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Eden, il tempio, e la nuova creazione (1)

 

Gregory K. Beale

 

 

Questo saggio tratta alcune profezie dell’Antico Testamento il cui adempimento non sembra essere “letterale” rispetto alla prospettiva degli autori di quelle profezie. Si può parlare di continuità ermeneutica che sia coerente al significato originale dell’AT quando, in apparenza, sembra divergere da esso? Sarebbe opportuno guardare a vari esempi di passaggi del Nuovo Testamento che adempiono l’Antico per poter trattare sufficientemente questo punto spinoso, ma lo spazio mi permette di considerarne soltanto un solo passaggio ed in profondità, e dunque userò quello come esempio che possa fare luce su altri passaggi simili del NT. 

 

Considereremo quindi in che modo Apocalisse 21:1-22:5 usi l’Antico Testamento in Ezechiele 37:27, 40-48 ed isaia 54:11-12. Ezechiele 40-48 predice ciò che secondo molti  è un tempio vero e proprio alla fine dei tempi, e tuttavia Apocalisse 21 non sembra parlare di un tempio architetturale, benché utitlizzi un certo numero di riferimenti ad Ezechiele 40-48. Siccome Apocalisse 21, agli occhi di molti, non sembra interpretare “letteralmente” Ezechiele 40-48, alcuni credono che la profezia di Ezechiele non viene adempiuta da Apocalisse ma viene meramente paragonata alla nuova creazione. Similmente, altri credono che Giovanni sta dicendo che Ezechiele è adempiuto ma in maniera allegorica o spiritualizzata. Ma è possibile che Giovanni stia indicando che Ezechiele sarà adempiuto nel nuovo cosmo in maniera “letterale” e allo stesso tempo in modo da mantenere una certa integrità ermeneutica? Potremmo farci la stessa domanda a riguardo delle profezie di Ezechiele 37 ed Isaia 54. Io credo che Giovanni non stia né meramente paragonando la profezia di Ezechiele alle condizioni della futura nuova creazione, né che la stia allegorizzando, ma che ne stia affermando un vero e proprio adempimento letterale. 

 

Per cercere di dimostrare questo, dovremo guardare ad Apocalisse e specialmente al suo background dall’AT, e non voglio dire solo Ezechiele, ma ciò che l’AT in generale ci dice sul tempio. Nel far così cercherò di riassumere il mio libro di 450 pagine “Il tempio e la missione della chiesa (Leicester/Downers Grove: IVP, 2004) e applicare qui alcune delle linee principali di argomentazione del libro per cercare di far luce sul problema suddetto.[1]

 

Apocalisse 21 presenta un problema al lettore: perché Giovanni vede “nuovi cieli e una nuova terra” (Ap. 21:1) ma poi vede anche una città a mò di giardino e a forma di tempio (Ap. 21:2-22:5)? Egli non descrive tutti i contorni e i dettagli della nuova creazione, ma soltanto una città-tempio arborea. Notate le dimensioni e le caratteristiche architettoniche della città: essi sono tratti in maniera signifcativa da Ezechiele 40-48, che è una profezia delle dimensioni e delle caratteristiche architetturali di un futuro tempio (vv. 2, 10-12; 21:27-22:2).[2] Le pietre preziose che ne formano il fondamento (versi 18-21) riflettono la descrizione non soltanto di Isaia 54:11-12 ma anche quella del tempio di Salomone che era altresì coperto d’oro e la cui fondazione era fatta di pietre preziose (cf. I Re 6:20-22 e 5:17; 7:9-10; e le dimensioni di Ap. 21:16 [“la sua lunghezza e larghezza ed altezza sono eguali”] basate sulle dimensioni del “Santo dei Santi” in I Re 6:20 [dove la “lunghezza … ed adempiezza … e l’altezza” del Santo dei Santi erano eguali]).

 

Come spieghiamo la discrepanza apparente tra i nuovi cieli e nuova terra che egli vide al verso 1 e la città a mò di giardino e a forma e con la struttura di un tempio nel rimanente della visione? Perché Giovanni non vede solo un ritratto completo dei nuovi cieli e nuova terra (con valli, montagne, foreste, pianure, stelle, etc.)? E’ certo possibile che egli vede prima il nuovo mondo e poi una città in una parte di quel mondo, e che all’interno della città vede un giardino e un tempio. Ma questo non sembra probabile dal momento che egli eguaglia “nuovi cieli e nuova terra” con la seguente descrizione della “città” e del “tempio”. 

 

Che Giovanni faccia questa equazione è evidente dalle seguenti considerazioni. Primo, è probabile che la visione di Apocalisse 21:2 interpreti la visione iniziale dei nuovi cieli e nuova terra, e che quanto Giovanni ode al verso 3 sul tabernacolo sia l’interpretazione dei versi 1-2. I nuovi cieli e nuova terra vengono così eguagliati alla Nuova Gerusalemme e al tabernacolo escatologico. Questo pattern di visioni che si interpretano l’un l’altra o vengono interpretate da un detto o da un canto seguente si verifica anche altrove nel libro,[3] ed è una caratteristica generale del genere apocalittico. Secondo, Apocalisse 22:14-15 dice che soltanto i giusti abitano “la città” ma che gli ingiusti (cf. 22:11) ne rimangono perpetuamente al di fuori. Non è probabile che ciò significhi che gli ingiusti abitino appena al di fuori delle mura della città ma comunque nella nuova creazione: più probabilmente con questa figura si sta dicendo che gli empi dimorano al di fuori dell’intera nuova creazione, perché non può esistere l’ingiustizia all’interno della nuova creazione. Ciò implica che “i limiti della città”, quindi, sono co-eguali ai confini della nuova creazione. Similmente, Apocalisse 21:27 afferma che “niente di impuro e nessuno che pratichi abominazioni e menzogne mai vi entrerà”. Ciò che conferma ulteriormente l’equazione della città alla nuova creazione è Ap. 21:8, dove la medesima cetegoria degli ingiusti è detta esistere nel “lago di fuoco che brucia con fuoco e zolfo, che è la morte seconda”, e questo lago e questa morte seconda, ovviamente, non possono essere parte della nuova creazione (cf. 21:4). Le stesse persone del verso 22:15, quindi, sono poste al di fuori della nuova creazione, che è anche la nuova città, e che, come abbiamo proposto sopra, è anche il nuovo tempio, perché nessuna impurità poteva entrare nel tempio di Israele.[4]

 

Questa equazione sembra però problematica. Alcuni potrebbero attribuire l’apparente stranezza di eguagliare il nuovo cosmo ad una città a mò di giardino e a forma di tempio alla natura irrazionale che possono avere visioni e sogni, benché sarebbe difficile da accettare per una visione che Giovanni dice viene da Dio (cf. 21:9 con 1:1 e 22:6). E inoltre: in che modo questa visione si correla ai cristiani e al loro ruolo di adempiere la missione della chiesa? 

