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“Tutto Israele sarà salvato”: Israele in Romani 11

 

A. Blake White

 

 

Romani 11 viene spesso letto con presupposti errati e viene maneggiato come se chiudesse ogni conversazione sull’argomento chiesa/Israele. Non si possono contare le volte che mi è stato detto: “Ma Romani 11 insegna una futura ristorazione della nazione di Israele.” Come se meramente asserire questo, senza doverlo dimostrare, è tutto quello che c’è da dire e punto. Per un capitolo così denso e su cui vi è così tanto disaccordo da parte degli esegeti, non dico di avere la veduta giusta, ma spero di mostrare che vi è un modo di capire questo capitolo che corrisponde nel modo migliore all’ermeneutica che il capitolo e il contesto stesso ci mostrano.[1]

 

Vi è una domanda principale che guida il discorso di Paolo in questo capitolo: “Ha Dio completamente rigettato Israele?” Ecco come egli inizia: “Io chiedo, quindi, ha Dio rigettato il suo popolo” (Rom. 11, 1)? Per capirne l’importo, potremmo parafrasare così: “Ha Dio completamente rigettato il suo popolo?” Per farci restare sul binario giusto, ripete al verso 11: “Allora io chiedo, hanno inciampiato così che cadessero?” Di nuovo, ciò significa: “Così da cadere totalmente?” La sua risposta alla domanda in questione è la medesima: no affatto!

 

Ma la domanda è legittima, e molti in quel tempo la stavano facendo. Paolo stesso nel verso precedente dice che tutto il giorno Dio aveva allungato le sue “mani verso un popolo disubbidiente e contrario” (Rom. 10, 21). In I Tessalonicesi 2, 16 leggiamo che l’ira Dio era giunta sui Giudei alla fine (eis telos). Gesù aveva detto ai Giudei, “il Regno di Dio sarà tolto da voi e dato ad un popolo che ne produrrà il suo frutto” (Mat. 21, 43). Nel suo rimprovero ai leader giudaici, Gesù disse: “Riempite, quindi, la misura dei vostri padri” (Mt. 23, 32; cf. Gen. 15, 16) e, “su di voi venga tutto il giusto sangue sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele, al sangue di Zaccaria il figlio di Barachia, che voi assassinaste tra il santuario e l’altare” (Mt. 23, 35). “O Gerusalemme, Gerusalemme, la città che uccide i profeti e lapida quelli che le sono mandati! Quanto spesso ho voluto radunare i tuoi figli insieme come una gallina raccoglie i suoi piccini sotto le sue ali, e voi non avete voluto” (Mat. 23, 37)!

 

Il pagano Pilato (e la sua compagna) esitava a crocifiggere Gesù e diede ai Giudei una chance di cambiare idea. Pilato avrebbe rilasciato Gesù e crocifisso Barabba se fossero stati d’accordo. Ma i leader dissero al popolo ebreo di “distruggere Gesù” (Mt. 27, 20). Essi “tutti” dissero: “Che sia crocifisso” (Mt. 27, 23)! Pilato letteralmente se ne lava le mani e dice che è loro e non sua responsabilità. Incredibilmente, “tutto il popolo (pas ho laos) rispose, ‘il suo sangue sia su di noi e sui nostri figli’” (Mt. 27, 25)! Giovanni riporta che i Giudei, minacciando Pilato, dissero che se non lo avesse messo a morte, non era amico di Cesare. Pilato chiese loro “Crocifiggerò io il vostro re?” 

 

Incredibilmente, essi rispondono, “Noi non abbiamo altro re se non Cesare” (Gv. 19, 15). I Giudei che chiamano Cesare il loro unico re? Agghiacciante. Dopo che i Giudei accusarono Paolo e insultarono il suo messaggio, egli disse, “Il vostro sangue sia sulle vostre teste” (At. 18, 6)! Luca chiuse il suo secondo volume mostrandoci Paolo che dice ai Giudei che i loro cuori erano duri ed ora “questa salvezza di Dio è stata inviata ai Gentili, essi ascolteranno” (At. 28, 28). Dunque: chiedere se Dio ha totalmente finito di avere a che fare con i Giudei o meno è una domanda legittima. In Romani 11 Paolo mostra in che modo la salvezza è ancora disponibile a qualsiasi Giudeo che confida in Cristo. Essi, e chiunque altro confidi in Cristo, può essere e sarà salvato. 

