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Criticare una vacca sacra calvinista:

“l’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo”

(Parte 2)

 

Steve Lehrer e Geoff Volker

 

Uno sguardo alle Scritture usate a supporto della dottrina dell’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo 

 

Romani 5:18-19

Questo è uno dei testi più comunemente addotti a supporto dell’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo. Per Robert Reymond, nel suo eccellente volume di sistematica, il “fatto” che questi versi parlino di obbedienza attiva è quasi ovvio e va senza dire. La sua comprensione di Romani 5:18 viene riassunta nel  suo titolo: “l’intera vita di Cristo è ‘un solo atto di ubbidienza’”. I suoi commenti amplificano questo sottotitolo:

 

“… è necessario per prima cosa notare che sottostante a tutta la ricca e variegata terminologia che le Scrittura impiegano per descrivere l’opera di Cristo alla croce, vi è una comprensiva, onnicomprensiva, unificatrice caratteristica della sua intera vita e ministero, così essenziale alla sua opera di croce che senza di essa nessuna delle cose che la Scrittura afferma a riguardo potrebbero avere una qualche appropriatezza: l’obbedienza di Cristo (vedi Romani 5:18)”.[10]

 

Questo passaggio è il passaggio principale sull’imputazione. Se Reymond ha ragione, e questi versi si riferiscono di fatto all’intera vita di obbedienza di Cristo, allora l’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo è una dottrina biblica. Ma se questo testo non parla della Sua vita di ubbidienza attiva alla legge, allora dobbiamo cercare altrove un fondamento biblico. Esaminiamo il passaggio:

 

“Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini. Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l'ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti” (Romani 5:18-19). 

 

L’argomento serrato di Paolo sul metodo con cui Dio salva inizia al verso 12, ma è già preparato dal principio del capitolo 5 dove egli parla dell’obbedienza passiva di Cristo:

 

“Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall'ira. Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo anche in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, mediante il quale abbiamo ora ottenuto la riconciliazione”[11] (Romani 5:6-11). 

 

La sola connessione che Paolo in questo passaggio ha fatto tra Cristo e la nostra giustificazione è la morte di Cristo alla croce. Non vi è niente nel testo fino alla fine dell’argomento al verso 12 che condurrebbe il lettore a considerare l’osservanza di Cristo alla legge in relazione alla giustificazione dei peccatori. 

 

Nel continuare la lettura del passaggio, notiamo il contrasto fatto tra il “solo atto” di Adamo e “il solo atto” di Cristo. Chiunque abbia letto il libro di Genesi capisce che il solo atto di Adamo fu la disubbidienza nel mangiare il frutto dall’albero proibito. Non si parla della sua intera vita di disubbidienza. Paolo parla di “un solo atto” quando parla del peccato di Adamo, e non conosco nessuno che capisce questo “solo atto” come l’intera vita di peccato di Adamo. 

 

Nel considerare quindi i versi 18 e 19, la domanda dinanzi a noi è: a cosa si riferisce quindi il “solo atto di giustizia” di Cristo (5:18) e la sua “obbedienza” (5:19)? Alcuni dicono che benché il “solo atto di giustizia” potrebbe indicare un singolo evento, il fatto che si usi la parola “obbedienza” ci apre alla possibilità di un possibile/probabile riferimento all’intera vita di Cristo. Consideriamo le parole di John Piper a riguardo: “la parola ‘obbedienza’ in Romani 5:19, senza alcuna qualifica, ci suggerisce da sé il suo significato? … sembra arbitrario capirla come le ore finali o i giorni finali della vita di Gesù e dire che prima di quelle ore l’obbedienza di Cristo alla legge non fu parte della giustizia che ‘conduce alla giustificazione’ (v. 18) o che essa non fu almeno parte dell’obbedienza che costituisce molti giusti (v. 19)”.[12] Questo argomento logico sarebbe molto potente se non fosse per il contesto attorno alla parola ‘obbedienza’. Guardiamo il testo ancora una volta:

 

“Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini. Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l'ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti” (Romani 5:18-19). 