 

Per risolvere il problema di questa strana equazione di nuova creazione e nuova Gerusalemme col suo tempio, dobbiamo guardare al tempio nell’AT e vedere qual’era il suo proposito e in che modo quel proposito si correla alla concezione del tempio nel NT. Nel perseguire questo compito diverrà evidente che il primo tabernacolo e tempio esistevano molto prima che Israele giunse sulla scena. Diverrà anzi evidente che il primo santuario è già discernibile all’inizio stesso della storia dell’uomo. 

I. Il giardino di Eden era un tempio nella prima creazione

 

Il primo santuario si trovava in Eden. Come lo sappiamo, dal momento che non vi era una struttura architettonica in Eden? Sembrerà strano agli occhi di molti, ma le seguenti nove osservazioni, tra le altre che qui non ho spazio di considerare, mostrano che Eden era il primo tempio. 

 

Primo, il tempio di Israele era il luogo unico della presenza di Dio, il luogo dove si faceva esperienza di quella presenza. Il tempio di Israele era il luogo dove il sacerdote faceva esperienza della presenza unica di Dio, ed Eden era il luogo dove Adamo camminava e parlava con Dio. La stessa forma verbale ebraica (hithpael) della parola hithallek viene usata meramente in due luoghi nell’AT: nel giardino di Eden (Gen. 3:8) e per descrivere la presenza di Dio nel tabernacolo (Lev. 26:12; Deut. 23:14; II Sam. 7:6-7), e viene resa col “passeggiare” di Dio. 

 

Secondo, Genesi 2:15 dice che Dio pose Adamo nel Giardino “per coltivarlo e per custodirlo”. Queste due parole ebraiche “coltivare e custodire” (abad e shamar) possono essere tradotte e di solito vengono tradotte con “servire e custodire”. Quando queste due parole sono insieme nell’AT senza eccezione hanno questo significato e si riferiscono: o agli israeliti che “servono e custodiscono” la Parola di Dio (10 volte) o ai sacerdoti che “servono” Dio nel tempio e “custodiscono” il tempio dalle impurità (Num. 3:7-8; 8:25-26; 18:5-6; I Cr. 23:32; Ez. 44:14).[5]

 

Dunque, Adamo doveva essere il primo sacerdote che serviva e custodiva il tempio di Dio. Quando Adamo fallisce di custodire il tempio, peccando e lasciando che un serpente impuro contamini il tempio, egli perde il suo ruolo sacerdotale, e i due cherubini si assumono la responsabilità di “custodire” il tempio del Giardino: Dio “pose i cherubini … per custodire la via all’albero della vita” (Gen. 3:24). Il loro ruolo venne più tardi ricordato nel tempio di Israele quando Dio comandò a Mosè di fare due statue di figure angeliche, i cherubini, e di porle su entrambi i lati dell’arca del patto nel Santo dei Santi all’interno del tempio. 

 

Terzo, l’albero della vita era probabilmente il modello del candelabro posto direttamente al di fuori del Santo dei Santi nel tempio di Israele: esso aveva l’aspetto di un piccolo tronco d’albero con sette rami, tre da un lato e tre dall’altro, con un ramo che fuoriusciva dal mezzo del tronco. 

 

Quarto, che il Giardino d’Eden fosse il primo tempio è anche suggerito dal fatto che il tempio di Israele aveva al suo interno incisioni in legno che gli conferivano l’aspetto di un giardino e che erano probabili riflessi intenzionali di Eden. I Re 6:18, 29 afferma che vi era “cedro … intagliato a forma di colloquintide e fiori aperti” (v. 18); “sulle mura del tempio tutto intorno” e sulle porte di legno del santuario interno vi erano “incisioni di cherubini, palme, e fiori aperti” (v. 29, 32, 35), sotto i capitelli delle due colonne all’entrata del luogo santo vi erano dei “pomegrani incisi” (I Re 7:18-20). 

 

Quinto, proprio come l’entrata del tempio di Israele doveva guardare ad est e trovarsi su una montagna (Sion, Es. 15:17) e proprio come il tempio escatologico di Ezechiele doveva guardare ad est (Ez. 40:6) ed essere su un monte (Ez. 40:2; 43:12), così anche l’entrata ad Eden guardava ad est (Gen. 3:24) ed era situata su un monte (Ez. 28:14, 16). 

 

Sesto, l’arca nel Santo dei Santi, che conteneva la Legge (che conduceva alla sapienza) echeggia l’albero della conoscenza del bene e del male (che anche conduceva alla sapienza). Toccare entrambi risultava nella morte. 

 

Settimo, proprio come un fiume scorreva da Eden (Gen. 2:10), così il tempio post-esilico, secondo l’Epistola ad Aristofane (89-91) e il tempio di Ezechiele 47:1-12 e Apocalisse 21:1-2, erano l’origine di fiumi che scorrevano procedendo dal loro centro (cf. anche Ap. 7:15-17 e Zac. 14:8-9).[6] Ezechiele difatti raffigura il Monte Sion degli ultimi giorni, col suo tempio, come se fosse un Eden, mostrando che le promesse originalmente attinenti ad Eden si sarebbero realizzate ed adempiute nella sua visione.[7]Fertilità e “fiumi” sono anche descrizioni del tempio di Israele in Salmo 36:8-9:

 

Essi si abbeverano dell’abbondanza della tua casa (il tempio)

E tu dai loro da bere del fiume dei tuoi piaceri (lett. “il fiume dei tuoi Eden”!)

Perché presso di te è la fonte della vita;[8]

Nella tua luce noi vediamo la luce (forse un gioco di parole riferito al candelabro nel Luogo Santo del tempio). 

 

Geremia 17:7-8 paragona coloro “la cui fiducia è il Signore” a “un albero piantato presso l’acqua, che estende le sue radici presso una fonte” col risultato che “le sue foglie saranno verdi” e non “cesseranno di portare frutto” (Cf. Sal. 1:2-3). I versi 12-13 poi parlano del “luogo del nostro santuario” e lo eguagliano con “la fonte di acqua viva, il Signore”.[9]

 