 

Un altro fatto spesso trascurato è l’abbondanza di indicazioni temporali nel capitolo. Gli interpreti spesso presumono che Romani 11 riguarda il futuro ma Paolo chiarisce ripetutamente che a lui interessa il presente. Il focus è sul primo secolo, non l’ultimo:

 

  • “Ha Dio rigettato il suo popolo? No affatto! Perché io stesso sono un israelita” (Rom. 11, 1). Paolo nel primo secolo è prova corrente che Dio non ha totalmente rigettato Israele. 

  • “Così anche al presente vi è un residuo” (Rom. 11, 5, italiche mie). 

  • “Ora io sto parlando a voi Gentili” (Rom. 11, 13, italiche mie).

  • “Io magnifico il mio ministero (Romani 11, 13, italiche mie). Egli è focalizzato sul suo ministero nel primo secolo. 

  • “Perché proprio come foste un tempo disubbidienti a Dio ma ora avete ricevuto misericordia a motivo della loro disubbidienza” (Rom. 11, 30). Ora, nel primo secolo. 

  • “Così essi sono stati ora disubbidienti” (Rom. 11, 31, italiche mie). 

  • “Per la misericordia mostrata a voi possano anch'essi ora ricevere misericordia” (Rom. 11, 31). 

 

E’ dunque chiaro che questo capitolo sta parlando del presente di Paolo e non del suo futuro. 

 

In Romani 9-11 Paolo spiega che la reiezione di Israele del loro Messia non è un fallimento da parte di Dio. Egli non aveva infatti mai promesso di salvare ogni israelita, ma soltanto gli eletti. Vi è un Israele all’interno di Israele. “Non tutti i discendenti da Israele appartengono ad Israele” (Rom. 9, 6). Vi sono figli della promessa e figli della carne all’interno della discendenza fisica stessa di Abraamo (Rom. 9, 6-13). Dio non “ha rigettato il suo popolo che ha preconosciuto” (Rom. 11, 2). Parte di Israele è stata indurita, ma non tutti! “Cosa allora? Israele non ha ottenuto quanto stava cercando. Gli eletti l’hanno ottenuto, ma il resto è stato indurito” (Rom. 11, 7). 

 

Il punto di Romani 11 è che la caduta di Israele non è totale: anzi, attraverso il loro peccato la salvezza è giunta ai Gentili per rendere Israele geloso e “alcuni” di loro saranno salvati (Rom. 11, 14). Alcuni Giudei, non tutti. Così che non diventino arroganti, Paolo avverte i Gentili: essi sono rami d’ulivo selvatici innestati nell’albero ed ora prendono parte alla radice vitale dell’albero. Questa parola “prendono parte” o “condividono” (sygkoinōnos) è simile in forma alle parole Paolo usa quando parla della stessa realtà in Efesini 3, 6: “I Gentili sono coeredi (sygklēronoma), membri dello stesso corpo (syssōma), e partecipi (symmetocha) della promessa in Cristo Gesù attraverso il vangelo”. Ognuna di queste parole comincia con syn, che significa “insieme con”. I Gentili sono “insieme con” Israele nella radice, nell’eredità, nel corpo, e nella promessa. In altre parole, come i profeti profetizzarono, i Gentili sono stati innestati in Israele. 

 

Ed ora giungiamo al passaggio controverso, Romani 11, 25-27:

 

“Così che non siate saggi da voi stessi, non voglio che siate ignoranti di questo mistero, fratelli: un indurimento parziale è giunto su Israele, finché la pienezza dei Gentili sia entrata. Ed in questo modo tutto Israele sarà salvato, come è scritto: ‘il liberatore verrà da Sion, egli abolirà l’empietà da Giacobbe’, ‘e questo sarà il mio patto con loro quando tolgo via i loro peccati’”. 