 

Notate che si parla del peccato di Adamo come “disubbidienza” al verso 19 “senza alcuna limitazione” per usare le parole di Piper, ma secondo il suo argomento dovremmo quindi considerare e includere nella disubbidienza anche gli eventi attorno alla sua caduta: le intenzioni di Adamo prima di mangiare, e le sue azioni insieme ad Eva durante e dopo quell’atto. Ma non è più semplice e chiaro capire ciò che è ovvio ed esplicito nel passaggio stesso, ovvero i chiari paralleli tra Adamo e Cristo, il contesto immediato in cui l’obbedienza passiva di Cristo è menzionata in relazione alla giustificazione e il “solo atto” con riferimento sia ad Adamo che a Cristo? E’ realmente “arbitrario” limitare l’obbedienza di Cristo alla Sua obbediente morte sostitutiva in questo contesto, specialmente dal momento che il solo riferimento paolino esplicito all’obbedienza di Cristo altrove nel suo corpus è la Sua morte obbediente (Filippesi 2:8)?

 

Pensiamo che questo testo quindi favorisca chiaramente l’interpretazione che “il solo atto di giustizia” di Cristo o la Sua “obbedienza” si riferisca alla Sua morte sacrificale. Ma anche se non si fosse convinti del nostro punto di vista, si deve ammettere che questo testo non sta dicendo inequivocabilmente che quell’obbedienza è l’obbedienza attiva di Cristo imputata a noi per fede. E se il testo non è chiaro, non può servire come la base per questa dottrina così importante per l’intera Teologia del Patto. 

 

 

Filippesi 3:9

 

In questo passaggio Paolo guarda ai traguardi religiosi della sua vita pre-conversione e li paragona al conoscere Cristo e la Sua giustizia, vedendo quest’ultima come di valore infinitamente maggiore:

 

“Ma ciò che per me era un guadagno, l'ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all'eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti” (Filippesi 3:7-11). 

 

Questo testo viene spesso citato a supporto dell’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo. 

 

Benché non vi sia menzione né di un patto di opere né della perfetta obbedienza di Cristo alla legge per conto dei peccatori, il testo parla di giustizia. Paolo non vuole una giustizia propria “che viene dalla legge”. La giustizia può certo venire dall’obbedienza perfetta alla legge, ma egli sa che cercare di ottenerla così è uno sforzo disperato e vano, che non include la fede. Paolo vuole la giustizia che viene da Dio e che si riceve mediante la fede. Cos’è la giustizia di Cristo? Un’opzione interpretativa è che si riferisca all’obbedienza perfetta di Cristo alla Legge mosaica che egli poi imputa a tutti quelli che confidano in Lui come Salvatore e Signore. Un’altra opzione è che essa si riferisca al pagamento del peccato che Egli compì con la Sua morte alla croce e che egli imputa a tutti coloro che confidano in Lui come Salvatore e Signore. Quale delle due è giusta e come lo decidiamo?

 

Per arrivare alla conclusione corretta dobbiamo andare al locus classicus sulla giustizia mediante la fede in Cristo: Romani 3. Siccome abbiamo già parlato di questo passaggio sopra, possiamo giungere facilmente ad alcune conclusioni. In Romani 3 vediamo che Paolo parla soltanto dell’imputazione dell’obbedienza passiva di Cristo, il pagamento per i peccati. Siccome il solo luogo nella Scrittura dove Paolo di fatto definisce questa giustizia di Cristo dice che essa è la Sua obbedienza passiva, ne consegue che questa deve essere l’interpretazione standard di questa espressione (“giustizia di Cristo”) anche in Filippesi 3. Di nuovo, anche se non si fosse convinti di quanto diciamo, il testo in Filippesi non parla in modo inequivocabile dell’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo. E se il testo non è inequivocabile, allora non dovrebbe servire come base per questa dottrina così importante per l’intera Teologia del Patto. 