Ottavo, si potrebbe perfino discernere un santuario ed un luogo santo vero e proprio in Eden che era pressoché corrispondente a quello del tempio di Israele. Il Giardino stesso non era la fonte dell’acqua del fiume che fuoriusciva da esso, ma la fonte era adiacente ad Eden perché Genesi 2:10 afferma che “un fiume scorreva da Eden per irrigare il giardino”. Allo stesso modo che gli antichi palazzi avevano dei giardini ad essi adiacenti, “Eden è la fonte delle acque e la residenza di Dio, e il giardino è adiacente alla residenza di Dio”.[10] Similmente Ezechiele 47:1 dice che l’acqua scorreva dal Santo dei Santi del futuro tempio escatologico e che avrebbe irrigato la terra circostante. Similmente, nel tempio finale di Ap. 22:1-2 viene raffigurato “un fiume dell’acqua della vita … che proviene dal trono di Dio e dell’Agnello” e che scrorre in un bosco a mò di giardino, che è stato modellato sul primo paradiso di Genesi 2, e che richiama molto del ritratto di Ezechiele.  Se Ezechiele ed Apocalisse sono sviluppi del primo tempio-giardino, ed argomenteremo che lo sono, Eden, l’area dove è locata la fonte dell’acqua, può paragonarsi al santuario interno del tempio di Israele, e il Giardino adiacente al Luogo Santo.[11] Anche questi testi più tardi a parte, Eden e il suo giardino adiacente formavano due regioni distinte. Questo è paragonabile al candelabro nel Luogo Santo che come l’albero della vita era nel luogo fertile al di fuori del luogo più interno della presenza di Dio. Inoltre, “il pane della presenza”, anch’esso nel Luogo Santo e che forniva il cibo ai sacerdoti, sembrerebbe riflettere il cibo prodotto nel Giardino per il sostentamento di Adamo.[12]

 

A questo aggiungerei che la terra e i mari sottomessi da Adamo al di fuori del Giardino erano l’equivalente approssimativo della corte esterna del tempio di Israele che, come argomenterò successivamente, è un simbolo della terra e del mare mondiale.[13] Si può quindi percepire una gradazione incrementale in santità dall’esterno verso l’interno del giardino: la regione più esterna che circondava il giardino è correlata a Dio ed è “molto buona” (Gen. 1:31) perché è creazione di Dio, e corrisponde alla corte esterna del tempio; il giardino stesso è uno spazio sacro separato dal mondo esterno, e corrisponde al Luogo Santo del tempio, dove il servo sacerdotale di Dio adora Dio obbedendolo, coltivando e custodendo; Eden è dove Dio dimora, e corrisponde al Santo dei Santi, ed è la fonte della vita fisica e spirituale, simbolizzata dalle acque. 

 

Nono, alla luce di questi numerosi paralleli concettuali e linguistici tra Eden e il tabernacolo e tempio di Israele, non dovrebbe essere sorprendente trovare che Ezechiele 28:13-14, 16, 18 parlano di “Eden, il giardino di Dio … il monte santo di Dio”, e inoltre alludono ad esso come “santuari”, termine che altrove è un modo per riferirsi, al plurale, al tabernacolo di Israele (cf. Lev. 21:23) e al suo tempio (Ez. 7:24; anche Ger. 51:51). Il riferimento al plurale (“santuari”) per parlare del tempio probabilmente è dovuto ai multipli spazi sacri o “santuari” appunto che si trovavano all’interno del complesso del tempio (la corte, il Santo e il Santo dei Santi).[14] E’ inoltre probabile che la versione greca dell’AT di Ez. 28:14 e 16 concepisce l’essere glorioso “caduto” come Adamo: “Dal giorno che fosti creato eri col cherubino” (v. 14), “hai peccato, quindi sei stato gettato giù ferito dal monte di Dio” (v. 16). Ezechiele 28:13 raffigura Adamo vestito in gioielli come un sacerdote (28:13), il che corrisponde bene al riferimento solo cinque versi più tardi ad Eden come un santuario sacro. Ezechiele 28:18 è dunque probabilmente il luogo più esplicito di tutti nella letteratura canonica dove il Giardino di Eden viene chiamato “santuario”, un tempio. 

 

Tutte queste osservazioni, prese insieme, indicano la probabilità che il Giardino di Eden fosse il primo santuario nella storia sacra. Non soltanto Adamo doveva “custodire” questo santuario ma doveva anche sottomettere la terra, secondo Genesi 1:28: “E Dio li benedisse … siate fruttuosi e moltiplicatevi, e riempite la terra, e sottomettela, e governate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, e su ogni cosa vivente che striscia sulla superfice”. Nel cominciare a governare e sottomettere la terra egli doveva anche estendere i confini geografici del Giardino di Eden finché coincidessero con e coprissero la terra intera. Ciò significava che la presenza di Dio, che era limitata ad Eden, doveva essere estesa per tutta la terra. La presenza di Dio doveva “riempire” la terra intera. 

 

A questo riguardo, Walton osserva che:

 

Se gli esseri umani dovevano riempire la terra [secondo Genesi 1] dobbiamo concludere che essi non erano stati fatti per rimanere staticamente nel giardino. Tuttavia nello spostarsi dal giardino avrebbero incontrato difficoltà perché la terra al di fuori del giardino non era ospitabile come quella all’interno del giardino (altrimenti il giardino non sarebbe distinguibile dal resto della terra). Forse, quindi, dovremmo presumere che gli esseri umani dovevano gradualmente estendere il territorio del giardino nel processo di sottomettere e governare la terra. Estendere il giardino avrebbe esteso le provviste di cibo come anche lo spazio sacro (perché il giardino rappresentava quello).[15]

 

L’intenzione sembra essere che Adamo doveva allargare i confini del Giardino incrementalmente estendendo così lo spazio sacro agli spazi esterni meno ospitali. L’espansione verso l’esterno includeva l’obiettivo di diffondere la gloriosa presenza di Dio. Ciò sarebbe accaduto specialmente con la nascita della progenie di Adamo, fatta ad immagine di Dio, che avrebbe riflettuto l’immagine di Dio e la luce della Sua presenza, mentre continuava ad ubbidire al mandato dato ai loro genitori e andava a sottomettere il paese esterno finché il santuario di Eden avesse ricoperto la terra intera. In questa fase primaria possiamo già vedere un inizio di risposta alla nostra domanda iniziale sul perché Apocalisse 21:1-22:5 eguaglia il nuovo cosmo col tempio a mò di giardino. Ma prima di poter trarre delle conclusioni definitive dobbiamo tracciare lo sviluppo di Genesi 1-2 in tutte le Scritture. 

 

Come sappiamo, Adamo non fu fedele ed ubbidiente nel sottomettere la terra e nell’estendere il giardino-santuario, e così non soltanto il Giardino-Tempio non si estese sulla terra, ma Adamo ne fu scacciato, smise di godere della presenza di Dio e perse la sua funzione di sacerdote di Dio nel Suo tempio. 

 

Dopo la “caduta” di Adamo e la sua espulsione dal Giardino-Tempio, l’umanità andò sempre più peggiorando, e soltanto un piccolo residuo della razza umana rimase fedele. Dio alla fine distrusse l’intera terra con un Diluvio a motivo della sua totale corruzione. Soltanto Noè e la sua famiglia immediata furono risparmiati. E fu così, quindi, che Dio cominciò la creazione daccapo. 