 

Paolo non vuole che il suo pubblico fraintenda questo. Un indurimento parziale è giunto su Israele. Molti interpreti leggono erroneamente questo indurimento in senso temporale piuttosto che quantitivo. Il testo originale, letteralmente dice, “un indurimento da parte in Israele” (pōrōsis apo merous tō̧ Israēl). Parte di Israele è stata indurita “finché (arxi) la pienezza dei Gentili sia giunta”.[2] Con “finché” Paolo sta dicendo che questo sarà lo stato di cose per tutta l’era presente. Egli usa la medesima parola quando parla del Pasto del Signore, quando dice che proclamiamo la morte del Signore “finché” egli venga (I Cor. 11, 26). Più tardi dice che Gesù deve regnare “finché” abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi (I Cor. 15, 25). Questo indurimento di una porzione di Israele durerà tutta questa era presente finché il suo goal è raggiunto alla fine della storia.[3]

 

La pienezza dei Gentili si riferisce al pieno numero degli eletti Gentili nella storia.[4] A questo punto nella storia della salvezza la maggioranza dei Giudei era stata indurita ma non tutti. Gli eletti hanno ottenuto la salvezza ma il resto era indurito (Rom. 11, 7). “Alcuni” saranno salvati come stanno essendo salvati i Gentili (Rom. 11, 14). “Ed in questo modo tutto Israele sarà salvato”. Di nuovo, molti interpreti intendono “in questo modo” come temporale, leggendolo così: “Gentili saranno salvati e allora tutto Israele sarà salvato”. Ma non è questo il significato della parola greca houtōs , né qui né altrove! Paolo sta qui spiegando la maniera in cui tutto Israele sarà salvato. Egli ha indurito parte di Israele, sta così salvando i Gentili, e questo sta poi facendo sì che alcuni Giudei divengano gelosi e siano così salvati: e così, in questo modo, tutto Israele sarà salvato. Chi è questo “tutto Israele” lo spiegheremo a seguire. 

 

Poi Paolo fornisce un importante background dall’Antico Testamento per quello che sta dicendo: “‘il liberatore verrà da Sion, egli abolirà l’empietà da Giacobbe’, ‘e questo sarà il mio patto con loro quando tolgo via i loro peccati’”. Qui Paolo sta combinando varie promesse dall’Antico Testamento. Capire correttamente questi versi è cruciale, perché 11, 26b spiega 11, 26a. In altre parole, impariamo cosa significhi “tutto Israele sarà salvato” imparando cosa significano le promesse dell’Antico Testamento. Il passaggio principale da cui Paolo attinge non ci dovrebbe sorprendere a questo punto, è Isaia 59, dove Dio promette di riscattare il suo popolo, regnare come re, e dimorare col suo popolo. Subito dopo il verso che Paolo cita, il SIGNORE parla di questo patto futuro dove Dio farà un’opera interiore che Geremia ed Ezechiele altresì menzionano (Is. 59, 21). Isaia 59 è una promessa del “nuovo patto”. Questo è quanto Gesù venne a realizzare alla sua prima venuta

 

E’ interessante che Isaia 59, 20 dice: “un liberatore verrà a Sion”, ma Paolo dice, il liberatore “verrà da Sion (ek Zion)”. Un errore di penna? No, lo Spirito lo sta muovendo. “Da Sion” significa due cose: primo, sta citando un passaggio che è futuro dalla prospettiva di Isaia ma passato dalla sua. Il Messia venne da Sion, ed è il Messia di Israele, da Sion, per il mondo. Secondo, “da Sion” allude a due altre profezie: Salmo 14, 7, che parla della futura ristorazione di Israele, e che dice: “Oh, che la salvezza per Israele venga da Sion (ek Zion)! Quando il SIGNORE ristora le fortune del suo popolo, che Giacobbe gioisca, che Israele sia contento”. L’altra profezia è dalla visione precedente di Isaia dove egli descrive in forma poetica come sarà il mondo quando Dio ristora Israele. Isaia 2 è una visione degli ultimi giorni dove la montagna del Signore sarà la più alta, le nazioni vi affluiranno, “perché da Sion (ek gar Zion) procederà la legge” (Is. 2, 2-3; cf. Mic. 4, 2). Piuttosto che cercare l’istruzione del Signore (la Torah) che viene da Sion, l’Apostolo vede l’adempimento di questa visione nel Re, il liberatore, che viene da Sion perché Cristo è “il fine [termine, culmine] della legge” (Rom. 10, 4). 