 

 

I Corinzi 1:30

 

Questo passaggio viene spesso citato a supporto dell’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo ed è ancora una volta un passaggio paolino. In questo passaggio Paolo contrasta la “sapienza” del mondo con la “stoltezza” del vangelo: “E’ a motivo di lui che siete in Cristo Gesù, che è stato fatto per noi sapienza da Dio, cioè, nostra giustizia, santità e redenzione. Quindi, come è scritto, ‘chi si vanta, si vanti nel Signore’”. 

 

Questo verso parla chiaramente di imputazione, come il verso precedente. Ma vi è forse qualcosa in esso che ci fa pensare che si sta parlando dell’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo? Quando Paolo parla di predicare il vangelo egli parla di “Cristo crocifisso” (v. 23) che è un riferimento esplicito all’obbedienza passiva. Il testo dice che dobbiamo vantarci del fatto che Cristo è la nostra “giustizia”. Abbiamo già elaborato il fatto che Paolo altrove definisce la giustizia che Cristo dona al credente come la Sua giustizia passiva. Senza un elemento che ci faccia mettere in questione questa chiara definizione in Romani 3, dovremmo presumere che il significato di “giustizia” rimanga lo stesso anche qui. Inoltre, c’è concordia quasi universale tra gli studiosi conservatori che Paolo usa il termine “redenzione” esclusivamente per riferirsi al pagamento del peccato da parte di Cristo. Ma che significa che Cristo è la nostra “santità”, o “santificazione”? Paolo spesso usa questo termine con una connotazione morale. In questo caso però è una sfumatura della parola “giustizia”. Si può vedere lo stesso uso del termine in I Corinzi 6, nel mezzo di un rimprovero che Paolo fa ai Corinzi:

 

“Non sapete che gl'ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v'illudete; né fornicatori, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio” (I Corinzi 6:9-11). 

 

Il termine “santificati” in I Corinzi 6 non sembra riferirsi con chiarezza all’osservanza della legge da parte di Cristo, né sembra avere a che fare con l’opera dello Spirito Santo nella vita del credente, opera che fa sì che egli si liberi sempre di più dei suoi pattern di peccato. Se avesse a che fare con la crescita nella purezza morale difficilmente avrebbe potuto associare questa idea ai Corinzi in questo punto della lettera, data la loro infedeltà. Al contrario, considerate le parole che Paolo associa a “santificati” nella sua epistola, ponendola nel loro mezzo: “lavati” e “giustificati”. Si noti che I Corinzi 1:30 ha lo stesso pattern. Paolo scrive che Cristo è divenuto per noi “sapienza da Dio, cioè, nostra giustizia, santità e redenzione”. La “sapienza da Dio” di cui si parla in questo passaggio è il vangelo, che parla di come un peccatore è accettato da un Dio santo. Se “giustizia” e “redenzione” si riferiscono chiaramente al pagamento per il peccato, il che è vero in Romani 3, allora esse sono due sinonimi ai due lati della parola in questione. E’ dubbio che la parola santità (o santificazione) si riferisca ad un concetto del tutto differente se viene affiancato da due sinonimi. E’ molto più probabile invece che questa è una descrizione triplice della medesima cosa: la completa innocenza del credente dinanzi a un Dio santo a motivo della morte di Cristo. E’ un bellissimo modo di descrivere l’abilità del credente di poter venire alla presenza stessa di Dio a motivo dell’imputazione dell’obbedienza passiva di Cristo. 