 

E’ possibile che Dio iniziò a costruire un altro tempio per la dimora del Suo popolo dove potessero fare esperienza della Sua presenza durante il tempo di Noè.[16] Noè ed i suoi figli, tuttavia, non furono fedeli ed ubbidienti, e così se mai Dio iniziò un altro tempio la sua costruzione fu immediatamente fermata a motivo del peccato di Noè e dei suoi figli. Essi seguirono le orme peccaminose di Adamo, e la loro caduta è reminiscente della caduta di Adamo. Entrambi caddero in peccato nel contesto di un giardino: Genesi 9:20-21 dice che “Noè cominciò a coltivare e piantò una vigna. Ed egli bevve del vino e si ubriacò” e questo portò al peccato dei suoi figli. 

 

Dopo la disubbidienza di Noè e la sua famiglia Dio comincia di nuovo e sceglie Abraamo e i suoi discendenti, Israele, per ristabilire il suo tempio. 

 

II. La commissione di Adamo come sacerdote-re

di governare ed espandere il tempio è passata ai patriarchi

 

Come vedremo, dopo il fallimento di Adamo di adempiere il mandato di Dio, Dio suscita un’altra figura adamica a cui passa il Suo mandato. Troveremo che vi sono alcuni cambiamenti in questo mandato come risultato dell’entrata del peccato nel mondo, e che i discendenti di Adamo, come lui, falliranno. Il fallimento continuerà fino a che sorgerà un “Ultimo Adamo” che finalmente adempirà il mandato per parte dell’umanità. 

 

Quanto alla natura del mandato e della costruzione del tempio, alcuni commentatori hanno notato che il mandato di Adamo fu passato a Noè, ad Abraamo, e ai suoi discendenti:

 

Genesi 1:28: Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra».

 

Genesi 9:1: Dio benedisse Noè e i suoi figli, e disse loro: «Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra.

 

Genesi 9:6-7: Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell'uomo sarà sparso dall'uomo, perché Dio ha fatto l'uomo a sua immagine. Voi dunque crescete e moltiplicatevi; spandetevi sulla terra e moltiplicatevi in essa».

 

Genesi 12:2-3: Io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».

 

Genesi 17:2: E io stabilirò il mio patto fra me e te e ti moltiplicherò grandemente».

 

Genesi 17:6: Ti farò moltiplicare grandemente, ti farò divenire nazioni e da te usciranno dei re.

 

Genesi 17:8: A te e alla tua discendenza dopo di te darò il paese dove abiti come straniero: tutto il paese di Canaan, in possesso perenne; e sarò loro Dio».

 

Genesi 22:17-18: Io ti colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; e la tua discendenza s'impadronirà delle città dei suoi nemici. Tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza, perché tu hai ubbidito alla mia voce».

 

Genesi 26:3-4: Soggiorna in questo paese e io sarò con te e ti benedirò, perché io darò a te e alla tua discendenza tutti questi paesi e manterrò il giuramento che feci ad Abraamo tuo padre. Moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e darò alla tua discendenza tutti questi paesi; tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza

 

Genesi 26:24: Il SIGNORE gli apparve quella stessa notte e gli disse: «Io sono il Dio d'Abraamo tuo padre; non temere, perché io sono con te e ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza per amore del mio servo Abraamo».

 

Genesi 28:3-4: Il Dio onnipotente ti benedica, ti renda fecondo e ti moltiplichi, in modo che tu diventi un'assemblea di popoli, e ti dia la benedizione d'Abraamo: a te e alla tua discendenza con te, perché tu possieda il paese dove sei andato peregrinando, che Dio donò ad Abraamo».

 

Genesi 35:11-12: Dio gli disse: «Io sono il Dio onnipotente; sii fecondo e moltìplicati; una nazione, anzi una moltitudine di nazioni discenderà da te, dei re usciranno dai tuoi lombi; darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese che diedi ad Abraamo e ad Isacco».

 

Genesi 47:27: Così gli Israeliti abitarono nel paese d'Egitto, nella terra di Goscen; ebbero delle proprietà, furono fecondi e si moltiplicarono oltremodo.

 

Il medesimo mandato dato ai patriarchi è ripetuto numerose volte in libri susseguenti dell’AT sia ad Israele che al vero popolo escatologico di Dio. Come Adamo, Noè e i suoi figli fallirono di portare a compimento questo mandato. Dio allora diede l’essenza del mandato di Gen. 1:28 ad Abraamo (Gen. 12:2-3; 17:2, 6, 8, 16; 22:18); Isacco (26:3-4, 24); Giacobbe (28:3-4, 14; 35:11-12; 48:3, 15-16); ed Israele (Deut. 7:13 e Gen. 47:27; Es. 1:7; Sal. 107:38; Is. 51:2 – dove gli ultimi quattro verso affermano l’inizio dell’adempimento della promessa ad Abraamo in Israele).[17] Il mandato di Gen. 1:28 includeva i seguenti elementi:

 

1) “Dio li benedisse”

2) “siate fruttuosi e moltiplicatevi”

3) “riempite la terra”

4) “sottomettete la terra”

5) “governate … tutta la terra” (così Genesi 1:26 e reiterato in 1:28). 

 

Il mandato è ripetuto, ad esempio, ad Abraamo in tutti i suoi elementi: 1) “io ti benedirò grandemente; 2) e moltiplicherò grandemente la tua discendenza …; 3-5) e la tua discendenza possederà le porte dei loro nemici [“sottometterà e governerà”], e nella tua discendenza tutte le nazioni della terra saranno benedette …” (Gen. 22:17-18).[18] Dio esprime lo scopo universale del mandato sottolineando che il goal è di “benedire” “tutte le nazioni della terra”. E’ naturale, quindi, che nell’affermazione iniziale del mandato in Gen. 12:1-3 Dio comandi ad Abraamo: “Và lontano dal tuo paese … e sii una benedizione … e in te tutte le famiglie della terra saranno benedette”. 

 

Sembra però che i commentatori non abbiano notato una cosa molto interessante: che la commisione adamica è ripetuta in connessione stretta con quanto sembra essere la costruzione di piccoli santuari. Proprio come il mandato di Genesi 1:28 doveva essere svolto inizialmente da Adamo in un luogo definito, per poi allargare i confini del santuario arboreo, così sembra non essere incidentale che la riaffermazione del mandato ai patriarchi di Israele risulti in quanto segue:

 

1) Dio appare loro (eccetto che in Genesi 12:8; 13:3-4);

2) essi “piantano una tenda” (lett. Un “tabernacolo”, LXX)

3) su una montagna; 

4) costruiscono “altari” ed adorano Dio (“invocano il nome del Signore”, che probabilmente includeva anche offerte sacrificali e la preghiera[19]) nel luogo della reiterazione;

5) il luogo dove queste avvengono queste attività è spesso locato a “Bethel”, la “Casa di Dio” (il solo caso di costruzione di altare che non contiene questi elementi e che non è connesso a Genesi 1 è Genesi 33:20).