 

Un altro passaggio che Paolo include in Romani 11, 26-27 è Isaia 27, 9.[5] Isaia 27 parla della liberazione di Israele. Dio promette che “nei giorni a venire Giacobbe metterà radice, Israele fiorirà e metterà rami e riempirà il mondo intero di frutto” e “la colpa di Giacobbe sarà espiata” e il frutto di questa espiazione sarà la rimozione degli idoli (Is. 27, 6, 9). Poi parla dei Gentili inclusi in Israele: “quelli che erano perduti nella terra d’Assiria e quelli che erano scacciati dalla terra d’Egitto verranno ed adoreranno il SIGNORE sul santo monte a Gerusalemme” (Is. 27, 13). 

 

L’ultimo passaggio a cui si allude qui in Romani 11, 26 è Geremia 31 e la promessa del nuovo patto. Quando un ebreo sentiva linguaggio che parlava di “togliere il peccato” e “patto” avrebbe immediatamente pensato alla grande promessa di Geremia:

 

Ecco, i giorni vengono», dice il SIGNORE, «in cui io farò un nuovo patto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che feci con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese d'Egitto: patto che essi violarono, sebbene io fossi loro signore», dice il SIGNORE; «ma questo è il patto che farò con la casa d'Israele, dopo quei giorni», dice il SIGNORE: «io metterò la mia legge nell'intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo. Nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: "Conoscete il SIGNORE!", poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande», dice il SIGNORE. «Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato» (Geremia 31, 31-34). 

 

Di nuovo, questo passaggio trova adempimento nella prima venuta di Gesù. Questo è quanto la chiesa celebra ogni volta che celebra la Cena del Signore. Il Liberatore è giunto ed ha perdonato i nostri peccati. Molti interpreti assumono che questi versi parlano del futuro, ma dovrebbe esser chiaro dall’AT che questo verso sul liberatore a venire si riferisce non alla seconda venuta, ma alla prima venuta di Gesù. Questi sono tutti passaggi che parlano del nuovo patto, e il nuovo patto è stato inaugurato alla prima venuta di Gesù.[6] Essi, inoltre, sono tutti passaggi che, nel loro contesto originale, parlano dell’inclusione dei Gentili all’interno del popolo di Dio. 

 

Siamo ora nella posizione di poter rispondere alla domanda: “Chi è ‘tutto Israele’ nel riassunto di Paolo di questi capitoli?” Prima di rispondere, è importante affermare ciò che, enfaticamente, non viene assolutamente affermato in questo capitolo: la ricostruzione del tempio, la terra di Israele, una ricostruzione dell’Israele geopolitico, un regno milleniale per l’Israele etnico, etc.[7] Tali cose spesso vengono lette come fossero nel testo, ma non sono cose a cui Paolo ha nemmeno minimamente accennato. Contro molti interpreti (specialmente americani, e specialmente dispensazionalisti), questo capitolo non parla di un futuro millennio per la nazione di Israele. Ciò semplicemente non è parte del capitolo. 