 

 

II Corinzi 5:21

 

Questo testo viene citato, quasi invariabilmente, per insegnare o difendere l’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo. Esso rappresenta una chiara e meravigliosa dichiarazione dell’imputazione del nostro peccato a Cristo e della Sua giustizia a noi: “Dio ha reso peccato per noi colui che non ebbe peccato, così che potessimo diventare la giustizia di Dio in lui”. Ovviamente tutto dipende da come definiamo “giustizia”. Siccome Paolo usa questo termine per parlare dell’imputazione dell’obbedienza passiva di Cristo, la lettura migliore del testo crediamo sia questa meravigliosa verità: Cristo fa sì che siamo dichiarati innocenti di qualsiasi trasgressione, o “perfetti” (Ebrei 10:14) a motivo del Suo sacrificio. Egli prese la punizione del nostro peccato così che attraverso la fede in lui diveniamo accettevoli e perfetti, ovvero “giusti dinanzi a Lui” (Romani 3:20). Questo testo, come anche il suo contesto, non fa alcun riferimento all’imputazione della vita perfetta di Cristo, e quindi siamo obbligati a non speculare oltre questo. 

 

 

Romani 8:3-4

 

Questi versi vengono frequentemente citati a supporto dell’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo. Ironicamente, essi possono essere usati anche per minare la necessità teologica di questa dottrina, come diverrà evidente se esaminiamo da vicino questo importante passaggio della Scrittura. In Romani capitolo 8 Paolo sta stabilendo il fatto che se si è credenti non si è più schiavi del peccato. Se si è aggiogati a Cristo si è liberati dalla penalità e dalla potenza del peccato:

 

“Infatti, ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha fatto; mandando il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito” (Romani 8:3-4). 

 

In questo testo dice che “Dio ha fatto” qualcosa, e questo qualcosa è il Suo aver mandato il Suo Figlio a morire su una croce come “un’offerta per il peccato”. Questo si riferisce chiaramente all’obbedienza passiva di Cristo. Attraverso l’imputazione dell’obbedienza passiva di Cristo “il comandamento della legge” è “adempiuto in noi”. Non è incredibile? Non vi è assolutamente alcun indizio dell’imputazione dell’ubbidienza di Cristo alla legge. Il solo riferimento è alla Sua obbedienza passiva e tuttavia quell’offerta per il peccato che ha fatto sì che i nostri peccati fossero condannati in Cristo ci permette di stare dinanzi a Dio come chi ha perfettamente adempiuto i requisiti della legge. L’imputazione dell’obbedienza passiva di Cristo realizza inequivocabilmente tutto quello che l’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo dovrebbe fare secondo la Teologia del Patto!

 

Questo passaggio contiene un’altra gemma che non possiamo non raccogliere ed esaminare nella sua bellezza. Al verso 4 Paolo descrive il gruppo di chi ha pienamente soddisfatto i requisiti della legge e dice che “non camminano secondo la carne, ma secondo lo Spirito”. Ciò si riferisce ad un’altra benedizione che “l’unica offerta” di Cristo compie per ogni credente, e che abbiamo già menzionato in precedenza in relazione ad Ebrei 10:14: “a motivo di un solo sacrificio egli ha reso perfetti per sempre coloro che sono santificati”. Il solo sacrificio fatto da Cristo non soltanto ha acquistato la perfezione per il credente, descritto in Romani 8 come aver pienamente adempiuto i requisiti della legge, ma anche il suo progresso nella santità. Questa è un’opera dello Spirito nella vita del credente che fa sì che egli serva Dio e metta a morte il peccato. I versi seguenti contrastano la vita di chi riceve quest’opera dello Spirito di Dio con chi non la riceve. Tutto questo è acquistato dall’obbedienza passiva di Cristo imputata sul conto di chiunque si ravvede e crede. 

 