 

La combinazione di questi cinque elementi nell’AT si trova soltanto quando si descrive il tabernacolo o tempio di Israele![20]

 

Dunque, benché “le occasioni per i loro sacrifici di solito erano una teofania e lo spostarsi in un luogo diverso”[21], la costruzione di questi siti sacrificali sembra avere un significato più profondo. Sembra che i patriarchi abbiano costruito questi siti di adorazione come forme non permanenti ed in miniatura di santuari che rappresentavano simbolicamente la nozione che la loro progenie doveva diffondersi sulla terra per sottometterla a partire da un santuario divino, e questo in adempimento del mandato di Genesi 1:26-28. Benché non costruirono edifici, questi spazi sacri patriarcali possono essere considerati “santuari” in modo paragonabile al primo santuario non-architettonico nel Giardino di Eden, e questo è ulteriormente avallato dal fatto che in questi siti osserviamo spesso un “albero”. In seguito sarà anche importante ricordare che un pezzo di geografia o area sacra può essere considerato un vero “santuario” o “tempio” perfino quando non vi viene costruito alcun edificio architettonico. 

 

Questi santuari informali in Genesi indicavano il più tardo tabernacolo e tempio di Israele, dal quale Israele doveva ramificarsi per tutta la terra. 

 

Che questi santuari in miniatura adombravano il tempio successivo è anche suggerito da due fatti: che “prima di Mosè l’altare era la sola caratteristica architettonica che marcasse un luogo come sacro”, e che successivamente “furono incorporati degli altari nei più grandi santuari, il tabernacolo e il tempio”.[22] Il piccolo santuario a Bethel altresì divenne un santuario più grande nel regno del nord di Israele, benché successivamente divenne idolatrico e fu rigettato come una reliquia sacra per l’adorazione di Yahweh (vedi Amos 7:13; I Re 12:28-33; Os. 10:5). 

 

Il risultato dell’aver costruito altari a Sechem, tra Bethel ed Ai, ad Ebron, e vicino Moria da parte di Abraamo, Isacco e Giacobbe fu che il terreno della futura terra di Israele fu punteggiata di reliquie. Questa attività peregrina “fu come il piantare una bandiera e un reclamare la terra”[23] per Dio ed il futuro tempio di Israele, dove Dio avrebbe preso residenza permanente. Così, tutti questi santuari minori ne indicavano uno più grande a venire in Gerusalemme. 

 

Le preparazioni per il ristabilimento di un tempio più grande iniziano all’Esodo, dove Dio, in piccola scala, riporta il caos nella creazione e libera Israele perché sia la punta di lancia della Sua nuova umanità. 

III. Il tabernacolo di Israele nel deserto e il tempio successivo

rappresentano un ristabilimento del santuario del Giardino di Eden

 

Le seguenti considerazioni dimostrano che il tabernacolo e il tempio di Israele erano un nuovo tempio di una nuova creazione. 

 

Primo, il tempio di Israele è chiamato esplicitamente un “tempio” per la prima volta nella storia redentiva. Mai prima la speciale presenza di Dio col Suo popolo di patto era stata chiamata formalmente un “tempio”. Abbiamo visto, tuttavia, che il Giardino di Eden presenta delle somiglianze essenziali col tempio di Israele, il che mostra che quest’ultimo era uno sviluppo del santuario implicito in Genesi 2. 

 

Un’altra cosa bisogna dire del Tempio di Eden che ancora non è stata menzionata: esso serviva come un piccolo modello terreno del tempio di Dio in cielo che avrebbe poi abbracciato la terra intera. Questo è visto chiarissimamente nel tempio di Israele nei seguenti modi. 

 

Primo, Salmo 78:69 dice qualcosa di straordinario a riguardo del tempio di Israele: “Dio costruì il santuario come le altezze, come la terra che ha fondato per sempre”. Questo ci dice che in qualche modo Dio modellò il tempio come una replica in miniatura dei cieli e della terra. Tuttavia, Isaia 66:1 ci dice: “il cielo è il mio trono, e la terra lo sgabello dei miei piedi. Dove dunque mi costruireste una casa?” Vedete, Dio non volle mai che un piccolo tempio in una particolare località geografica durasse per sempre, perché, come il Tempio di Eden, il tempio di Israele era un piccolo modello di qualcosa che era molto più grande, ovvero Dio e la Sua presenza universale, che non poteva mai essere contenuta in qualche struttura terrena locale. 

 

Il tempio di Israele era un modello in miniatura dell’enorme tempio cosmico di Dio che doveva dominare i cieli e la terra alla fine dei tempi. Cioè: il tempio era un modello simbolico che simbolizzava non meramente il cosmo presente ma anche i nuovi cieli e la nuova terra che sarebbero stati riempiti in modo perfetto della presenza di Dio. Che fosse un modello simbolico in miniatura del tempio a venire che avrebbe riempito i cieli e la terra è evidente dal fatto che esso era diviso in tre sezioni: il Santo dei Santi, il Santo, e la corte esterna. 

 

1) Il Santo dei Santi, o Luogo Santissimo, rappresentava la dimensione celeste invisibile, il Luogo Santo rappresentava i cieli visibili, e la corte esterna rappresentava il mare e la terra visibili, dove vivono gli esseri umani. 

 

2) Che il Santo dei Santi rappresentasse i cieli invisibili dove dimorano Dio e i Suoi angeli è suggerito dalle seguenti osservazioni: a) proprio come i cherubini custodiscono il trono di Dio nel tempio celeste, le statuette dei cherubini attorno all’arca del patto e le figure dei cherubini intarsiati nella tenda che separa il Santissimo dal resto del tempio riflettono i cherubini in cielo che custodiscono il trono di Dio; b) il fatto che non vi fosse alcuna immagine di Dio nel Santissimo e che esso “appariva” vuoto indicano altresì che esso rappresentava il cielo invisibile; c) il Luogo Santissimo, difatti, era il luogo dove i luoghi celesti “toccavano” i luoghi terrestri, e questo è il motivo per cui l’arca del patto è chiamata “lo sgabello dei piedi del Signore”: Dio è raffigurato come se sedesse sul Suo trono nei cieli coi Suoi piedi invisibili sull’arca del patto; d) la via al Santissimo era sbarrata da una tenda che lo separava dal Luogo Santo e dalla corte esterna, il che era simbolico del fatto che la dimensione celeste invisibile era separata da quella fisica visibile; e) perfino il sommo sacerdote, che poteva entrarvi soltanto una volta all’anno, non poteva guardare la luce della gloriosa presenza di Dio perché essa era coperta da una nuvola di incenso, la qual cosa sottolinea la separatezza di questo luogo interiore santissimo che rappresentava la sfera celeste invisibile e santa di Dio. La nuvola di incenso potrebbe rappresentare le nuvole del cielo visibile, che a sua volta indicavano il cielo invisibile. 