 

Nel contesto è chiaro che vi sono tre opzioni legittime per chi sia “tutto Israele”. Molti credono si riferisca a “tutti” i Giudei etnici che confideranno in Cristo poco prima che Cristo ritorni.[8] E’ importante dire che questi interpreti non separano la chiesa ed Israele. Essi vedono questi ebrei come parte della chiesa alla seconda venuta e salvati in una futura conversione di massa. La maggioranza non crede che “tutti” significhi “tutti” qui.[9] Ma “molti” ebrei saranno salvati all’ultimo minuto poco prima che ritorni il Signore Gesù.[10]

 

Altri concorderebbero con me che il capitolo ha in mente il tempo presente, e definirebbero “tutto Israele” come tutti gli ebrei eletti che verranno a Cristo dalla prima alla seconda venuta di Cristo.[11] Essi sarebbero d’accordo con molto di quanto ho affermato qui, ma direbbero che il contesto immediato si presta a vedere “tutto Israele” come soltanto ebrei etnici. Questa veduta ha una buona base esegetica. 

 

Io interpreto “tutto Israele” come riferimento a chiunque, giudeo o gentile, confidi in Cristo. In altre parole, è tutti gli eletti, la chiesa. Benché queste due ultime opzioni siano entrambi accettabili, vi sono cinque ragioni che mi fanno credere che Paolo vuole riferirsi alla chiesa quando dice “tutto Israele” in Romani 11, 26.[12]

 

Primo, il contesto immediato. Egli ha appena finito di dire che i Gentili sono innestati in Israele. Questo è quanto abbiamo visto ripetutamente nei profeti. I rami d’ulivo sono innestati nell’albero d’ulivo (Romani 11, 17). Quando Paolo dice che parte d’Israele è stata indurita “finché la pienezza dei Gentili sia entrata” (Rom. 11, 25), egli intende dire “finché tutti i Gentili eletti siano entrati a far parte dell’albero di Israele”. Al capitolo 10, Paolo disse che chiunque crede in Gesù non sarà svergognato “perché non vi è distinzione tra Giudeo e Greco” (Rom. 10, 11-12). Egli ha appena detto che non vi è distinzione tra Giudei e Gentili in Cristo, che è proprio quello che io affermo Romani 11, 26 dica. Paolo usa un linguaggio molto simile anche in Romani 10, 13: egli scrive che chiunque invoca il nome del Signore sarà salvato (sōthēsetai). In Romani 11, 26 dice che tutto Israele sarà salvato (sōthēsetai). Tutto Israele consiste di chiunque invoca il nome del Signore. Essi saranno salvati. Romani 10, 18-21 cita l’AT alcune volte per parlare delle estremità della terra, delle nazioni, e della gelosia di Israele, e del Signore che viene trovato dalle nazioni. Egli chiude quella sezione così: “ma di Israele dice, ‘tutto il giorno ho steso le mie mani ad un popolo disubbidiente e contrario’” (Rom. 10, 21). 

 

Secondo, il contesto più ampio di Romani. Paolo ha già ridefinito cosa vuol dire essere giudeo o ebreo all’inizio della lettera. Chi legge il capitolo 11 non deve dimenticare i capitoli precedenti. Un giudeo, un ebreo non è più chi lo è esteriormente ma chi lo è interiormente (Romani 2, 28-29). Romani 4 ha parlato di Abraamo come padre di Giudei e Gentili. Romani 9 ha citato Osea come supporto all’inclusione dei Gentili in Israele. Arrivati a Romani 11 l’Israele del nuovo patto è stato già definito come uno che include i Gentili. 

 

Terzo, il contesto ancora più largo della teologia paolina. Finora abbiamo soltanto accennato a Galati, ma lo stesso vale per il resto degli scritti paolini. Paolo definisce Israele attorno al Messia: se si è di Cristo, il Messia, allora si è figli di Abraamo (Gal. 3, 29). Egli conclude la sua lettera ai Galati chiamando Giudei e Gentili “l’Israele di Dio” (Gal. 6, 16).[13]

 

Quarto, il significato di “mistero” nelle lettere di Paolo. In Romani 11, 25 Paolo scrive che non vuole che i Romani siano ignoranti di “questo mistero”. Il mistero è che parte di Israele è indurita, il che porta alla salvezza dei Gentili, e a sua volta questo fa sì che alcuni Giudei siano salvati, e in questo modo tutto Israele sarà salvato (At. 13, 46; 18, 6). “Mistero” in Paolo non vuol dire qualcosa di difficile da capire, ma rivelazione che prima era stata nascosta ed ora rivelata. Egli usa la parola di nuovo alla fine della sua lettera:

 

A colui che può fortificarvi secondo il mio vangelo e il messaggio di Gesù Cristo, conformemente alla rivelazione del mistero che fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti, ma che ora è rivelato e reso noto mediante le Scritture profetiche, per ordine dell'eterno Dio, a tutte le nazioni perché ubbidiscano alla fede, a Dio, unico in saggezza, per mezzo di Gesù Cristo sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen (Rom. 16, 25-27).

 

Il mistero era stato tenuto segreto ed ora era stato dischiuso a tutte le nazioni. Il comando era di portare l’ubbidienza della fede. Paolo parla di questo obiettivo apostolico al principio e alla fine della sua epistola. Romani 1, 5 dice gli era stata data la commissione di “portare l’ubbidienza della fede a motivo del suo nome tra tutte le nazioni”.

 

Paolo usa questa stessa parola nello stesso modo in Efesini per parlare dell’inclusione dei Gentili all’interno dell’Israele di Dio: “Questo mistero è che i Gentili sono coeredi, membri dello stesso corpo, e partecipi della promessa in Cristo Gesù attraverso il vangelo” (Ef. 3, 6). Paolo qui dice che il mistero è che i Gentili diventano coeredi con Israele e membri dello stesso corpo. La teologia paolina del popolo di Dio in Romani è coerente a quella del popolo di Dio nel resto delle sue lettere. 

 

Quinto, la base veterotestamentaria.[14] Prima abbiamo visto che paolo spiega cosa intende per “tutto Israele” con i passaggi che egli cita riguardanti la prima venuta di Gesù per stabilire il nuovo patto, che include Giudei e Gentili. Nella teologia di Paolo, la rimossione del peccato dal popolo di Dio avviene alla croce e risurrezione, e non alla seconda venuta. Come dice qualche capitolo prima, non vi è ora nessuna nessuna condanna per coloro che sono in Cristo (Rom. 8, 1). 

 

Paolo in questa sezione sta rispondendo alla domanda iniziale dicendo che Dio non ha abbandonato il suo popolo. Anzi egli aveva da sempre promesso di salvare soltanto gli eletti  e nella nuova epoca ha allargato israele per includervi i Gentili. Come concludere questa sezione? Non si può far meglio dello Spirito che mosse Paolo a scrivere: “Oh, la profondità delle ricchezze e sapienza e conoscenza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e quanto inscrutabili le sue vie” (Rom. 11, 33)! 

 

Note

[1] Alcuni autori che io rispetto, e che sostengono la Teologia del Nuovo patto, ma che sostengono una veduta “futurista” di questo capitolo sono Tom Schreiner, Doug Moo, John Piper, e Jason Meyer. 

[2] II Corinzi 3, 14-16 dice: “Ma le loro menti furono indurite. Perché fino a questo giorno, quando leggono l’antico patto, lo stesso velo rimane insollevato, perché soltanto attraverso Cristo è esso tolto via. Sì, fino a questo giorno quandunque Mosè è letto un velo giace sui loro cuori. Ma quando uno si volge al Signore, il velo è rimosso.”

[3] O. Palmer Robertson, “Is There a Distinctive Future for Ethnic Israel in Romans 11?” in Perspectives on Evangelical Theology ed. Kenneth S. Kantzer and Stanley N. Gundry (Grand Rapids: Baker, 1979), 219-20; idem., The Israel of God, 179-81.