Vi sono altri versi che vengono usati per difendere l’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo. Non vogliamo essere ridondanti ma completi. Così abbiamo deciso di darvi quattro categorie sotto cui tutti gli altri versi citati nelle teologie sistematiche a difesa di questa dottrina sembrano ricadere: 1) versi che difendono la vita senza peccato di Cristo (Ebrei 5:8); 2) versi che parlano dell’imputazione della giustizia (Romani 4:4-6; 10:3-4); 3) versi che dicono che Cristo fu sotto la legge (Galati 4:4-5); 4) versi che sembrano del tutto sconnessi a parte alcune parole chiave (Matteo 3:15). La nostra risposta a questi gruppi di versi è la seguente: 1) Crediamo che Cristo visse una vita senza peccato, ma se nella Scrittura non si fa riferimento all’imputazione quando si parla di quella vita senza peccato (e difatti non vi si fa riferimento), allora dobbiamo capire l’importanza della Sua vita senza peccato come ciò che lo qualificò per essere il Salvatore che potesse offrire il sacrificio perfetto e niente di più; 2) Crediamo certo che la giustizia di Cristo sia imputata al credente, ma quella giustizia è definita nella Scrittura come la Sua morte sacrificale nel pagare il peccato, cosa che concede al credente di essere accettato da Dio per l’eternità; 3) Crediamo che Cristo fu sotto la Legge Mosaica e che la Sua obbedienza perfetta a quella legge lo mise in grado di essere il Salvatore e sacrificio perfetto; 4) versi che non parlano di questa dottrina non possono essere usati come sua base. 

 

Nel terminare il nostro esame delle Scritture usate a difesa e supporto di questa dottrina, è importante dire ancora una volta che abbiamo scelto quei testi che crediamo siano i più significativi. Ma perfino i migliori tentativi esegetici per cercare di stabilire questa dottrina li vediamo privi di un chiaro supporto biblico. Crediamo anche che alcuni dei testi più frequentemente citati non reggono allo scrutinio scritturale, ma anzi essi minano completamente questa dottrina. 

 

 

Riconsiderare le Scritture

 

L’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo ci appare come una dottrina priva di fondamento biblico. Sostenere e difendere una dottrina che ha una base nella tradizione teologica più che nella Scrittura rischia di essere un precedente per ritornare al metodo cattolico-romano di fondare una dottrina sulla Scrittura e la tradizione, piuttosto che solo sulla Scrittura. La grande maggioranza di chi sostiene questa idea è fatta di veri credenti coscienziosi che conoscono bene la Bibbia. Essi credono fermamente e insegnano il principio di Sola Scriptura. Ma questo fatto rende la nostra discussione ancora più complicata. Nelle nostre vite questa dottrina era divenuta parte della nostra comprensione dell’opera di Gesù Cristo per noi. Una dottrina divenuta per noi preziosa, che abbiamo spesso insegnato, e di cui era difficile sbarazzarsi. Ma se Dio non l’ha realmente rivelata, il nostro compito è non andare oltre quanto è scritto. Abbiamo scritto questo saggio sperando che chi lo legge venga spinto a riconsiderare le Scritture a riguardo. 

 

 

Risposte ad alcune domande ed obiezioni

 

Intendete affermare che ci vuole un testo biblico esplicito per stabilire una dottrina o pratica biblica? 

 

Sì. Se per “stabilire una dottrina o pratica biblica” si intende qualcosa che Dio voglia che io creda o faccia, allora bisogna avere una testimonianza chiara ed inequivocabile della Scrittura a riguardo. Se questa non esiste, allora non si ha un avallo divino per poterla difendere. 

 

Non sostengo la Teologia del Patto ma credo questa sia una dottrina biblica, quindi la vostra accusa che sia una dottrina legata a un sistema teologico è falsa. 

 

Capisco questa obiezione, ma non è necessariamente vera. E’ possibile aver adottato questa dottrina senza sapere che fa parte integrante del sistema teologico della Teologia del Patto e che dipende ed è guidata da quel sistema. Si potrebbe credere in questa dottrina perché la si è ricevuta da qualcuno e non la si è mai messa in discussione. Molti evangelici (benché ancora non abbastanza, secondo noi) che non appartengono a quel sistema teologico concordano, giustamente, con la dottrina della salvezza sostenuta da quel sistema, ovvero le cosiddette “dottrine della grazia”. Ma nello spiegare quelle dottrine la Teologia del Patto concepisce l’obbedienza attiva di Cristo come loro parte integrante e inseparabile. Questo è il motivo per cui, anche non sposando o conoscendo quel sistema teologico, ma credendo nelle “dottrine della grazia”, spesso si riceve la dottrina dell’obbedienza attiva di Cristo come parte della giustificazione senza prestarvi attenzione. 