 

3) Che il Luogo Santo probabilmente rappresentasse i cieli visibili che sono comunque separati dalla terra è evidente dalle seguenti considerazioni: a) le tende del Luogo Santo erano di colore blu, porpora e scarlatto, colori che rappresentavano i variegati colori del cielo, e le figure di creature alate che erano intessute in esse ci ricordano i cieli visibili; b) il candelabro aveva sette lampade e nel tempio di Salomone vi erano dieci candelabri; se si fosse guardato nel Luogo Santo, si sarebbero viste settanta luci, che sullo sfondo dell’ambiente scuro delle tende del tabernacolo e del tempio avrebbero richiamato alla mente le luci del cielo visibile (stelle, pianeti, sole e luna); c) questo simbolismo è anche accentuato dall’osservare che la parola ebraica per “luci” (mor) è usata dieci volte nel Pentateuco per descrivere le lampade del candelabro, e il solo altro luogo nel Pentateuco dove la parola viene usata è cinque volte in Genesi 1:14-16, dove si riferisce al sole, alla lune e alle stelle. Il tabernacolo stesso sembra fosse designato per rappresentare l’opera creativa di Dio che, come dice Isaia 40, “distende i cieli come una cortina e li spiega come una tenda in cui dimorare” e “che ha creato l’esercito delle stelle perché vi siano appese [trad. lett.]” (Isaia 40:22, 26); similmente Salmo 19:4-5 dice che nel “cielo” Dio “ha posto una tenda per il sole”. E’ plausibile che questa sia la ragione per cui il Luogo Santo era coperto d’oro (I Re 6:20-21) sul soffitto, sul pavimento, e sui muri; lo splendore del metallo prezioso poteva forse richiamare alla mente il riflesso luccicante sull’intera creazione del sole e delle stelle del cielo (cosa vera anche per i templi dell’antico Vicino-Oriente in generale); d) forse a motivo di questa evidenza biblica le sette lampade sul candelabro nel Luogo Santo erano comprese dagli ebrei del primo secolo (vedi Giuseppe Flavio e Filone) come delle rappresentazioni delle sette fonti di luce visibili all’occhio nudo della persona antica, enfatizzando che questa seconda sezione del tempio simbolizzasse i cieli visibili.[24] Il Giudaismo più tardo eguagliò le sette lampade sul candelabro alle “luci nella distesa dei cieli” menzionate in Genesi 1:14-16 (cf. Targum Pseudo-Jonathan sul Es. 40:4; Mdr. Rab. Num. 15:7; Midr. Rab. Num. 12:13[25]). Inoltre, lo storico ebraico del primo secolo Giuseppe Flavio, che conosceva il tempio di prima mano, affermò che la tenda esterna del Luogo Santo era ornata di disegni di stelle che rappresentavano il cielo visibile.[26]

 

4) La corte esterna probabilmente rappresentava il mare e la terra visibile. Questo ci viene suggerito dalla descrizione del grande bacino d’acqua e dall’altare nella corte del tempio: essi vengono chiamati il “mare” (I Re 7:23-26) e “la base del suolo [della terra]” (Ez. 43:14; l’altare era anche identificato con “il monte di Dio” in Ez. 43:16).[27] L’altare doveva inoltre essere “un altare dei terra” (nelle prime fasi della storia di Israele) o “un altare di pietra [non tagliata]” (Es. 20:24-25), identificandolo così ancora di più con la terra naturale. Dunque sia il “mare” che “l’altare” sembrano essere simboli cosmici associati nella mente dell’israelita al mare e alla terra[28] (ad accentuare il simbolismo del mare erano anche i dieci bacini più piccoli, cinque su ogni lato del recinto del Luogo Santo [I Re 7:38-39]). La natura simbolica del “mare di bronzo” è indicata dal fatto che era alta sette piedi, larga quindici piedi, contenente 10.000 galloni d’acqua, e non era adibita al lavaggio dei sacerdoti (per quello si usavano le altre coppe). Sembra inoltre che anche l’arrangiamento dei dodici buoi “che circondavano il mare interamente” e “il bocciolo di giglio” che decorava il bordo del mare di bronzo raffigurassero un modello in miniatura della terra e della vita che circonda i mari della terra (II Cronache 4:2-5). I dodici buoi supportavano il bacino dei lavaggi ed erano divisi in gruppi di tre, e guardavano ai quattro punti cardinali, che riflettevano bene i quattro quadranti della terra.[29] Che i dodici buoi erano raffigurati a sostegno del “mare” e che sul bacino vi fossero anche disegni di leoni e buoi altresì indicava che la corte esteriore rappresentava la terra (benché vi fossero anche dei cherubini). Che la corte esteriore fosse associata alla terra visibile è anche suggerito dal fatto che tutti gli Israeliti, che rappresentavano l’umanità generale, potevano entrarvi ad adorare. 

 

Dunque, l’effetto cumulativo di queste osservazioni è che il tempio di Israele serviva come un piccolo modello terreno del tempio di Dio in cielo che un giorno avrebbe abbracciato la terra intera. In modo specifico, il santuario interno della presenza invisibile di Dio si sarebbe esteso ad includere i cieli e la terra visibili. Questo è il motivo per cui le due sezioni della corte e del Luogo Santo sono simbolizzate nel tempio terreno di Israele: per mostrare che saranno un giorno consumate dalla presenza del Luogo Santissimo di Dio! 

 

Non è raro che quando una scuola, una compagnia o un edificio ecclesiastico decidono di espandersi e costruire un nuovo edificio essi commissionano un architetto perché ne faccia prima un modellino al plastico. Ricordo una chiesa che decise di costruire un nuovo edificio, e l’architetto ne fece un modellino: il parcheggio con degli arbusti che circondavano la grande struttura ecclesiastica, e il tetto dell’edificio tagliato per mostrare le stanze e il loro aspetto. Questi modellini architetturali non son fatti per rimanere solo dei modelli: indicano un compito e una struttura più grande che sarà di fatto realizzata nel futuro. 

 

Il tempio di Israele serviva precisamente a questo proposito: era un modellino in miniatura e un ricordo simbolico ad Israele del fatto che la gloriosa presenza di Dio avrebbe un giorno riempito il cosmo intero e che il cosmo stesso, e non un suo mero modellino, sarebbe quindi diventato il contenitore della gloria di Dio. E’ probabile che questo doveva servire come motivazione per Israele ad essere per il mondo dei testimoni fedeli della gloriosa presenza e verità di Dio, che doveva espandersi a partire dal loro tempio. 

