Cf. PL 100:1089.
[25] Gary D. Long (Context, 40) mi ha fatto notare questo parallelismo.
[26] Agostino, La città di Dio, 20.0. Dods, 726-7.
[27] Anonimo, Manuale sull’Apocalisse. Su Ap. 20:5. CCSL 107:225. RESURRECTIO PRIMA iustorum est, quando exeunt de corpore et vadunt ad requiem.
[28] Teodolfo di Orleans, Exposition of the Apocalypse of John. Su Ap. 20:5. CCSL 107:334. Haec resurrectio prima iustorum est, quando exeunt de corpore et vadunt ad requiem.
[29] Gary DeMar, End Times Fiction: A Biblical Consideration of Left Behind Theology (Nashville: Nelson, 2001), xii.
[30] William J. Petersen and Randy Petersen, 100 Christian Books That Changed the Century (Grand Rapids, MI: Fleming H. Revell, 2000), 165-6.
[31] Hal Lindsey, The Late Great Planet Earth (Grand Rapids, MI: Zondervan, 1970), 55. Cit. in Barbara R. Rossing, The Rapture Exposed. The Message of Hope in the Book of Revelation (Boulder, CO: Westview Press, 2004), 50.
[32] Harold Camping, The Fig Tree: An Analysis of the Future of National Israel (Oakland, CA: Family Stations, Inc., 1983), 253.
[33] Grant R. Jeffrey, Triumphant Return. The Coming Kingdom of God (Toronto: Frontier Research Publications, Inc., 2001), 69-71.
[34] Richard Bauckham, “The Two Fig Tree Parables in the Apocalypse of Peter,” Journal of Biblical Literature 104:2 (1985):269-87 at 279.
[35] Curt D. Daniel, “The Concept of Antichrist in Pre-Gregorian Literature,” saggio non pubblicato presentato al Dr. Geoffrey W. Bromily (May 1975), 40. Dr. Daniel è il pastore della Reformed Bible Church in Springfield, Illinois.
[36] Catena Aurea. Commentary on the Four Gospels Collected out of the Works of the Fathers by St. Thomas Aquinas, Vol. 1. St. Matthew. John Henry Cardinal Newman, trad. (London: Saint Austin Press, 1999), 829.
[37] Ippoliti di Roma. Commentary on Daniel, 4.49, 5. Thomas Schmidt, trad. (Charleston, SC: T.C. Schmidt, 2010) Disponibile online at
[38] A. J. Visser, “A Bird’s Eye View of Ancient Christian Eschatology,” Numen 14 (1967):4-22 at 14.
[39] Pseudo-Ippolito, On the End of the World. ANF 5:246, 247.
[40] Agostino, Sul libro dei Salmi. Sul Sal. 106. NPNF, Serie 1, 8:532.
[41] Apocalisse di Daniele coptica, 23. Disponibile in inglese @ http://www.ccel.org, e visionata il 23.09.10, tradotta nell’Aprile 2009 da Roger Pearse of Ipswichdalla traduzione francese di Frédéric Macler in “The Coptic Apocalypse of Daniel,” Revue de l’histoire des religions 33 (1896):165-76.
[42] Pietro di Giovanni Olivi, Lectura super Apocalypsim. Warren Lewis, ed. (dissertation, Tübingen, 1972), 604. Mia traduzione di: antichristus convocabit Iudeos in Ierusalem civitatem terrenam tanquam messiam et salvatorem se predicans Iudeorum…
[43] Allen Beechick, The Pre-Tribulation Rapture (Denver: Accent Books, 1981), 235.
[44] James McKeever, The Rapture Book. Victory in the End Times (Medford, OR: Omega Publications, 1987), 160, 162, 164-5.
[45] Thomas Ice and Timothy J. Demy, Fast Facts on Bible Prophecy from A to Z (Eugene, OR: Harvest House, 1997), 80-1.