 

 

Non si può riassumere l’obbedienza attiva e passiva di Cristo sotto un solo capo: l’obbedienza di Cristo imputata a chi crede?

 

Certo, lo si potrebbe fare se vi fosse un passaggio che chiaramente ce lo permette. Si deve trovare un passaggio che insegna chiaramente l’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo insieme all’imputazione dell’obbedienza passiva. Molti passaggi scritturali insegnano chiaramente l’imputazione dell’obbedienza passiva, ma non un solo passaggio insegna l’imputazione dell’obbedienza attiva. La Scrittura definisce la nostra giustizia come imputazione dell’obbedienza passiva di Cristo Dove è dunque la giustificazione per poter parlare di entrambe? La Bibbia definisce la giustizia ricevuta dal credente riferendosi all’opera della croce. Se quella giustizia includesse anche l’obbedienza alla legge questo dovrebbe essere dimostrato da qualche passaggio biblico chiaro a riguardo. 

 

 

I credenti devono adempire i giusti requisiti della legge? 

 

Sì. Ma secondo la Scrittura ciò è compiuto soltanto attraverso la morte di Cristo. Ricevere il suo pagamento per i peccati ci rende giusti come se avessimo perfettamente obbedito ai giusti requisiti della legge. Si considerino i nostri commenti a Romani 8:1-4 sopra. 

 

 

John Piper definisce la giustificazione in modo diverso da voi. Egli dice: “La parola greca per ‘giustificare’ (dikaioo) non significa ‘perdonare’. Significa ‘dichiarare giusto’, di solito in una corte di giustizia. Un prigioniero trovato colpevole e perdonato non sarebbe detto ‘giustificato’ nell’uso ordinario della parola. Egli è giustificato se è trovato non colpevole. Il perdono significa essere trovato colpevole ma non ricevere l’imputazione di quella colpa, ma essere lasciati andare. Dovremmo quindi stare attenti a non presumere che giustificazione e perdono sono la stessa cosa” (Counted Righteous in Christ: Should We Abandon the Imputation of Christ’s Righteousness, Wheaton, Illinois: Crossway Books, 2002), 115. Voi dite che il perdono dei peccati è sinonimo di giustificazione. Come rispondete a Piper? 

 

John Piper è certamente un grande studioso, autore ed insegnante. Probabilmente possiede un quoziente intellettivo fuori dal comune. Mi piacciono i suoi libri e il suo ministero mi ha molto incoraggiato e incitato ad amare e compiere buone opere. Ma purtroppo il suo argomento su questo punto sembra essere filosofico più che biblico. Il problema che Paolo solleva in Romani 3 è che l’uomo ha bisogno di una giustizia che non può essere guadagnata mediante le proprie opere. Come la si può ottenere dunque e in cosa consiste? Egli ci dice che la otteniamo mediante la fede in Gesù Cristo e che la giustizia o giustificazione di cui abbiamo bisogno per essere accettati da Dio equivalealla redenzione mediante il perdono dei peccati: “e sono giustificati (dikaioumenoi) gratuitamente per la sua grazia attraverso la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha stabilito come sacrificio propiziatorio, attraverso la fede nel suo sangue” (Romani 3:24-25). L’autore di Ebrei ci dice che l’imputazione dell’opera sacrificale espiatoria di Cristo rende il credente perfetto: “Ma quando questo sacerdote ebbe offerto una volta per sempre un solo sacrificio per i peccati, egli si sedette alla destra di Dio, e da allora aspetta soltanto che i suoi nemici siano resi lo sgabello dei suoi piedi, perché mediante un solo sacrificio ha reso perfetti per sempre quelli che sono resi giusti” (Ebrei 10:12-14). Possiamo sostenere tutte le teorie linguistiche che vogliamo sulle differenze tra le parole “giustificazione” e “perdono”, ma la Scrittura è a riguardo e non dobbiamo permettere che le nostre idee oscurino la chiarezza della Parola di Dio.