 

Il tempio era un simbolo per Israele del compito che Dio voleva che loro svolgessero, lo stesso compito che Adamo (e probabilmente Noè) avrebbero dovuto svolgere ma in cui tutti fallirono: “moltiplicarsi e riempire la terra e sottometterla” (Gen. 1:28) espandendo i confini del tempio (dove era la presenza rivelatoria speciale di Dio) perché si estendessero alla terra intera. Israele doveva quindi diffondere la presenza di Dio nella terra intera. E’ interessante che la terra promessa, la terra di Israele, fu ripetutamente chiamata “Giardino di Eden” (cf. Gen. 13:10; Is. 51:3; Gioele 2:3; Ez. 36:35) in parte forse perché Israele avrebbe dovuto allargare i limiti del tempio e della propria terra fino ai confini della terra allo stesso modo in cui avrebbe dovuto farlo Adamo. Che questo fosse il compito ultimo di Israele è evidente da vari passaggi dell’AT che profetizzano che Dio alla fine farà sì che i precinti sacri del tempio di Israele si sarebbero allargati e avrebbero prima abbracciato l’intera città di Gerusalemme (vedi Isaia 4:4-6; 54:2-3, 11-12; Ger. 3:16-17; Zac. 1:16-2:11), poi l’intera terra di Israele (Ez. 37:25-28), e poi la terra intera (Dan. 2:34-35, 44-45; cf. anche is. 54:2-3). 

 

Similmente, come abbiamo già visto, Dio conferì ad Israele lo stesso mandato che diede ad Adamo e a Noè. Ad Isacco, per esempio, il progenitore di Israele, è detto: “ti benedirò grandemente e ti moltiplicherò … la tua discendenza possiederà la porta dei loro nemici” (Gen. 22:17; cf. Gen. 12:2-3; 17:2, 6, 8; 26:3-5, 24; 28:3; 35:11-12; 47:27; 48:3-4; Gen. 9:1, 7). E’ interessante che Gen. 1:28 diviene un mandato e allo stesso tempo una promessa per Isacco, per Giacobbe e per Israele. 

 

Israele, tuttavia, non portò a compimento questo mandato di diffondere il tempio della presenza di Dio sulla terra intera. I contesti di Isaia 42:6 e 49:6 dicono che Israele avrebbe dovuto diffondere la luce della presenza di Dio su tutta la terra ma che non lo fece. Esodo 19:6 dice che Israele collettivamente come nazione doveva essere “un regno di sacerdoti e una nazione santa”, andando alle nazioni e diventando mediatori tra Dio e le nazioni portando loro la luce della rivelazione di Dio. Invece di vedere il tempio come un simbolo del loro compito di portare la presenza di Dio alle nazioni, Israele concepì il tempio come un simbolo della loro esclusiva elezione ad essere il solo vero popolo di Dio e pensò che la presenza di Dio doveva essere ristretta soltanto ad essi come nazione etnica, errando così gravemente. Essi credettero che i Gentili avrebbero conosciuto la presenza di Dio soltanto in forma di giudizio. 

 

E così Dio li mandò via dalla loro terra in esilio, che Isaia 45 paragona alle tenebre e al caos pre-creazionale di Genesi 1 (cf. Is. 45:18-19). Dio così inizia il processo di costruzione del tempio daccapo, ma questa volta vuole che i confini locali-spirituali di tutti i templi precedenti di Eden ed Israele si allarghino per circoscrivere infine i confini della terra intera. Ma in che modo accade questo processo? 

 

Continua (parte due)

 

Note

[1] Il precursore al libro si trova in “The Final Vision of the Apocalypse and Its Implications for a Biblical Theology of the Temple,” in Heaven on Earth. The Temple in Biblical Theology (ed. S. Gathercole and T. D. Alexander; Carlisle: Paternoster, 2004) 191–209. Ogni parte del seguente saggio è elaborata in maggior dettaglio nel mio libro. 

[2] Vedi Beale, Temple and Church’s Mission 346–54, per una più completa descrizione e discussione dell’uso di Ezechiele 40-48 in Ap. 21:1-22:5.

[3] Ad es. vedi G. K. Beale, The Book of Revelation (NIGTC; Grand Rapids/Cambridge: Eerdmans/ Carlisle: Paternoster, 1999), in loc. Ap. 5:5–6, 7–13, e 21:1–3.

[4] Su 21:27 e il suo richiamo all’impurità in associazione col nuovo tempio, vedi Beale, Revelation 1101–2.

[5] Cf. M. G. Kline, Kingdom Prologue (South Hamilton: Gordon-Conwell Theological Seminary, 1989) 54, che afferma che soltanto il “custodire” ha una connotazione sacerdotale, particolarmente per quanto riguarda il “custodire” sacerdotale del tempio da ciò che è profano (e.g. Kline cita Num 1:53; 3:8, 10, 32; 8:26, 18:3ss.; I Sam 7:1; I Re 12:9; I Cr 23:32; II Cr 34:9; Ez. 44:15SS.; 48:11).

[6] Il Giudaismo più tardo comprese che dall’albero della vita scorrevano dei fiumi (Midr. Rab. Gen 15.6; 2 Enoch [J] 8:3, 5). 

[7] J. D. Levenson, Theology of the Program of Restoration of Ezekiel 40–48 (Harvard Semitic Monograph Series 10; Missoula, MT: Scholars Press, 1976) 25–53.

[8] Vedi Levenson, Program of Restoration of Ezekiel 40–48, 28, che vede questa espressione come un’allusione alla “sorgente che sgorgava dalla terra e irrigava l’intera superfice del suolo” da cui Adamo fu creato in Gen. 2:6-7. 

[9] Tra gli altri commentatori, D. Callender, Adam in Myth and History (Harvard Semitic Museum Publications; Winona Lake, IN: Eisenbrauns, 2000) 51–52, in modo speciale cita il Salmo 36 e Geremia 17 come esempi del tempio di Israele paragonato ad Eden. 

[10] J. H. Walton, Genesis (NIVAC; Grand Rapids: Zondervan, 2001) 167, citando altri anche per delle fonti che mostrano che i templi antichi avevano giardini ad essi adiacenti. 

[11] La discussione sulla distinzione tra Eden e il suo Giardino è basata su Walton, Genesis 167–68, 182–83.

[12] Così ibid. 182. 

[13] Vedi T. Stordalen, Echoes of Eden (Leuven: Peeters, 2000) 307–12, per una discussione di altri commentatori che, in vari modi, hanno identificato il Giardino di Eden con un tempio o santuario, a favore di cui offre ulteriori evidenze  (pp. 457–59).