[4] In una corrispondenza personale, Douglas Goodin suggerisce che “la pienezza dei Gentili” si riferisce al tempo della distruzione del tempio di Gerusalemme. Egli basa la sua veduta sulla somiglianza di linguaggio che vi è tra Paolo qui e Luca al capitolo 21. Romani 11, 25 dice: finché la pienezza dei Gentili sia giunta” (arxi hou to plērōma tōn ethnōn eiselthȩ̄). Luca 21, 24, che fa riferimento alla distruzione di Gerusalemme in AD70, dice: “finché siano compiuti i tempi dei Gentili” (achri hou plērōthōsin kairoi ethnōn). Quindi l’indurimento secondo lui è temporale. Vi era un indurimento di Israele fino a quando il pieno giudizio di Dio sarebbe stato riversato su Gerusalemme attraverso Roma e dopo ciò l’indurimento sarebbe stato rimosso e la salvezza sarebbe stata per tutti i Giudei che avrebbero creduto in Cristo. Questa particolare lettura di Rom. 11, 25 si confarrebbe alla mia lettura generale di questa sezione. 

[5] La citazione di Paolo è più chiara nel Greco. La Settanta di Isaia 27, 9 dice “hotan aphelōmai autou tēn hamartian.” Romani 11, 27, dice: “hotan aphelōmai tas hamartias autōn.” 

[6] David G. Peterson, Transformed by God: New Covenant Life and Ministry (Downers Grove: IVP Academic, 2012), 130-32.

[7] Per esempio, nel suo commentario a questi versi, John MacArthur dice che tutto Israele sono “tutti gli eletti ebrei vivi alla fine della Tribolazione … il governo milleniale del Signore Gesù Cristo sarà associato al Monte Sion.” Uno si chiede dove egli prenda la “Tribolazione” o il “Millennio” in questo passaggio. Né vi è alcunché del genere in Romani 9-11 o nell’intera epistola. The MacArthur Study Bible (Nashville: Nelson, 1997), 1715.  

[8] Moo, The Epistle o the Romans, 710-29; Schreiner, Romans, 611-623; Jason C. Meyer, The End of the Law: Mosaic Covenant in Pauline Theology (Nashville: B&H Academic, 2009), 177-229; Piper D. Martyn Lloyd-Jones, The Church and the Last Things (Wheaton: Crossway, 1998), 113.; Kim Riddlerbarger, Amillennialism: Understanding the End Times (Grand Rapids: Baker, 2003), 180-94.

[9] Ma come Robertson ha affermato: “In questo contesto ‘tutti’ difficilmente può significare ‘la maggioranza’”. Israel of God, 183.

[10] A parte la difficoltà esegetica, questa veduta potrebbe scoraggiare l’evangelizzazione degli ebrei al tempo presente. Sembrerebbe logico inoltre esortare quelli che rigettano Cristo a considerare come alternativa il Giudaismo perché se Gesù ritorna ai giorni nostri essi sarebbero parte di quel “tutto” Israele che sarà salvato alla parousia

[11] Ben L. Merkle, “Romani 11 ed il Futuro dell’Israele Etnico” JETS 43.4 (December), 709-21; Charles M. Horne, “The Meaning of the Phrase ‘And Thus All Israel Will Be Saved’,” JETS 21.4 (December 1978), 329-34; Storms, Kingdom Come, 303-34. Robertson, “Is There a Distinctive Future for Ethnic Israel in Romans 11?,” 209-227. Si noti che Robertson in seguito ha cambiato veduta sul passaggio.

[12] Vedi Agostino, Lutero, Calvino, Barth, Hays, Moral Vision 416-17; Wright, “Jerusalem in the New Testament,” 65-67; idem., The Climax of the Covenant (Minneapolis: Fortress Press, 1993), 231-57; idem, Paul and the Faithfulness of God, Book Two (Minneapolis: Fortress Press, 2013), 1156-1259; Robertson, The Israel of God, 167-92; Paul Williamson, “Covenant,” in New Dictionary of Biblical Theology, 428.

[13] Hays scrive, “L’Israele di Romani 11, 26 è lo stesso che l’Israele di Dio di Galati 6, 16, ovvero una descrizione del popolo escatologico eletto di Dio che consiste di Giudei e Gentili insieme in Cristo”, Moral Vision, 417.

[14] Christopher R. Bruno, “The Deliverer From Zion: The Source(s) and Function of Paul’s Citation in Romans 11:26-27,” Tyndale Bulletin 59.1 (2008), 119-34.

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