 

 

Se negate l’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo, non state diluendo la dottrina della giustificazione? 

 

Questa è una bella domanda. Pensiamo al contrario che stiamo enfatizzando il valore infinito della morte sacrificale di Cristo e rimettendola al posto che le appartiene all’interno della cruciale dottrina della giustificazione. Cosa conferisce al credente la morte di Cristo? Alcuni dicono che procura ai credenti nient’altro che la posizione di Adamo prima della caduta. Dicono che è insufficiente per la vita eterna. Al contrario, la Scrittura dice che quando i credenti ricevono i risultati della morte di Cristo essi sono resi “perfetti per sempre” (Ebrei 10:14). Questo linguaggio usato dallo Spirito Santo ci fornisce una visione chiara: la morte di Cristo fa sì che il credente sia visto come se avesse obbedito alla legge di Dio in modo perfetto, quando in realtà ha ricevuto semplicemente il pieno perdono dei peccati. Dio ci dice che per essere accettati da Lui si deve avere una fedina penale pulita. Questa si può ottenere in due modi soltanto secondo la Scrittura: 1) obbedire alla legge di Dio in modo perfetto; 2) avere tutte le proprie trasgressioni a quella legge pagate in modo perfetto dalla morte sacrificale di Cristo. Una fedina penale pulita, il che equivale all’essere perdonati in modo perfetto, è dunque lo stesso che avere obbedito perfettamente se rende il credente “perfetto” agli occhi di Dio. E secondo Ebrei 10:14 questo è esattamente quanto la morte di Cristo ha ottenuto per il credente. Se si nega l’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo ma si afferma quanto la Scrittura afferma sulla sufficienza e perfezione della morte sacrificale di Cristo il risultato sarà quello di elevare e magnificare la potenza della croce e conferirle quel significato teologico centrale alla verità della giustificazione. 

 

Traduzione dall’articolo originale, con permesso dell’autore, di F. De Lucia

Note

[10] Robert Reymond, A new Systematic Theology of the christian Faith, (Nashville, Thomas Nelson Publishers, 1998), 629. 

[11] Il riferimento all’essere “salvati mediante la sua vita” (V. 10) è spesso compreso dalla teologia del patto come l’imputazione dell’obbedienza attiva di Cristo, ovvero la vita obbediente di Cristo precedente alla Sua opera alla croce. Ma notiamo: il verso 9 inizia un argomento che va dal minore al maggiore, e che contiene un aspetto temporale. Ecco come potrebbe essere parafrasato: “Se ora siamo stati giustificati attraverso il sangue di Cristo, quanto più saremo alla fine salvati attraverso di lui perché è risorto ed è alla destra di Dio in cielo?” Il contrasto è tra tutto quello che compie la morte di Cristo per noi con tutto quello che farà per noi la sua vita di risurrezione futura. E’ sorprendente ma la vita di risurrezione di Cristo farà per noi ancora di più della sua morte. Si consideri alla luce di questo una parafrasi del verso 10: “Se Dio ci ha riconciliati a Sé mediante la morte di Cristo mentre eravamo ancora odiatori di Dio e Suoi nemici, quanto più Dio ci salverà completamente e totalmente nell’ultimo giorno mediante la vita di risurrezione di Cristo ora che lo amiamo e ci ama!” Questo è un verso che ci dà un meraviglioso conforto e che indica la potenza della vita di risurrezione di Cristo piuttosto che la Sua vita di ubbidienza nelle sofferenze prima della croce. Romani 6:5 è un altro grande esempio di questo passaggio tra la morte e la vita di risurrezione: “Se siamo stati uniti a lui in una morte come la sua, saremo certamente anche uniti a Lui nella Sua risurrezione”. 

[12] John Piper, Counted Righteous in Christ: Should We Abandon the Imputation of Christ’s Righteousness?, (Wheaton: Crossway Books, 2002), 111-112. 

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