[14] Vi erano anche aree sacre minori nel complesso del tempio, ad es. del tempio di Salomone (I Cr. 28:11) e del secondo tempio (I Macc. 10:43). Filone si riferisce al “Santo dei Santi” come “i Santi dei Santi” (Leg. All. 2.56; Mut. Nom. 192) o “i luoghi più interni dei Santi” (Somn. 1.216). 

[15] Walton, Genesis 186.

[16] Che questo sia plausibile è evidente dalle affinità della costruzione dell’altare da parte di Noè e attività associate ad esso con susseguenti attività patriarcali simili, che possono in realtà essere viste come costruzioni di templi in piccola scala o incipienti (su cui vedi la seguente sezione). 

[17] Questo mi fu fatto notare la prima volta da N. T. Wright, The Climax of the Covenant (Minneapolis: Fortress, 1992) 21–26,  su cui è basata la precedente lista di riferimenti in Genesi. Wright vede che il comando ad Adamo in Gen. 1:26–28 è stato applicato ai patriarchi e ad Israele; egli cita anche altri testi dove vede Gen. 1:28 applicato ad Israele (Es. 32:13; Lev. 26:9; Deut. 1:10–11; 7:13–14; 8:1; 28:63; 30:5, 16). Ho poi anche scoperto che J. Cohen, “Be Fertile and Increase, Fill the Earth and Master It” (Ithaca and London: Cornell University Press, 1989) 28–31, 39, fa la medesima osservazione dipendendo da G. V. Smith, “Structure and Purpose in Genesis 1–11,” JETS 20 (1977) 307–19, ed entrambi includono Noè. Vedi anche W. J. Dumbrell, The Search for Order (Grand Rapids: Baker, 1994) 29–30, 37, 72–73, 143, per la nozione che le benedizioni promesse in modo condizionale ad Adamo sono date ad Israele. 

[18] Si noti che l’aspetto governativo del mandato è espresso ad Abraamo altrove come un ruolo “regale” (Gen. 17:6, 16), e idem per Giacobbe (Gen. 35:11). 

[19] A. Pagolu, The Religion of the Patriarchs (JSOTSup 277; Sheffield: Sheffield Academic Press, 1998) 62.

[20] La combinazione di “tenda” (ohel) ed “altare” (mizbeach) avviene in Esodo e Levitico soltanto per quanto riguarda il tabernacolo e l’altare associato (e.g. Lev. 4:7, 18). “Altare” (mizbeach) e “casa” (bayith) sono presenti 28 volte nell’AT con riferimento al tempio e il suo altare. Raramente le parole in queste due combinazioni si riferiscono a qualcos’altro che il tabernacolo o il tempio. La costruzione di questi siti di adorazione su un monte potrebbe rappresentare parte di un pattern che culmina poi nel tempio di Israele costruito sul Monte Sion (il sito tradizionale del Monte Moria), che diviene una sineddoche per l’intero tempio. Non intendiamo dire che “tenda” negli episodi patriarcali sia equivalente al più tardo tabernacolo, ma soltanto che ha assonanze con il tabernacolo a motivo della sua prossimità al sito di adorazione.

[21] Pagolu, The Religion of the Patriarchs 85.

[22] T. Longman, Immanuel in Our Place (Phillipsburg, NJ: Presbyterian and Reformed, 2001) 16. Se alcuni commentatori riconoscono che alcuni di questi episodi patriarcali includono la costruzione di piccoli santuari, essi non li associano al tempio di Israele su più grande scala (così, e.g. H. C. Leupold, Exposition of Genesis II [Grand Rapids: Baker, 1960] 781, 918, per quanto riguarda Genesi 28 e 35). 

[23] Longman, Immanuel in Our Place 20 (e, similmente, Pagolou, Religion of the Patriarchs 70).

[24] G. Flavio, Ant. 3.145; J.W. 5.217; Filone, Rer. Div. Her. 221–25; Vit. Mos. 2.102–5; Quaest. Es. 2.73–81; Clement edi Alessandria, Stromata, Libro V, Cap. 6.

[25] Ad esempio, una parafrasi ebraica di Es. 39:37 interpreta le sette lampade sul candelabro “corrispondenti ai sette pianeti che muovono le loro orbite nel firmamento giorno e notte” Targum aramaico di Pseudo-Jonathan). Sulle sette lampade come simboliche dei pianeti o luci celesti, cf. e.g. M. Eliade, The Myth of the Eternal Return (London: Routledge, 1955) 6–17; O. Keel, The Symbolism of the Biblical World (New York: Crossroad, 1985) 171–76; L. Goppelt, “tuvpoÍ,” TDNT 8 256–57; sulle lampade che simbolizzano pianeti in Mesopotamia ed Egitto, vedi L. Yarden, The Tree of Light (Ithaca, NY: Cornell University Press, 1971) 43. 

[26] G. Flavio, J. W. 5.210-14, dice che la “tappezzeria” che pende sull’entrata esterna nel tempio “tipizzava l’universo” e su di essa “era raffigurato un panorama dei cieli”. Lo stesso potrebbe dirsi della parte esteriorie della tenda che separava il Santo dei Santi dal Santo, perché anche secondo Giuseppe Flavio tutte le tende nel tempio contenevano “colori che sembravano rassomigliare così esattamente quelli visibili all’occhio nei cieli” (Ant. 3.132). Che possa essere così è anche evidente dall’osservazione in Esodo (sopra) che tutte le tende del tempio erano intessute di materiali che rassomigliavano ai colori variegati del cielo. 

[27] Vedi anche Levenson, Creation and the Persistence of Evil: The Jewish Drama of Divine Omnipotence (San Francisco: Harper and Row, 1988) 92–93. Le traduzioni di Ez. 43:14 tipicamente dicono “dalla base sul suolo” ma letteralmente il testo originale è “dal seno della terra [o suolo]; tra le ragioni per associare “l’altare di terra” (lett. “Ariel”) di Ez. 43:16 con “la montagna di Dio” è l’osservazione di Levenson che la stessa misteriosa parola “Ariel” si trova anche in Is. 29:1 dove si riferisce al “Monte Sion” (cf. Isa.29:7a con 29:8h), e quindi richiama alla mente una “montagna” (vedi BDB 72 per il significato ambivalente della parola ebraica). 

[28] Vedi e.g. E. Bloch-Smith, “ ‘Who is the King of Glory?’ Solomon’s Temple and Its Symbolism,” in Scripture and Other Artifacts (ed. M. D. Coogan, J. C. Exum, and L. E. Stager; Louisville: Westminster John Knox, 1994) 26–27, sul “mare di bronzo” di Salomone come rappresentante del mare primordiale o acque di Eden; alcuni lo vedono come rappresentante del caos primordiale delle acque che fu superato alla creazione. 

[29] Levenson, Creation and the Persistence of Evil 92–93; idem, Sinai and Zion (San Francisco: Harper and Row, 1985) 139, 162.

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